L’OMBRA DEL MAGLIO, L’OMBRA DI TUTTI

In Arte

Lo scorso 23 gennaio, nella celebrazione dell’anniversario della morte del militante di sinistra Roberto Franceschi ucciso nel 1973 da un proiettile sparato dalla polizia, è stato presentato nell’aula dell’Università Bocconi di Milano a lui dedicata il progetto «Ombra di tutti» dell’artista Patrizio Raso, un’opera realizzata con i vestiti che l’artista raccoglie dal 2021 da tutti coloro che vogliono donarli per intrecciarli insieme a quelli di Roberto Franceschi. L’intreccio mette insieme passato e presente per costituire un’ombra trasportabile che possa interagire con i luoghi e le persone, costruendo ogni volta, anche in modo estemporaneo, nuovi spazi narrativi e di dialogo.

Occuparsi di ciò che resta e testimonia non è una prerogativa esclusiva di martiri, santi e vincitori, c’è anche chi, in una quotidianità insolita, si prodiga nel tentativo di costruire narrazioni capaci di sgrassare l’olio esausto delle menzogne che hanno ingolfato troppe tappe della storia d’Italia e lo fa senza complottismi. Non è raro trovare artisti, assolutamente riconosciuti più dal mondo civile che da quello “degli addetti ai lavori”, che formalizzano modalità di creazione e fruizione di opere in cui emerge una necessità palese: quella di riattivare memorie che ci interrogano sul nostro ruolo di soggetti agenti nel presente ma soprattutto interrogano l’arte rispetto al suo ruolo nel suo dominio di appartenenza. In giorni e settimane in cui tutti parlano di memoria senza ricordare davvero, il 23 Gennaio, nell’aula dell’Università Bocconi dedicata a Roberto Franceschi, l’approccio di Patrizio Raso arriva come a ridestare in un dormiveglia generale con la presentazione del suo lavoro “Ombra di tutti” affiancato da Marco Scotini.

Il ricordo della città a pochi giorni dalla morte di Roberto Franceschi. Archivio Corsera

Roberto Franceschi muore ammazzato da un colpo di pistola alla nuca partito da un’arma in dotazione alle forze dell’ordine il 23 Gennaio 1973 durante uno scontro tra studenti e polizia: gli studenti manifestavano contro la militarizzazione delle università in favore di una partecipazione diffusa ai dibattiti universitari. Erano i tempi in cui il MS era in pieno scontro con la DC andreottiana e gli studenti si univano alle lotte operaie. I morti ammazzati di quegli anni furono diversi, Franceschi fu uno dei primi e non poté passare inosservato: era uno dei leader del Movimento Studentesco e nonostante questo nessuno verrà mai condannato per la sua morte. A ricordarlo vi è un maglio di oltre cinquanta tonnellate posto proprio nel luogo in cui è stato sparato, davanti alla Bocconi a Milano. Il processo di posizionamento di questo enorme ready made industriale è frutto di un lungo e complesso lavorio collettivo che ha visto coinvolti oltre 40 artisti uniti a studenti e operai e che ha dato vita a quello che Enzo Mari definisce un contro-monumento “nato da un viscerale rifiuto di realizzare un monumento con la complicità del potere”, lo stesso potere che ha ammazzato Franceschi.

Foto archivio Corsera

Attorno all’ombra di questo maglio posizionato in maniera del tutto clandestina negli anni settanta e reso ufficiale solo nel 2013, si snoda il lavoro di Patrizio Raso, promosso dalla Fondazione Roberto Franceschi, che interroga l’ombra di questa sorta di portale della memoria attraverso un lungo processo di montaggio, ri-elaborazione e creazione collettiva. È nel 2020 che, passando “Dall’ombra” del monumento, Patrizio comincia ad indagare lo spazio pubblico del maglio che documenta, assieme ai corpi di altre 8 figure coinvolte tra ricercatori e membri della Fondazione, in un workshop su invito di Simona Da Pozzo. È l’inizio: da qui in poi si fa chiara la dimensione collettiva della portata politica del monumento, della sua proiezione nello spazio pubblico sviscerato attraverso un gioco di interazione con i corpi di chiunque volesse prendere parte alla chiamata di Raso “Ci vediamo al monumento”.  L’ombra è sempre più presente, sempre più concreta : L’ombra di tutti è l’ombra del monumento in un momento di luce specifica, che taglia la strada, blocca il traffico, manifesta nella sua proiezione e diventa dima e punto di partenza per un lavoro che si fa insieme di racconti straordinari e assolutamente ordinari. Patrizio vuole un’ombra fatta delle storie che ha incrociato, un’ombra in grado di trasmettere tutta la portata della complessità dei legami che incontra attraverso il monumento. 

Azione di disegno del profilo dell’Ombra del Monumento, via Bocconi.
Milano, giugno 2021, foto di Patrizio Raso

Comincia a raccogliere vestiti, il primo indumento sarà proprio il montgomery di Roberto Franceschi assieme a cui troviamo contributi di una valenza affettiva e storica inestimabile: bandiere, foulard, camicie, gonne, indumenti di chiunque manifesti la volontà di voler prendere parte a questo pezzo di storia. Oltre 150 persone e associazioni coinvolte tra cui le Associazioni dei familiari delle vittime di Piazza Fontana, della Strage di Bologna e dell’eccidio di Marzabotto, Licia, Silvia e Claudia Pinelli, le ANPI provinciali di Milano e Bergamo, Benedetta Tobagi, l’Archivio Flamigni, Heidi ed Elena Giuliani con il Comitato Piazza Carlo Giuliani, Adele Rossi, Simonetta Gola, il Comitato 8 ottobre 2001, Mari d’Agostino, Angelo Sicilia, la Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, Alessandra Ballerini, Silvia Polleri, Vincenzo Chindamo, Linea d’Ombra, oltre a varie scuole, accademie e singoli cittadini. Questi indumenti portati tutti nella sede di Farmacia Wurmkos a Sesto San Giovanni, hanno subito un primo processo di trasformazione e, resi filamenti, sono stati portati a Monno, in Val Camonica, dove Patrizio assieme all’artigiana Gina Melotti comincia a tessere e a unire, di 60 centimetri in 60 centimetri, un archivio affettivo nelle trame di un enorme “pezzotto”, una tecnica di cucitura locale a telaio finalizzata al recupero di tessuti di scarto. Una tecnica che in realtà è diffusa in molte località rurali anche del Mezzogiorno, e questo Patrizio lo sa perché fin da bambino se ne innamora andando in giro nei mercati calabresi assieme a suo nonno.

Cristina Franceschi dona il montgomery di Roberto a Patrizio Raso di fronte al Maglio.
26 settembre 2021, foto di Cesare Lopopolo

Patrizio non è solo nell’impresa: “mia madre l’ha presa come una missione, per i miei figli è come stare in famiglia e ormai ogni volta che posso vado in Valcamonica per continuare a cucire con Gina e raccontarle la storia di ogni pezzo di indumento usato”. Si parla sempre troppo poco di quanto e come la vita degli artisti che agiscono nel magmatico e vivo campo dell’azione civile, cambi e venga interamente scandita dai ritmi degli incontri, delle storie e delle vicende biografiche in cui l’altro diventa chance (Bataille), possibilità di coinvolgimento di intere comunità e potenziale focolaio di cambiamento collettivo (oltre che di crescita personale). Le motivazioni sono molteplici: la potenzialità è sempre meno contemplata come dimensione realistica e troppo spesso le capacità di contenere dibattiti che tentano di solcare un terreno fin troppo compatto scemano di fronte alla difficoltà di divincolarsi tra le maglie di un potere ormai tentacolare e che Roberto Franceschi aveva messo benissimo a fuoco nei suoi 21 anni d’età.


Patrizio Raso e Pasquale Campanella con parte dei tessuti alla Farmacia Wurmkos a Sesto San Giovanni. Marzo 2024, foto di Cesare Lopopolo

Il contro-monumento a Franceschi già per la sua storia non può essere annoverato tra i frutti di quella “industria del cadavere” che fin dagli anni 20 contestava Carrà e ciò che Raso mette in moto è perfettamente in linea con lo spirito delle lotte che hanno animato il dibattito pubblico prima civile e poi artistico attorno al maglio. Il lavoro di Patrizio Raso e di tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione è un felicissimo esempio in cui l’arte relazionale esce fuori dalla retorica (e questo lo fa non utilizzando criteri prestabiliti nella scelta degli indumenti o delle storie che partecipano al lavoro: di fatti si tratta di una autoselezione), ma soprattutto tiene vivissima l’importanza della relazione senza sacrificare la potenza formale dell’opera: un prezioso codice intrecciato a mano che non è ancora concluso e da cui emergono indumenti indossabili. Questo corpo d’ombra di oltre 7 metri di lunghezza sarà terminato nei prossimi mesi ma  prima di essere esposto nel dicembre del 2025 presso la Casa della Memoria a Milano ha da compiere altri itinerari di cui cui il momento più vicino è previsto per il 6 maggio 2025 a Limbadi, nei pressi dei terreni di Maria Chindamo, donna che si è ribellata alla ‘ndrangheta ed è morta ammazzata e data in pasto ai maiali perché difendeva la sua terra, la stessa terra in cui Patrizio tornerà con l’ombra di tutti per “ridarle il corpo che non è mai stato ritrovato”.

Momenti della tessitura dell’opera. Monno, giugno 2024. Foto di Patrizio Raso

La conoscenza delle storie che racchiude quest’opera viene trasmessa oralmente non solo da Patrizio durante il processo di cucitura, ma anche in tutti gli incontri in cui si raccolgono storie e abiti, proprio come un antico mito in cui si dispiegano tragedia e moralità della vita collettiva. Il destino di quest’opera, prima di poter essere chiusa in una teca, è forse proprio quello di continuare a vivere clandestinamente, (come il monumento dedicato a Franceschi fino al 2013) migrare di storia in storia, di lotta in lotta e diventare un possibile vessillo di resistenza della memoria collettiva di cui potremo indossare un montgomery color cammello o una gonna femminista con la certezza di celebrare la memoria di tutti coloro “che caddero nella lotta per affermare che i mezzi di produzione devono appartenere al proletariato” in un gioioso rituale condiviso.

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