La Tempesta di Shakespeare firmata da Roberto Andò

In Teatro

Allure di riconciliazione, incantesimi e commedia dell’arte gli ingredienti mesciati da Andò insieme alla scenografia finestrata, sospesa ed acquosa progettata da Gianni Carluccio per La tempesta in scena fino al 26 maggio al Piccolo Strehler, produzione Teatro Biondo di Palermo

Ritrovare se stessi dopo la Tempesta. La regia di Roberto Andò insieme alla scenografia sospesa e suggestiva progettata da Gianni Carluccio è permeata da acqua oltre che da aria.

È acqua paludosa, stagnante, ma anche acqua che sotto forma di sgocciolamento di pioggia purifica mentre cade dal sipario/velario che cade e si alza dalla graticcia. Acqua che può spegnere fuochi e che lava le coscienze.

È una regia quasi esoterica, magica. Il fil rouge che lega le due ore abbondanti di spettacolo è un’allure di riconciliazione, sembra permanere l’idea della necessità di un rituale che sleghi le tensioni e porti a un perdono. Laico.

L’urgenza di lasciare andare ciò che non è più necessario. Quell’urgenza che caratterizza il maturo Prospero di Renato Carpentieri ( che gioca nel ruolo anche con se stesso): sciogliere quegli stessi sortilegi che a un certo punto si rivelano incantesimi ingabbianti.

È l’alzata del velario intriso di acqua a scandire il tempo che scorre lungo le due ore piene di spettacolo, quadri che si ripetono e progrediscono con l’intrusione dei sempre a scena aperta applauditi intermezzi creati dall’abilità del trio Fabrizio Falco, Paride Benassi ( ottimi interpreti nei rispettivi doppi ruoli di Gonzalo-Iris/ Trinculo – Antonio) e Vincenzo Pirrotta ( Calibano) a cui si contrappone il mondo creato da Prospero insieme a Ariel, “servitore” fedele, ma desideroso di libertà ( difficile dimenticare il timbro di Filippo Luna).

Personaggi pieni di verve, bassi, sempre un po’ brilli, notturni, pronti a sbucare fuori da improbabili sottocoperte o cucinini spiati da Prospero e Ariel che tutto vedono, tra dialetto siciliano e napoletano recuperano e condensano la tradizione della commedia dell’arte che ha segnato la storia del teatro in Italia e del Piccolo.

Riflessi d’acqua si riverberano nelle pareti d’interno di un non luogo a metà tra locanda desolata e lettini da ospedale a cui si contrappone l’alcova piccola e calda dell’incantatore Prospero stanco di recitare alla fine se stesso.

Un inno a sciogliere vicissitudini e catene. Accanto al tema della disillusione e della “magia”/energia che ogni singola persona mette per condurre la propria esistenza fatta della stessa sostanza dei sogni, si sente oltre alla regia di Andò, la tragicità di Shakespeare. Storie di usurpazione, di potere, di regni e ducati, di intrighi e successioni.

L’ordine precostituito viene ristabilito grazie alle nozze tra Ferdinando ( Paolo Briguglia) e Miranda (Giulia Andò). Un amore combinato, creato e sospinto dalle arti di Prospero – Carpentieri che segue e commenta con ironia ( quella comune forse a molti adulti in platea) le vicissitudini amorose dei due giovani, nonché la propria “creazione” alchemica d’amorosi sensi corrisposti.

C’è l’eco della lezione di Luchino Visconti e di un senso di inevitabile ripetizione della storia e delle vicende umane.

La platea ha visto protagonisti molti studenti. Abbiamo osservato le loro reazioni e se qualcuno è rimasto estasiato, qualcun altro si è limitato a definire lo spettacolo come carino.

Grazioso è la sua cifra, potremmo riassumere questa produzione del Teatro Biondo di Palermo, perdoneranno il paragone i lettori, un Nekrosius in piccolo corroborato dalla sempiverde tradizione italiana della commedia dell’arte e di un uso della parola che a volte corre il rischio di essere un esercizio di stile, per quanto affascinante.

Nell’urlo di Calibano sembra essere riassunto il senso dello spettacolo. C’è un senso di vuoto e rassegnazione che si traduce in accettazione nel momento in cui si sciolgono i nodi delle vite incantate e ingabbiate che ognuno si crea. Forse per restare vivi. Prospero, anziano e metateatrale, commenta il suo viaggio fin qui, ha rispristinato l’ordine pre-costituito, ha deciso di lasciare spazio ai giovani, ma Calibano resta. Con il suo grido. Si nasce e si muore, tra tempeste e rappacificazioni. E così nel rito del teatro va in scena la vita come la storia nella sua ciclicità.