Terry Gilliam & Don Chisciotte: 25 anni per un incontro (folle)

In Cinema

“L’uomo che uccise Don Chisciotte”, summa finale della fantasia e dell’arte registica di Terry Gilliam, è un gioco di scatole cinesi all’ennesima potenza, in cui nulla è ciò che sembra, tra artifici teatrali, personalità multiple e sovrapposizioni tra sogno, realtà e finzione scenica. Nel raccontare il ritorno nel paesino spagnolo di un regista (cui dà volto Adam Driver), che lì ha girato il suo primo film, un po’ amatoriale, sulla storia del mitico eroe letterario spagnolo, l’ex leader dei Monthy Python dà corpo a una dichiarazione d’amore verso la magia senza tempo del cinema e insieme a una satira spietata e vendicativa del luna park hollywoodiano. Impresa che gli ha richiesto un quarto di secolo di lavoro

About time, Terry. Venticinque anni: tanto ci è voluto perché il progetto di una vita del più visionario regista di Hollywood vedesse finalmente la luce. Venticinque anni di cancellazioni, disavventure, rinunce, e una promessa: quella di chiudere (forse) la propria carriera in grande stile, a 77 anni, con un ultimo viaggio e un’ultima stoccata a quel mondo che in fondo l’ha sempre capito poco e sopportato a fatica. Sì, perché L’uomo che uccise Don Chisciotte, il nuovo delirio onirico di Terry Gilliam, è una dichiarazione d’amore alla magia senza tempo del cinema, e insieme una satira spietata e vendicativa del luna park hollywoodiano.

A cominciare dalla trama: Adam Driver (sempre più astro nascente del cinema a stelle e strisce, dopo il nuovo Star Wars, Silence di Martin Scorsese e BlacKkKlansman di Spike Lee ora nelle sale) è un giovane, cinico e ambizioso regista americano (come Gilliam) che, per apparente casualità, torna nel piccolo villaggio spagnolo in cui anni prima aveva realizzato il suo primo film, una pellicola amatoriale sulla storia di Don Chisciotte.

Fin qui tutto (quasi) normale. E invece L’uomo che uccise Don Chisciotte si rivela ben presto un gioco di scatole cinesi all’ennesima potenza, in cui letteralmente nulla è ciò che sembra, tra artifici teatrali, personalità multiple e continue sovrapposizioni tra sogno, realtà e finzione scenica. Non è un caso allora che, eccetto Driver, a quasi tutti gli altri interpreti principali del cast venga chiesto di sostenere un doppio ruolo: Jonathan Pryce (con Gilliam dai tempi dei Monthy Python e di Brazil) è un vecchio calzolaio tramutato in Don Chisciotte, Joana Ribeiro un’improbabile Dulcinea/escort al servizio del castellano/magnate russo Jordi Mollà, Olga Kurylenko una donzella in pericolo dagli appetiti sessuali ben poco fiabeschi.

Il risultato è un prodotto senz’altro godibile (se non altro in virtù dell’hype accumulato) per i fedelissimi del Gilliam della prima e ultim’ora, soprattutto quello fantasy di I banditi del tempo, Le avventure del Barone di Munchausen o del più recente Parnassus  – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, ma destinato a lasciare il pubblico occasionale più che perplesso. Così come rimarrà deluso chi si aspettasse una favola tout court, magari infarcita di effetti speciali e umorismo di facile consumo: il vero effetto speciale, ancora una volta, è la visione inconfondibile, nel bene e nel male, di un regista assolutamente unico nel suo genere. Forse un po’ confusionario a tratti, complice anche una lunghezza eccessiva delle ultime sequenze, oltre all’evidenza delle mille riscritture nel corso degli anni di lavorazione. Ma che la firma a fondo pagina sia quella di Terry il ribelle, col suo ghigno da eterno monello del grande schermo, è chiaro come il sole fin dalle prime battute. E quando il trucco di prestigio comincia, quando l’illusione accantona la realtà, per lo spettatore è già troppo tardi.

Ecco perché L’uomo che uccise Don Chisciotte è un film difficile da spiegare, prima ancora che da recensire. Perché alla fine, a essere Lost in La Mancha, come recita il titolo del documentario che racconta i precedenti fallimenti nel tentativo di finire l’opera, non sono soltanto il vecchio cavaliere matto e il suo scudiero improvvisato: tra inseguimenti labirintici, autocitazioni e finali a sorpresa, l’ultima fatica (letteralmente) dell’unico ex Monty Python ancora più o meno stabilmente in attività, è una lanterna magica multicolore, un giro di giostra dal ritmo via via sempre più vorticoso e dalle mille direzioni.

Il pubblico, tanto incauto da fidarsi a scatola chiusa del vecchio affabulatore dietro la macchina da presa, finirà per smarrirsi assieme a Driver/Sancho Panza, in un ideale passaggio di consegne tra irriducibili sognatori, sempre pronti a scagliarsi contro i mulini a vento di ieri e di domani.

L’uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam, con Jonathan Pryce, Adam Driver, Joana Ribeiro, Jordi Mollà, Olga Kurylenko, Stellan Skarsgård

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