Jennifer sei brava, ora però cambia film

In Cinema

“Joy” di David Russel è un’altra ottima prova d’attrice, nel “solito” ruolo di donna forte che se la cava in un mare di guai. Ma Law ha bisogno di altre sfide

Lettera aperta a Jennifer Lawrence

Cara Jennifer, cara J. Law, cara Jen,
questa è una lettera aperta scritta dopo l’anteprima di Joy, l’ultimo film che hai girato con il tuo dream team, il regista David O. Russell e Bradley Cooper.

È una lettera d’amore e d’amicizia, ma non sarà tutta rose e fiori. Non questa volta. Anche se come prima cosa vorrei mettere bene in chiaro che ti adoro. Come potrebbe essere altrimenti. Sei brava, sei bella, molto probabilmente sei anche buona. Sei simpatica, sei diversa: per esempio quando non ti vergogni di fare le puzzette in pubblico o quando annunci a gran voce che vai a far pipì (condivido con te quest’ultima debolezza, inutile dire che tu lo fai con molta più grazia). E poi hai il vocione. Come si può non amarti. Sei anche schietta nelle tue affermazioni, ti scocci se ti pagano meno dei tuoi colleghi maschi o se mostrano le tue foto private.  Credi nell’amicizia e lo dimostrano i siparietti che fai con Amy Schumer. Cos’altro si può volere da un’attrice che ha appena 25 anni.

Hai fatto bei film, a volte ottimi, come Un gelido inverno, o buoni (Il lato positivo), dove però tu sei bravissima. Anche qualcuno meno buono: non apriamo neanche il capitolo Una folle passione e in parte anche l’ultimo Hunger Games. Ma comunque sei brava anche in quelli, il che dimostra che hai la stoffa dei grandi attori.

Però, detta simpaticamente, Joy te lo potevi evitare. Di nuovo, tu sei bravissima. Piena di sfumature, intelligente, salda in mezzo a una gabbia di matti, ma perché devi fare film che non ti meritano? Capisco che c’era dell’amicizia in questa faccenda, con Russell e Cooper, con loro hai all’attivo altri due film insieme: grazie a Il Lato Positivo hai vinto il tuo primo, e credo non ultimo Oscar a soli 22 anni, con American Hustle stavi soffiando la tua seconda statuetta a Lupita n’Djongo.

Ma Joy è un film abbastanza noioso e tu lo sai bene. Narra la storia di Joy Mangano, l’inventrice del Mocio, quell’aggeggio per pulire per terra, ma forse il Mocio non ha poi questo grande appeal, almeno non tanto da giustificare un film. O forse è solo colpa di Russell, che s’è scocciato come noi a metà del progetto, che a vederlo sullo schermo va morendo di scena in scena.

Del resto non puoi far tutto da sola. Robert De Niro nel ruolo di  tuo padre fa per l’ennesima volta l’italo americano antipatico. Forse è pronto per prendersi una lunga vacanza, perché altrimenti dovrebbe decidersi a scegliere finalmente copioni  diversi. Ma a lui dobbiamo quella che considererei la migliore battuta del film, rivolta all’inane ex moglie (Virginia Madsen), che vive chiuse in camera guardando soap opera. “Sei come una fuga di gas: non si vede, non ha odore, ma uccide lentamente”.

Bradley Cooper, nella parte del manager della rete Tv QVC, specializzata in televendite, se la cava, e con lui ci sono delle buone scene, si vede che vi volete bene. Ma passa e va in maniera indolore. C’è Isabella Rossellini: simpatica, a tratti, ma a volte davvero sopra le righe, un po’ come le sue parrucche.  Edgar Ramirez, che fa il tuo ex marito, vorrebbe dare di più, ma si capisce che il regista non capisce bene dove farlo andare.

Che poi è un po’ il problema di tutto il film. Russell, oltre alla regia firma anche la sceneggiatura, ma spesso e volentieri perde il filo del discorso: a volte preme l’acceleratore sulla commedia, in altri momenti vorrebbe tirarci dentro la complicata vicenda umana di Joy facendo leva sul dramma, Col risultato di non riuscire a dare un volto unitario al suo film. E tu sei lì, costretta a recitare per l’ennesima volta la parte della donna forte, quella che deve farsi carico di una famiglia di pazzi, di un ex marito inutile, di tipacci che vorrebbero farti le scarpe. E questo nonostante il fatto, universalmente riconosciuto ormai, che a J. Law non gliela si può fare.

Per il secondo anno di fila sei stata votata la star più importante dello show business dalla rivista The Vulture. Sei un simbolo, perché sei la cosa più lontana che ci sia dal fallimento pur continuando a sembrare l’amica del cuore, quella che come te condivide le fatiche e le scocciature della giornata. Il punto, però, è proprio questo. Non ti sei stancata di sapere già come va a finire nei film in cui reciti? Di sapere che tu ce la farai a dispetto di tutto? Sei così brava che puoi permetterti di fare la perdente, a volte. Di apparire fragile, dimessa, persino scialba. Quello che sa fare Meryl Streep da quando aveva i capelli lunghi e biondi in Kramer vs Kramer o Il cacciatore, e piangeva spesso. Poi è passata dai capelli neri della pasionaria di Silkwood, fino all’odiosa Miranda Priestley di Il diavolo veste Prada. In ogni film appare diversa.

Io lo so che sei nata per essere una grande attrice, ma ora è il momento di scegliere anche grandi film. Forse dovrai essere un po’ meno “personaggio”, ma nessuno ti vieterà mai di annunciare quando vuoi fare pipì.

Joy di David O. Russell, con Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Bradley Cooper, Edgar Ramirez, Diane Ladd

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