I figli, meravigliosa catastrofe: così Mattia Torre giocava con la realtà

In Copertina Cinema

L’ha diretta bene Giuseppe Bonito, l’ultima sceneggiatura dello scomparso regista/scrittore di “Boris – Il film” e “Ogni maledetto Natale”. Che anche qui ha saputo sposare una deliziosa e intelligente ironia e un’analisi della realtà contemporanea, psicologica e sociale, di grande acume. Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, perfette icone della genitorialità nel suo calvario quotidiano, sono i bravi protagonisti

Fortunatamente abbiamo la possibilità di vedere ancora un film di Mattia Torre, di sentire le sue parole e di vederlo giocare con noi, con il nostro mondo e la nostra tragica imperfezione. Figli, la cui regia è passata a Giuseppe Bonito nel momento in cui la malattia è tornata a farsi pressante nell’esistenza dello sceneggiatore, è un ampliamento del celebre monologo di Torre I figli invecchiano, e schiera nel cast Valerio Mastandrea, già interprete di quel testo, e Paola Cortellesi, nei panni di Nicola e Sara, sposati e con una figlia di sei anni, Anna. Il talento di Torre è sempre stato quello di riuscire a fotografare una situazione, ribaltarla, mostrarla allo spettatore, e dirgli: questo sei tu. Sapeva così bene raccontare, traendo dal reale, con le contraddizioni più sottili e pur pregnanti, della quotidianità di cui tutti siamo a conoscenza e che la penna dello scrittore ha saputo ogni volta trattare con lucidità cristallina.

Figli ne è un ulteriore esempio: uno dei più veri, dei più maturi. Parte da quella follia che è il mettere al mondo, quello contemporaneo del precariato e dei nonni-giovani, delle cartelle fiscali e dei gruppi whatsapp di classe, piccole creature. I figli cambiano la vita. La migliorano. Ti fanno crescere. Poi ti demoliscono. L’importante è riuscire a trovare di che ridere, il comico  nella drammaticità della vita. Figli mostra la vita ordinaria di una coppia dell’Italia dei giorni nostri, in lotta contro la società e il deterioramento stesso che l’apparizione della prole genera negli animi e nelle abitudini di una famiglia bellissima per la sua assoluta normalità. La loro vita viene travolta soprattutto dall’arrivo del secondo figlio, Pietro, che scombussolerà profondamente i loro equilibri dando vita a una dramedy in grado di coniugare a meraviglia emozione e malinconia, riflessioni sul presente e gusto per il paradosso comico e surreale.

Il film è suddiviso in capitoli monografici, ognuno dedicato a un lato eroico e tragico della vita da genitore, e snocciola l’ironia intrinseca nelle difficoltà dei normali nuclei familiari attuali. Non c’è truffa più riuscita di quella che, a un passo dalla fregatura, ti fa dire «quant’è vero». E in questa truffa così nobile, Mattia Torre era il migliore. Ci sono battute sferzanti e c’è anche quella ricerca, così torresiana, di catturare il vero. Dopotutto, perché sforzarsi di creare una battuta, di oliare un meccanismo comico quando già c’è abbastanza materiale da cui attingere nei pensieri che attraversano la mente? È importante essere consapevoli che non c’è maschera migliore, e più divertente, di quella che indossiamo ogni giorno, e che anche nel nero della tragedia c’è un buon motivo per non disperare. Non completamente, almeno. 

C’è anche l’amore come baluardo di resistenza, che Mastandrea e Cortellesi incarnano con la naturalezza di una coppia qualunque, che ha deciso di restare unita. È proprio quella l’unica promessa, l’unico scoglio al quale potersi attaccare in un Paese che viene riflesso nelle dinamiche della relazione dei protagonisti, dei loro ostacoli ordinari e, per questo, destinati a toccare tutti. Restare uniti. Attraverso la positività della commedia vengono filtrati i drammi, e nell’incontro con la bizzarria vengono mostrati i risvolti più autentici della realtà. Emerge così un viscerale bisogno di comunicare qualcosa, reso ancora più evidente dalla consapevolezza che questa sia un’opera postuma di Torre, con un Giuseppe Bonito più che all’altezza alla regia. Non si tratta di un messaggio prescrittivo, dogmatico, semplicemente di una nuova coprensione, resa più efficace da un’ironia straordinaria.

I figli, di Giuseppe Bonito, con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Stefano Fresi, Gianfelice Imparato, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti, Massimo De Lorenzo, Carlo de Ruggeri 

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