Molti artisti ultracontemporanei (sessantadue) danno vita a una mostra al PAC sulle interferenze tra arte e cinema: Glitch. Ma funziona?
In passato, innovazioni tecnologiche e tecniche artistiche si sono sempre alternativamente amate e odiate. Chi più favorevole, chi meno, ormai nel XXI secolo la sperimentazione artistica che unisce diverse tecniche, materiali e procedimenti è fenomeno consolidato e stimolante, ovviamente sempre se supportato da un’idea e un progetto artistico solidi. Bisognerebbe, insomma, sempre chiedersi: perché dipingere su velluto e non su tela? Perché scegliere il video e non l’incisione? Perché la foto analogica e non quella digitale? E via dicendo.
Quando si decide di oltrepassare la tende rossa che separa l’ultima sala cinematografica dal resto dell’esposizione, i suoni sovrapposti dei tre cinema si intersecano in modo divertente e piacevole, accompagnandoci nella visione dell’ultimo film, e di tutto il resto della visita, come la colonna sonora di un confuso film d’azione.
Nui Simu (That’s us) [still from video], 2010. Courtesy, MOTInternational, London & Brussels, Peres Projects, Berlin and Mendes Wood,São Paulo
Produced by Riso Museum, Palermo (I).
Da queste installazioni si sarebbe potuto passare direttamente alle esposizioni fotografiche, tralasciando altre opere grafiche e scultoree che forse si sarebbero potute concentrare dopo tutto il resto, creando così una coesione maggiore tra tecniche cinematografiche e fotografiche. Le foto sono perlopiù raggruppate in serie, e raccontano una storia senza necessariamente indulgere nelle categorie consolidate di azione/movimento. In questo senso, pare emblematica l’opera di ZimmerFrei (collettivo di artisti nato nel 2000 a Bologna) che trasforma quattro tavole fotografiche in uno storyboard.
![Installation view, PAC, Glitch. photo: Nico Covre, Vulcano 2014.](https://www.cultweek.com/wp-content/uploads/2014/11/photo-Nico-Covre-Vulcano-2014.jpg)
Glitch in inglese significa intoppo, cattivo funzionamento, anomalia. Forse non era di buon auspicio intitolare così una mostra che, talvolta, dà proprio l’intenzione di essere bloccata e incoerente nella disposizione dei materiali. Oppure – forse – si trattava di rilevare proprio l’intoppo in cui non si può non incappare quando si parla di sincretismo artistico? Forse, allora, a nessuno interessava la coerenza espositiva e la perfetta fusione di cose molto diverse tra loro, e il gioco stava proprio nel creare degli intoppi. Forse sì, o forse no.
“Glitch”, PAC, fino al 6 gennaio 2015.
Foto: Alterazioni Video, Ambaradan [still from movie], 2014. Courtesy of the Artist and the Gallery.