Fuocoammare: your position a Lampedusa

In Cinema, Weekend

Un anno sull’isola per raccontarne le vite, gli incroci, i paesaggi: è il lavoro riuscito di Gianfranco Rosi, un documentario senza retorica sulle migrazioni e sugli avamposti

‘Your position, your position’. La voce, per radio, continua a insistere mentre dall’altra parte si chiede sempre più febbrilmente aiuto. Your position è l’informazione decisiva, quella che può fare la differenza tra il contare ancora morti in fondo al mare nostrum o consegnare alla terra i sopravvissuti del Mediterraneo, donne, bambini, uomini che potranno cantare, nel centro di accoglienza di Lampedusa, un dolente gospel “Il mare non è un luogo da oltrepassare. Il mare non è una strada. Ma oggi siamo vivi”.

Your position è anche la chiave vincente di Fuocoammare, meraviglioso titolo del documentario che Gianfranco Rosi ha girato a Lampedusa e che è da qualche giorno nelle sale: paese, mare, scogli, migranti e cittadini, grandi e bambini, navi e pescherecci, vento, pioggia e fichi d’india, sommersi e salvati. Un documentario, quello dell’autore di Sacro Gra, Leone d’oro nel 2013 alla Mostra di Venezia, che ha conquistato il festival di Berlino (qui la cronaca e i commenti lusinghieri della stampa internazionale) e che ha impegnato a lungo il suo autore. Lo ha raccontato lui stesso in diverse interviste: il progetto originario, sull’idea di Carla Cattani, era di realizzare un corto di pochi minuti, destinato al pubblico europeo. “Una volta arrivato sull’isola ho scoperto una realtà molto lontana dalla narrazione mediatica e politica, e ho verificato l’impossibilità di condensare in pochi minuti un universo così complesso come quello di Lampedusa”.

Ed ecco affacciarsi la necessità di trovare un proprio punto di vista, un proprio modo di stare a Lampedusa e di raccontarla: ‘your position’ insomma. Per Rosi ha significato un anno sull’isola, una casa vicino al porto, l’incontro con i lampedusani, con la loro memoria e la loro quotidianità, dal dottore dell’isola, Pietro Bartolo che gli apre il computer, mostra le immagini di chi è morto e di chi ce l’ha fatta, fino al piccolo Samuele dall’occhio pigro, ma comuque ottimo tiratore di fionda, isolano di terra che deve farsi lo stomaco per reggere il mare.

E poi l’incontro con il mare di Lampedusa, mare blu, mare misterioso, profondità di pesci e ricci per il pescatore solitario, mare mai visto, ostile, che non è una strada, ma l’incubo dei migranti raccolti dalle tute bianche dei soccorritori della Marina militare. Rosi racconta di avere trovato, alla fine, la possibilità – e la posizione – per mostrarci cosa accade sul mare di Lampedusa: come si salvano esseri umani piagati dal sole e dal kerosene, che piangono lacrime rigate di sangue, e come si scoprono stive piene di poveri corpi. “Very hot”, troppo caldo lì sotto, racconta un profugo eritreo. Ognuno ha una sua posizione nel piccolo mondo sul mare che è quest’isola, dove l’arrivo dei migranti è quasi fantasmatico: un molo laterale e i pullman che nelle notte portano al centro di accoglienza, dove, rivincita della vita, si riescono anche ad accendere partitelle di pallone e rivalità nazionali. Ognuno ha una sua posizione ben raccontata, pulita, senza retorica: bellissima nella sua saggezza e umanità quella del medico che accoglie con la stessa attenzione le piccole ansie che, di tanto in tanto, mozzano il respiro a Samuele e il battito di due gemelli nel grembo della loro mamma sfinita dalla traversata. “Nessuno che si possa dire uomo può non soccorrere queste persone” dice e racconta che a tutto questo non si può fare l’abitudine. Lui sa benissimo dov’è e chi è : Your position, appunto.

(Molti anni fa, la notte di Natale del 1996, si registrò nelle acque davanti a Porto Palo, in Sicilia, uno dei primi naufragi, quello della nave Yoan, in cui perirono centinaia di persone. Il Mediterraneo non era ancora e non era percepito allora come il luogo in cui i naufragi si susseguono a ritmo costante, indefesso, e quasi nessuno volle dar credito e a chi, da questa parte, aspettava invano l’arrivo di quella nave che portava cingalesi, pakistani, afgani, né alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, sbarcati in Grecia. Solo il lavoro di alcuni giornalisti – Livio Quagliata, Dino Frisullo, Giovanni Maria Bellu che presero sul serio un lancio dell’agenzia Reuter e il racconto di chi in Italia attendeva amici e parenti – tenne accesa la luce su una notizia che avrebbe potuto letteralmente essere inghiottita dal mare e consentì, nel tempo, di chiarire le dimensioni e le dinamiche di quello che rimane una delle più grandi tragedie del Mediterraneo, paragonabile a quelle vissute di recente proprio nelle acque di Lampedusa. Anche in quel caso your position, la posizione ha fatto la differenza).

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