La sfida delle donne saudite

In Weekend

Michela Fontana racconta in ‘Nonostante il velo’ la sua esperienza in Arabia Saudita tra donne segregate e sotto tutela ma in cammino. Aldilà degli stereotipi

Se si appartiene al sesso femminile e capita di dover accompagnare il marito che si trasferisce per lavoro in Arabia Saudita si possono seguire due strade: rifiutarsi di andare oppure considerarla un’ opportunità. Naturalmente ho scelto la seconda strada. Ed è nato così Nonostante il velo.

Per i due anni e mezzo che ho vissuto nella capitale Riad, dal 2010 al 2012, ho scelto di esplorare il paese arabo più conservatore, culla del wahabismo (un’ interpretazione dell’Islam fortemente conservatrice, all’interno della galassia dei movimenti salafiti) che applica alla lettera la Sharia, ha ispirato e finanziato i movimenti più integralisti come Al Qaeda e ha dato i natali a Osama Bin Laden e a 15 degli attentatori delle torri gemelle. Un regno dove le donne dipendono per tutta la vita da un uomo, il loro “guardiano”   e dove, unico paese nel mondo, non possono nemmeno guidare l’automobile.

Ho messo in pratica il mio proposito di capire un mondo così alieno come fosse una sfida, fino a dove i limiti rigorosi che vengono imposti alla parte femminile me lo consentivano. Mi sono comprata un’abaya, la veste nera di materiale sintetico lunga fino ai piedi, abbottonata con una fila di tristi bottoni automatici, e un velo, e ho assunto un autista indiano, Badar, grazie al quale potevo muovermi in città, come fanno le saudite che se lo possono permettere. Sempre attenta a non farmi notare dai mutaween, i membri del “Comitato per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù”, ovvero la polizia religiosa che pattuglia la città, pronta a stigmatizzare e punire ogni trasgressione alle regole di comportamento. E poi mi sono immersa nel mondo femminile, precluso agli uomini, dato che in Arabia Saudita vige una segregazione sessuale tra le più rigide del mondo islamico. Ovvero nei luoghi pubblici le donne non si possono mescolare agli uomini, in un harem diffuso fatto di ingressi e locali separati nella maggior parte degli esercizi commerciali e in tutti i ristoranti.

Ne è valsa la pena. Il mio percorso di scoperta ha dato frutti insperati, grazie alle donne di diverse età ed estrazioni sociali, che mi hanno  raccontato con disponibilità le loro vite e i loro problemi, superando l’iniziale diffidenza. Ho incontrato professioniste di successo – sì, ne esistono anche in Arabia Saudita – docenti universitarie, studentesse, attiviste che lottano per il diritto alla guida o semplici mogli e madri.

In Nonostante il velo racconto che, pur tra mille contraddizioni,  ambiguità e fatiche, molte donne saudite sono forti, determinate, vogliono cambiare e stanno indirizzando il paese verso una maggiore modernizzazione. Sono loro il tesoro nascosto del paese. Soprattutto le giovani generazioni   che eludono la segregazione chattando con i ragazzi, frequentano i social networks,   scaricano film dalle rete, assaporano una maggiore libertà di pensiero, rifiutano i matrimoni combinati dalle famiglie e chiedono ai genitori di poter terminare gli studi e trovare un lavoro prima di sposarsi. Sono le giovani, pur con timidezza e ambiguità, a mettere in discussione il modello tradizionale di sottomissione totale all’uomo e a rifiutare la poligamia, ancora in vigore nel paese, che consente ad ogni uomo di avere quattro mogli contemporaneamente, secondo i dettami della Sharia.

Da lontano è difficile credere che la società saudita stia lentamente cambiando ma, grazie alle timide riforme messe in atto dal re Abdullah, recentemente scomparso (oggi regna il fratello Salman anche lui figlio di Ibn Saud, che fondò l’Arabia Saudita nel 1932), le donne sono divenute membri del Consiglio consultivo del re (lo Shura) e potranno partecipare alle prossime elezioni per i consigli municipali. Un passo avanti anche se entrambi gli organismi non hanno alcun potere decisionale. Le studentesse universitarie hanno avuto la possibilità di ottenere borse di studio del governo per studiare all’estero, purchè siano accompagnate da un parente di sesso maschile che garantisca per loro. E nei negozi frequentati dalle donne (profumerie, biancheria intima e alcuni supermarket) oggi giovani donne interamente velate possono servire come commesse e cassiere. Sembra poco per noi occidentali, per loro è quasi una rivoluzione.

Ma l’Arabia Saudita, regno del petrolio, è un paese di forti contrasti. E’ infatti anche vero che la maggioranza delle saudite sono ancora tenacemente favorevoli alla conservazione del vecchio sistema patriarcale, non vogliono guidare e rispettano i dettami della loro cultura fortemente tribale dove le donne sono proprietà degli uomini. Si considerano “protette” dai loro guardiani e hanno un’immagine distorta e negativa delle società occidentali, dove pure trascorrono lunghi periodi di vacanza e di studio, società da loro considerate “corrotte e immorali” e dove le donne sono ridotte al rango di “prostitute” (sic).

Spesso mi chiedono quale storia tra le molte che ho raccolto, mi ha colpito di più. Forse Aisha, sessantenne pioniera del femminismo locale, che ha partecipato nel 1990 all’unica manifestazione della storia del regno saudita, un gruppo di donne che si sono messe alla guida di un corteo di automobili e che in seguito al pacifica protesta, hanno perso il lavoro e sono state bollate dalla società come “prostitute al soldo dell’Occidente”. Aisha, donna forte e determinata, dirige oggi un’azienda ospedaliera che appartiene alla sua famiglia. Oppure Eman, la giovane blogger che con un gruppo di attiviste ha indetto le più recenti campagne per la guida. Dopo essere stata brevemente imprigionata, oggi ha paura di esporsi ancora. Mi hanno colpito anche le giovani ragazze che, con entusiasmo e speranza, passano la giornata a twittare, sognano l’amore romantico e vogliono realizzarsi attraverso il lavoro.

[youtube width=”650″ height=”315″ video_id=”mUwWVgxetXE”]

Ma il mio libro l’ho idealmente dedicato a Whada (per proteggerla ho cambiato il suo nome) la giovane donna impiegata in un’azienda, che viveva con la famiglia ed era sistematicamente e brutalmente picchiata dal padre-guardiano dal fin da quando era bambina, senza poter ricevere alcun aiuto nemmeno dalla polizia, che in Arabia Saudita rispedisce sistematicamente dal loro guardiano le donne abusate che riescono a uscire di casa in cerca di aiuto.

Whada mi ha raccontato la sua odissea per un anno intero e poi  ha trovato la forza di organizzare una rocambolesca e sofferta fuga dal paese. Oggi vive, con fatica e molta nostalgia dei luoghi della sua infanzia e dei parenti che le hanno voluto bene, senza poter fare nulla per lei, a migliaia di chilometri di distanza da Riad.

Nonostante il velo VandA epublishing ( e-book euro 4.99, Per Kindle, Kobo, Apple Store, su Amazon anche in copertina flessibile euro 9.52)

(Visited 1 times, 1 visits today)