Il punto di vista della felicità

In ricerche, Weekend

Italia divisa e polarizzata: il 40% si dichiara più o meno infelice, il 59 molto o abbastanza soddisfatto. E dopo il Covid è cresciuta l’area degli infelici. Dentro la ricerca di Sono qualche sorpresa, le risorse e i problemi insoluti della nostra società: la questione del lavoro, la condizione dei più giovani e delle donne sono i nodi spinosi, mentre se la cava alla grande la terza età, grazie ad alcuni fattori messi a fuoco dall’indagine e che fanno l’impasto di una buona vita

Quanto siamo felici noi Italiani e Italiane? Qual è il trend dell’ultimo triennio?  Che strategie possiamo adottare per migliorare il nostro benessere esistenziale? E, infine, cosa capiamo del nostro Paese guardandolo dal punto di vista della felicità?

A queste domande risponde l’ultima ricerca demoscopica commissionata da Sòno, l’associazione di promozione sociale ‘non profit’ da me fondata e presieduta, che si occupa di aiutare – con metodo non psicologico – coloro che vivono un momento di confusione, solitudine, blocco.

L’indagine, realizzata tramite 1.415 interviste a un campione rappresentativo dei 43.2 milioni di nostri connazionali tra i 18 e i 75 anni, segnala anzitutto una forte polarizzazione: il 40% si dice più o meno infelice e il 59% molto o abbastanza soddisfatto della sua vita (l’1% non risponde). Dunque, si osserva anche qui la spaccatura dell’Italia in due: quel dualismo – anzitutto di classe – che ci soffoca da due secoli.

Per l’esattezza, il 14% si narra disperatamente infelice e il 26% poco felice: più della media i giovani, le donne e i soggetti LGBTQ+, i residenti nel nord-ovest e nelle regioni centrali, gli abitanti nei piccoli e nei grandi comuni, i single, i poveri e i semi-poveri, i disoccupati e gli occupati a tempo determinato o parziale, coloro che hanno solo la licenza elementare o media inferiore.

All’opposto, il 38% si definisce molto felice e un altro 21% abbastanza realizzato: sopra la media i maschi, i 65-75enni, i residenti al sud e nella vasta provincia, i soggetti in coppia ma non conviventi e – solo poi – i membri di coppie che vivono insieme (specie con figli), i benestanti e i ricchi, i diplomati e i laureati, i lavoratori dipendenti (se non precari) e gli imprenditori coi dirigenti e i liberi professionisti.

Le grandi questioni sociali correlate alla felicità/infelicità 

  • La questione giovanile. I giovanissimi 18-24enni sono molto infelici in una misura superiore del +39% alla media degli Italiani. Da questa ricerca emerge che giocano qui l’incertezza del futuro; il diffuso pessimismo circa il lavoro (previsto o verificato scarso, precario, sottopagato, non corrispondente alle proprie aspettative e ai propri studi e vocazioni); un cupo pessimismo circa la possibilità a breve o medio termine di lasciare la famiglia di origine, di andare a vivere in coppia e poi eventualmente di fare figli; la potente diffusione delle preoccupazioni circa l’ecocidio e il cambiamento climatico; lo specifico disagio femminile per i forti residui di maschilismo patriarcale e violento; il senso di arretramento rispetto alle generazioni dei genitori e ora anche dei nonni. Come si vedrà tra breve, la questione giovanile si intreccia con quella del lavoro e risulta anch’essa espressione di un’altra contrapposizione tra i figli e figlie dei ceti subordinati – destinati al disagio esistenziale – e quelli dei ceti privilegiati, ai quali il domani sorride.
  • La non questione della nuova terza età. Gli anziani del nostro campione, cioè i 65-75enni, sono in misura minore della media molto infelici (-10%), mentre risultano in misura maggiore della media molto felici (+8%). Contro l’immagine dominante di una vecchiaia triste, povera, debole dal punto di vista psico-fisico, ecc. si conferma che in Italia i problemi cognitivi, di autonomia, di mobilità personale, ecc. si palesano in genere dopo la soglia degli 80 anni e cioè nella quarta età. In altre parole, i 65-75enni non vanno considerati vecchi ma ‘post-adulti’. A conferma, i pensionati sono il gruppo socio-professionale con la quota massima di assai felici (addirittura +150% a confronto con il totale degli Italiani). Le principali motivazioni individuate sono il buono od ottimo stato di salute dei 65-75enni; la loro vitalità in termini di movimento, attività indipendenti, interessi, passioni; l’ancora dispiegata sessualità (grazie anche ai vari Viagra, Cialis, Levitra), seppur in calo di frequenza ma non di affettività; il frequente orgoglio per i risultati ottenuti nel corso della propria vita (che ha compreso la ‘golden era’ del trentennio di crescita dell’economia e dei redditi familiari); il contributo – spesso decisivo – al bilancio delle famiglie dei figli (conviventi e non) e ora anche di molti nipoti; la gratificante auto-percezione di saggia esperienza nel vivere; per alcuni, anche il mantenimento di una certa progettualità a medio termine, senza la sensazione che sia passato ‘l’ultimo autobus’ della propria esistenza. È in atto, insomma, una vera e propria rivolta dei post-adulti, portatori tra l’altro dei valori e delle esperienze di massa della sinistra ‘rossa’ e del cattolicesimo popolare.
  • La questione del lavoro. È, forse, la più drammatica: basti dire che gli inoccupati/disoccupati (i primi non hanno mai trovato un lavoro e i secondi lo hanno perso) si dicono molto infelici per il +74% rispetto alla media della popolazione, il che vale anche – in misura più bassa – per le casalinghe (+46%). A conferma, i disoccupati si dichiarano molto o abbastanza felici per un -64% rispetto alla media dell’intera popolazione. Non basta: i lavoratori a tempo determinato sono assai infelici, ben più di quelli a tempo indeterminato; così come i part timer battono in forte infelicità coloro che hanno un lavoro a pieno tempo. Emerge con chiarezza che la felicità è legata al lavoro, purché questo sia stabile (non necessariamente a vita), non precario, non saltuario, non parziale, non sottopagato e/o ‘in nero’. In sostanza, anche guardando le cose dal punto di vista della realizzazione esistenziale, quest’ultima riceve forti sostegni da un’occupazione rassicurante e dignitosa, che tra l’altro consenta di sviluppare progetti per il futuro (uscire di casa, convivere ed eventualmente sposarsi, fare figli, eventualmente separarsi, coltivare interessi, pensare al domani in termini positivi e dinamici). La negatività dello sfruttamento emerge ancora una volta, specie in anni come questi, caratterizzati dalla prevaricazione e da mille pratiche neo-servili, modernamente schiavistiche.
  • La questione femminile. Rovesciando la tradizione degli ultimi ventuno anni, le donne sono diventate molto infelici in misura nettamente superiore agli uomini (+29%). Il dato è, almeno in parte, spiegato dalla debole posizione nel mercato del lavoro; dalla persistente disparità negativa tra i redditi; dal crescente rifiuto del ruolo di casalinga, divenuto molto più infelicitante nel primo ventennio del secolo; dalle sempre più potenti istanze di autonomia e di ‘liberazione’, specie nei contesti socio-culturalmente arcaici; dalle troppe speranze deluse; a volte dalle opprimenti attività di cura degli anziani disabili (che ricadono in larga misura solo sulle donne, come avviene per la cura della prole e dei malati in genere); dal montante conflitto tra la crescente scolarizzazione – frequentemente con buoni od ottimi risultati scolastici delle ragazze – e la realtà e le prospettive di valorizzazione delle competenze acquisite; dall’inadeguata quantità di tempo per sé, legata a ritmi di vita soffocanti e spesso stressanti; dal vissuto di crescente violenza maschile nei confronti delle donne (gelosia ‘proprietaria’, forte aggressività, molestie, stupri, femminicidi). Si è determinato così un apparente paradosso: il Paese ha introdotto talune modifiche legislative a favore delle donne, mentre la cultura collettiva sta divenendo più sensibile ai loro diritti; epperò loro corrono più veloci: col risultato che le differenze delle velocità relative accrescono l’insoddisfazione femminile, portandole spesso all’esasperazione. E ciò che vale anche per le persone LGBTQ+, tuttora spesso penalizzate dagli orientamenti intolleranti delle famiglie e di gran parte della società, specie in questi anni di dominante fascio-leghismo.
  • La questione del nord-ovest. Il nord-ovest – inteso in senso ristretto come Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia – malgrado sia una delle aree più sviluppate del Paese, è quella con la maggior quota di assai infelici (+31% rispetto alla media nazionale). È evidente che il cosiddetto ‘modello di sviluppo’ turbo-capitalistico fa soffrire molta parte della popolazione: quella che il potere cerca di coinvolgere nella folle dinamica dell’iper-produttivismo e del furto del tempo ‘libero’.
    La questione dei piccoli comuni. I residenti nei comuni con meno di 10mila abitanti risultano in massima misura (+32%) molto infelici rispetto alla media campione; ma qui si nota una netta polarizzazione, dal momento che alcuni si dichiarano anche molto più felici (+14%). Qui giocano diverse motivazioni, in parte contrastanti tra loro. A favore della forte infelicità nei comuni minori troviamo la marginalità (specie in termini di accesso ai servizi: in particolare quelli sanitari e connessi alla mobilità); la carenza di attività professionali, specie avanzate; quella di attività ricreative; quella di variegati contatti sociali; e, infine, la povertà culturale. A favore della forte felicità, all’opposto, troviamo la maggior integrazione sociale, la conoscenza di tutti con tutti, l’informalità delle relazioni inter-personali, i legami con la tradizione, la minor discriminazione dei soggetti ‘deboli’, il più forte peso della fede, i ritmi più lenti del vivere. Il tutto all’insegna d’una negativa marginalità, epperò più umana.
  • La questione dei single. La forte infelicità dichiarata di coloro che vivono soli è assai più alta della media (+67%). Altri dati mostrano che vivere da soli risulta peggio del non avere un amore. Colpisce il fatto che questo tipo di famiglia cresce ovunque (nelle aree avanzate – come Milano – è già diventato dominante) ma contribuisce a una crescita dell’insoddisfazione esistenziale: vivere in solitudine per molti vuol dire solitudine, abbandono, tristezza, difficoltà di relazioni sociali (anche se per altri – ma meno numerosi – significa autonomia, libertà, migliori rapporti personali ed erotici).
  • La questione della diseguaglianza sociale. I soggetti che si definiscono di classe sia media sia medio-alta/alta risultano assai meno drammaticamente infelici di quelli di classe medio-bassa e bassa (-61%). Ciò vale anche in senso opposto: i soggetti di classe medio-alta/alta si dicono assai felici in misura nettamente superiore a quelli di classe medio-inferiore/inferiore (+135%), mentre la classe media ha un divario un po’ più basso, ma comunque significativo. Il tutto segnala una nettissima ineguaglianza socio-economica, che risulta confermata dal titolo di studio, che in Italia segue tradizionalmente l’andamento del reddito familiare: per esempio, coloro che non hanno superato la scuola dell’obbligo sono più infelici dei diplomati e dei laureati (+75%). In aggiunta, i ceti ‘up’ (imprenditori, dirigenti, liberi professionisti) hanno la minor quota di assai infelici (-63%), mentre domina il ceto medio (impiegati/quadri/ insegnanti/artigiani). Le ineguaglianze socio-economiche continuano, quindi a ‘picchiare duro’, sempre più duro, sull’Italia: e non è, appunto, solo questione di soldi (i ricchi sempre più ricchi… eccetera), ma anche di soddisfazione nel vivere, pressoché negata ai ceti subordinati.
  • Il trionfo della famiglia. Le persone coniugate o regolarmente conviventi sono quelle che dichiarano la minor forte infelicità rispetto ai single (-167%). Di più: l’intensa felicità è maggiore nelle famiglie da due componenti in su. Dunque, la coppia – sia ‘de facto’ sia istituzionalizzata – stravince, tra l’altro anche in termini di maggior intensa felicità (+70% sempre rispetto ai single). E si può aggiungere che avere in casa giovani e vecchi garantisce la maggior grande felicità. Con tutti i suoi limiti la famiglia non mono-nucleare continua, pur con netti svantaggi per le donne, a offrire protezione e compagnia: contro la solitudine, per molti massima causa di infelicità (specie se accompagnata dalle povertà materiale e culturale).

Il trend recente della felicità/infelicità “Pensi agli ultimi 3 anni. Come si sente oggi rispetto all’autunno 2019, prima della pandemia di Covid19?”: è questa la domanda che è stata posta a tutto il campione.  Il primo dato interessante è che – come molti prevedevano – è fortemente cresciuta l’area dell’infelicità dichiarata (+38.8%). Ma – sorprendentemente per tanti – si è estesa anche l’area della maggiore felicità (+29.5%), mentre gli ‘stabili’ ammontano al 31.2%. Emerge, quindi, un sensibile peggioramento della situazione da questo punto di vista (i più infelici rispetto a 3 anni fa sono circa 16.7 milioni di Italiani adulti). Ma è interessante osservare che, pur in questo periodo difficile, ci siano anche circa 13.0 milioni di nostri connazionali che hanno potuto incrementare la loro soddisfazione esistenziale. Con un’aggiunta: coloro che si dichiarano più infelici rispetto alla fine del 2020  si registrano fra le persone di sesso femminile, i 55-75enni, coloro che abitano al Sud  e nei centri che hanno 10-30mila abitanti; una maggior infelicità è segnalata pure tra i disoccupati, coloro che appartengono ai ceti ‘up’ o lavorano a tempo determinato e/o parziale;  i diplomati. È stato riscontrato un peggioramento pure tra coloro che vivono da soli e fra coloro che hanno una condizione economica inferiore. Ma il quadro è appunto variegato, anche se il saldo è negativo: i più infelici superano i più felici nel periodo di quasi 3 milioni di Italiane/i.

I 15 consigli degli Italiani/e su come essere felici
L’indagine sulla felicità delle Italiane e degli Italiani, commissionata da Sòno, ha esaminato 158 aspetti del vivere. Dal loro esame sono emersi i macro-fattori che contribuiscono alla felicità dei nostri connazionali. Essi possono essere letti come consigli sintetici per accrescere la nostra soddisfazione esistenziale. Eccoli in ordine decrescente di importanza:

  • Avere forti valori (55%) e realizzarli essendo una persona che ha degli ideali e si batte per essi, non individualista o materialista, per bene, seria, responsabile, competente, attiva, capace di raggiungere i suoi obiettivi, attraente. Il consiglio viene specialmente dalle donne e dai 45-75enni. Domina, quindi, un’istanza etica (contro un mondo percepito come corrotto) e altruista (contro l’individualismo egoistico).
  • Sentirsi riconosciuti (53%) e apprezzati come persone di valore, senza credersi sempre deplorati, perseguitati, emarginati, aggrediti. Il consiglio viene specialmente dalle donne e dagli adulti. È forte la domanda di attenzione (sin dall’infanzia) di stima, di valorizzazione: una domanda che, se non soddisfatta, determina una profonda, permanente insoddisfazione esistenziale.
  • Star bene con gli altri (52%) con simpatia, allegria, calore, capacità di ascolto e di dialogo, generosità, altruismo, empatia. Il consiglio viene specialmente dalle donne. Emerge qui un’idea di socialità calda e felicitante, di comunità libera e aperta, di estroversione oblativa di modello mediterraneo.
  • Essere miti (49%), gentili, non aggressivi, sereni, coscienti della propria fragilità, benevoli con sé e con gli altri, umani, semplici. Il consiglio è dato in particolare dalle donne e dai 35-75enni. Qui si tratta dell’opposto del delirio di onnipotenza, dell’aggressività competitiva, dell’‘homo homini lupus’: con un’idea di serenità amichevole estranea alla cultura dominante
  • Fare un buon bilancio esistenziale (48%) rivendicando le origini e il percorso di vita, le difficoltà superate, i propri sforzi e successi, le mete raggiunte, la ricerca del senso dell’esistenza. Il suggerimento deriva soprattutto dalle donne e dai 45-75enni ed esplicita il rigetto della carenza di autostima e della svalorizzazione da parte degli altri: due fattori che rovinano la vita a tanti individui, come mostra l’esperienza di Sòno negli ultimi sei anni nelle relazioni d’aiuto tramite l’ascolto empatico e attivo.
  • Far fluire le emozioni (46%) dentro e fuori di sé, senza timori, filtri, censure, sapendo piangere e ridere liberamente, senza privilegiare la razionalità lucida e fredda. Il consiglio arriva senza pari dalle donne e dai 35-75enni e si connette alla convinzione che la felicità sia anzitutto emozionale.
  • Stare bene con se stessi (45%), anche in solitudine, per riflettere, meditare, pregare, ricaricarsi, sognare, non far niente. Il consiglio arriva soprammedia dalle donne e dagli adulti e parla non della solitudine coatta, abbandonica, triste o disperata, ma di quella buona, incentrata su un mondo interno ricco e coccolato, con lentezza e gusto dell’approfondimento.
  • Progettare il futuro (44%), malgrado tanti timori, con allegra voglia di determinarlo. Il consiglio viene soprammedia dalle donne e dai 35-53enni e rinvia all’ottimismo critico, all’utilità di proiettarsi in avanti, al desiderio di costruire il domani (specie con altri).
  • Divertirsi (44%) col gioco, lo sport praticato e seguito, la musica, la cultura, la lettura, il cinema e il teatro, l’arte, un po’ di tv, i viaggi, le attività creative, il sesso, ecc.. Il suggerimento proviene specialmente dai 45-54enni e rinvia a un’idea di svago non ristretta e superficiale ma larga e colta.
  • Essere sani (43%) dormendo bene e facendo movimento fisico, con un’alimentazione equilibrata, con un po’ di prevenzione. Tale suggerimento proviene soprammedia dai 35-44enni. 
  • Innovare ed evolvere (41%), con mente aperta e flessibile. Il consiglio deriva soprammedia dalle donne e dai 45-54enni, che insistono sul cambiamento scelto e davvero necessario, non quello imposto dell’assurdo ruota dei criceti in cui s’è trasformata la vita di tanti. 
  • Impegnarsi (39%) nelle proprie azioni e nel darsi da fare per gli altri (anche col volontariato, attività sociali e politiche, ecc.). Il consiglio viene dato soprammedia dai 18-24enni e dai 45-54enni. Esso va in direzione di una rinnovata attivizzazione, per tanti perduta nell’ultimo ventennio: l’idea è quella di un ritorno alla partecipazione democratica, all’‘engagement’, al superamento dell’iper-individualismo cinico e disimpegnato.
  • Star bene in famiglia (35%) col partner e coi figli, nipoti, sorelle, fratelli, genitori, nonni. Il consiglio viene specialmente dai 55-75enni, che propongono valori tradizionali, nella convinzione minoritaria che la ‘vecchia e larga comunità familiare’ del passato abbia ancora un ruolo-chiave nel render felici gli italiani (seppur meno chiusa, patriarcale, maschio-centrica, sessuofoba di un tempo). 
  • Amare ed essere amati/e (33%) da una o da un partner, con passione e coccole, carezze e abbracci, allegra intesa sessuale, in dolci e rispettosi rapporti ‘alla pari’ valorizzanti i diversi interessi dei membri della coppia. Il consiglio proviene soprammedia dai 25-44enni.
  • Essere autonomi (30%), non dipendere dagli altri, anche con polemica oppositività, con rigetto del servilismo, dell’obbedienza acritica, del conformismo.

Come si vede, le ‘ricette della felicità’ risultano per lo più estranee alla realtà attuale e alla ideologia del potere: delineano, anzi, una filosofia di vita per molti versi alternativa, un insieme di esperienze e desideri non omogenei al ‘pensiero unico’ del tardo-capitalismo, il cui disassamento dai bisogni collettivi risulta evidente, seppur non riconosciuto. 

In apertura: Venezia Castello, maggio 2022

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