Diario americano: mamma, come si scrive utero?

In diarioCult, Weekend

In America la crociata anti aborto è partita dall’Alabama che ha votato una legge che lo rende illegale anche per le vittime di stupro e incesto e si sta diffondendo ad altri stati, tanto che giganti come Disney e Netflix hanno minacciato la Georgia di fermare le loro produzioni in quello stato se dovesse passare una norma simile. Dal piano pubblico al privato delle case in cui giovanissime donne interiorizzano l’idea di dover stare sempre all’erta a difendere una libertà che passa attraverso il proprio corpo

«Ditemi tre cose belle e tre cose brutte della vostra giornata».

Iniziano quasi sempre così le nostre cene, anche perché durante il giorno ci si incontra di fretta in corridoio e non si ha mai tempo per chiacchierare. Luca dice tutte le sere la stessa cosa: che è andato sul tapis roulant e che ha sognato la nonna Franca, malgrado nessuna delle due informazioni sembra essere vera. Sofia ci ha raccontato del suo rientro dal college e di come sia bello rivedere tutti i suoi amici di Cambridge. Ma quella che ha più cose da raccontare è sempre Emma.

Quando è stato il mio turno, la settimana scorsa ho detto che la cosa più brutta era stato il voto in Alabama che rendeva l’aborto illegale anche per le donne vittime di stupro o incesto, e che per i medici che lo avrebbero praticato era previsto l’ergastolo. Sapevo che questa terribile notizia, che Emma non sapeva (ha solo 12 anni, dopo tutto) avrebbe potuto essere uno spunto per una conversazione interessante.

Emma ha un’idea un po’ approssimativa di cosa sia un aborto, uno stupro e un incesto, e quindi le ho spiegato che se lei vivesse in Alabama e rimanesse incinta, dovrebbe diventare automaticamente anche mamma. «Sai come si fa a rimanere incinta?», le ho chiesto. Certo, risponde lei arrossendo un po’. «Che schifo!».

Le ho ricordato che le fa schifo adesso, ma tra qualche anno meno. Non rimanere incinta, ma fare l’amore. Siccome sto scrivendo un libro su come parlare della sessualità ai figli, ho provato a entrare un po’ più nel discorso prima che lei scappasse inorridita in camera sua. «Non c’è niente di male, Emma. Anche le persone che meno te lo aspetti fanno l’amore. Per esempio, i tuoi professori…».

«Mamma, dai. Ti prego. Cambiamo discorso. Parliamo piuttosto dei diritti di queste donne e di cosa possono fare per decidere cosa fare se non vogliono diventare mamme». Un anno a studiare come meglio intavolare un discorso sul sesso buttato al vento. Transit.

E poi, a me questa cosa qui che i miei figli dodicenni sono più maturi di me a volte dà un fastidio tale da farmi venire l’orticaria. Mentre Sofia, diciannovenne, ha chiesto di alzarsi perché questo discorso sulla legge tremenda dell’Alabama, dice, la stressa un casino, Emma è andata subito su Google per vedere se c’erano già state delle manifestazioni in giro per gli Stati Uniti. Anni fa era andata alla Women’s March e era rimasta molto colpita dal potere di migliaia di persone che camminano per le strade delle città del mondo con i cartelloni a gridare slogan per i diritti delle donne. «Perché io e te non organizziamo una manifestazione in tutti gli Stati Uniti come quella volta?». Le spiego che per mettere in moto degli eventi del genere ci vogliono decine e decine di persone che organizzano, sembra facile, ma è molto complesso. «Allora, mandiamo un’email agli organizzatori dicendo di muoversi!», mi dice senza indugio.

Le faccio vedere un video che avevo trovato su Facebook di alcuni politici democratici dell’Alabama che discutono con i venticinque uomini bianchi che hanno fatto passare la legge medievale e vedo che si commuove nel sentire alcune donne che chiedono che il governo abbandoni una volta per tutte il loro utero e che diano loro la possibilità di scegliere cosa fare del proprio corpo e della propria vita.

Emma ha scoperto cosa fosse l’utero la settimana scorsa, quando eravamo in macchina e mi aveva chiesto della mia giornata. «Oggi è andata bene, sono andata dalla ginecologa e mi ha detto che il mio utero è a posto», le avevo detto, e lei mi aveva chiesto spiegazioni. «È stata la tua prima casa!», le avevo detto sorridendo.

Quando anche Emma si è alzata da tavola per andare in camera sua e fare un cartellone per una possibile imminente manifestazione, sono stata assalita da un senso di angoscia nel pensare che questa legge, per quanto assurda, potrebbe essere solo l’inizio di una rivoluzione contro Sofia, Emma e tutte le giovani donne americane. Mi ha fatto anche molta impressione che già così piccola, Emma abbia interiorizzato l’idea di dover combattere contro chi la pone su un piano inferiore rispetto ai maschi, che abbia meno diritti e meno voce in capitolo, anche quando si tratta del suo corpo.

Cominciamo presto, noi donne, a capire che dobbiamo gridare slogan, dobbiamo stare sempre all’erta perché la nostra vita possa essere gestita da noi e non da politici che puzzano di muffa e di patriarcato.

Mentre Dan faceva la cucina, sono andata in camera sua. Era seduta per terra con in mando un pennarello nero davanti a un cartellone bianco e mi ha chiesto: «Come si scrive utero?».

 

Immagine di copertina: Women’s March for Reproductive Rights, Chicago Illinois, 5-20-19 © Charles Edward Miller

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