Breve tassonomia delle creature fantastiche

In Letteratura

Dal catoblepa all’uomo falena, dal minotauro a Westworld: una breve classificazione delle creature fantastiche (e dove trovarle).

Fin da quando ero piccolo, uno dei maggiori punti di contatto con mia madre erano tutti quegli argomenti che rientrano nel grosso calderone dei Misteri, da Nostradamus agli Atlantidei, per capirci (che poi, secondo alcuni i due sarebbero anche piuttosto collegati). Giusto per fare un esempio: i primi libri che ricordo di aver letto, Battello a Vapore esclusi, sono una discutibile collana che usciva in edicola a inizio anni 2000, il cui primo volume era dedicato alla ricerca scientifica dell’Uomo delle Nevi. E sottolineo scientifica.

Comunque, tutto questo per dare un’idea di con quanta gioia solo in parte nostalgica ho letto La piccola enciclopedia dei mostri e delle creature fantastiche, scritta da Orazio Labbate. Il piccolo volume raccoglie una quarantina fra demoni, fantasmi, esseri del folklore, come per esempio gli gnomi, e bestie impossibili, come il grifone. Alcuni di questi sono piuttosto conosciuti – il vampiro, l’arpia -, altri molto meno. (La mia creatura preferita, già che ci siamo, rientra proprio fra queste: il catoblepa, una bestia dalla grossa testa di maiale, così pesante che non si solleva quasi da terra, e per fortuna, considerando che chi ne coglie lo sguardo ne viene ucciso. Una bestia, il catoblepa, “sinistramente malinconica”). Labbate per ogni essere indica la provenienza geografica e soprattutto filologica, ne fa una breve descrizione, e ne mostra il valore letterario o morale. Inoltre, per ognuna vi è un’illustrazione medievaleggiante di Marco Ugoni. Ci si muove, leggendo questa Piccola enciclopedia, a metà fra Borges e un antico bestiario. Ma una volta terminato, mi sono venute due domande, una conseguenziale l’altra: qual è il senso di leggere un libro simile proprio ora? Non risulta quanto meno anocrinistico, o, alla meglio, un puro e innoquo divertissement? E, subito dopo: perché dovrebbe risultare anacronistico? Quelle creature fantastiche sono veramente così distanti da noi? D’altronde, Labbate stesso inserisce l’Uomo Falena in questa raccolta. (L’Uomo Falena, per tutti quelli che non sono cresciuti con mia madre, appartiene alle leggende metropolitane americane della seconda metà del’900. Dovrebbe esserci anche un film con Richard Gere a riguardo).

Partendo da questo punto, la situazione contemporanea di mostri e creature fantastiche, vorrei provare ad aggiornare, un po’ per gioco e un po’ per serietà, la tassonomia fantastica.

SYSTEMA MONSTRI
Prima di tutto, una breve premessa al metodo di questa tassonomia: per organizzarla mi sono basato principalmente sul concetto di limite, confine. È stato un criterio totalmente arbitrario, che evidenzia particolari caratteristiche e significati delle creature, magari mettendone in secondo piano altri. Quindi, sia chiaro, quella che vado a proporre è una tassonomia totalmente arbitraria, scelta più per ipotesi lavorativa che altro. E che probabilmente la dice lunga sul mio modo di guardare al mondo.

I
La prima categoria a cui possiamo fare riferimento è il limite geografico: ovvero, quelle creature che sembrano provenire dagli angoli più remoti e sperduti della Terra. La soglia qua è solo apparentemente fisica, in realtà è il confine fra ciò che esiste – la nostra realtà che conosciamo e viviamo -, e la fantasia che cerca di colmare ciò che non sappiamo: quelle terre, cioè, esistono, eppure io non le vedo, non le vivo, diventano casa dei miei sogni e delle mie paure. È da queste profondità che vengono il Leviatano, mostro biblico marino, o il catoblepa (lo ricordate, no?), che, per Plinio, vive ai limiti dell’Etipioia. O, ancora, il Mostro di Loch Ness, che unisce le profondità geografiche (si fa per dire, è pur sempre un lago) con quelle temporali, con la sua natura di ancestrale creatura preistorica miracolosamente giunta fino a noi. Apparentemente ora come ora, in un mondo privato di angoli bui o sconosciuti, questi animali, frutto della meraviglia e dell’ignoto, sembrano scomparsi. Eppure storie e misteri sopravvivono sotto la superficie. Letteralmente. Le profondità oceaniche sono probabilmente le ultime zone ancora quasi per niente esplorate sul nostro pianeta. Divengono, così, l’equivalente dei territori mitici dell’antichità. Ecco nascere e diffondersi tutta una serie di racconti e creature che vanno dagli animali giganteschi (di cui occasionalmente captiamo i suoni o immagini criptiche) a vere e proprie civiltà nascoste che popolano il mondo abissale.

II
Il secondo gruppo fa riferimento alla labilità dei confini fra i singoli animali: animali comuni presi a sè, cioè, si fondono dando vita a creature mostruose. Così il grifone, testa d’aquila e corpo da leone, o la chimera, di nuovo corpo da leone, ma con coda-serpente e una seconda testa di capra sul dorso. Qua il mostruoso è determinato dalla confusione, dal rimescolamento di un ordine soltanto apparentemente fissato. Sono le regole della natura che vengono meno. La parte conturbante del miracoloso, se vogliamo. Gli OGM, organismi geneticamente modificati, sono oggi la realizzazione scientifica e concreta di questi animali mitologici. In particolare, vi è la congiunzione della chimera e dell’hybris. Ovvero, il sovvertimento delle regole e dei limiti naturali per mano dell’uomo, che, così, si trova a sfidare la Natura e Dio stesso. Se la chimera mitologica era, in fondo, un miracolo, l’OGM ne è la parodia umana. Alla base della diffidenza verso gli OGM vi sarebbe quindi, in parte, una vera e propria reticenza mitica, la stessa, in fondo, che ci porta sì a ringraziare Prometeo per il fuoco, ma anche un po’ a biasimarlo per aver sfidato gli Dèi.

III
La terza categoria di mostri è caratterizzata dalla porosità dei confini di ciò che significa essere umani. Ovvero, il terzo limite è l’identità. Per esempio, il minotauro testa ciò che separa l’uomo dall’animale; lo zombie o il fantasma, quello fra la vita e la morte. Personalmente, il mio preferito, in questo caso, è la Gorgone. Jean-Pierre Vernant la identificò come l’Altro per eccellenza. Guardandola, l’individuo ne rimaneva pietrificato proprio perché ne entrava in contatto, non riuscendo più a discernere fra se stesso e l’alterità. I mostri di questa categoria (ma in parte anche quelli precedenti) portano una grande sensazione di perturbante. Ovvero, secondo Freud, detto brevemente, quella sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di famigliare e conosciuto, ma deviato verso l’ignoto e il sinistro. La labilità del confine, per esempio, fra vita-morte dello zombie ci fa trovare una persona proprio come noi, quindi il massimo della famigliarità, che però è entrata in contatto con il massimo dell’estraneità: la morte. È il conoscibile che nasconde l’inconoscibile. Se oggi, almeno apparentemente, il confine fra Uomo e Natura si è solidificato, vuoi per l’urbanizzazione, vuoi per i progressi tecnici, si è andato a determinare un altro tipo di porosità: quello fra Uomo e Macchina. L’androide è, infatti, la cifra stilistica di questa ossessione. Dove finisce la macchina e comincia l’umanità? Cos’è che ci rende veramente uomini? La nostra mente? I nostri sentimenti? La complessità dei nostri pensieri? Quanto di tutto questo, però, è veramente unico, non replicabile? Non riproducibile tecnicamente? Forse quando Walter Benjamin scrisse dell’Opera d’Arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica era soltanto un preambolo all’Uomo nell’epoca della sua riprodocubilità tecnica. Ma, appunto, questa ossessione su cosa voglia dire essere uomini, sul quid che ci rende umani, quella cosa unica e irripetibile che ci separa da tutto il resto, che non ci fa confondere in un magma indivisibile con la natura, non è una paranoia novecentesca. Bensì è il retaggio che ci portiamo dietro da migliaia di anni. Allora era la Gorgone, ora è Westworld.

IV
La quarta e ultima macrocategoria a cui facciamo riferimento è, nuovamente, le creature che vengono dalle profondità. Ma, se nella prima erano profondità geografiche o temporali, ora si tratta di profondità metafisiche. In particolare, le creature che vengono dal buio, dall’oscurità. Il vampiro, i demoni, Satana. Sono, cioè, quei mostri figli dell’inconoscibile. Di ciò che è oltre la nostra comprensione. La follia, la morte, le nostre paure, si condensano qua in un assedio verso la nostra incolumità. Non è un caso che i vampiri e i demoni abbiano in comune la conversione o la possessione: è l’oscurità che entra dentro di noi. Un assedio che oggi viene portato avanti da schiere intergalattiche: gli UFO. Se quello degli alieni non è sempre un assedio e raramente è una possessione, è, però, sempre un contatto, che assume le varie sfumature, da quelle più amichevoli a quelle (spesso) più volente dell’invasione, della conquista. Si tratta, in ogni caso, dell’Altro che ci muta, che ci entra dentro. È interessante, inoltre, notare come Jung, parlando degli UFO, si riferisse a loro come frutto del nostro inconscio concretizzatosi. Gli alieni, in fondo, provengono o dalle profondità del cosmo o di noi stessi. Il che è paradossalmente la stessa cosa.

ESSI VIVONO
Tirando le somme di questa breve rassegna – nella migliore delle ipotesi abbozzata -, vorrei concentrarmi sul perché è tanto importante ricordare che i mostri non se non sono mai andati. E, volutamente o meno, il libro di Labbate è il primo a ricordarcelo quando inserisce nella sua Piccola Enciclopedia l’Uomo Falena e l’Uomo Gufo, esseri che fanno parte del folklore nordamericano contemporaneo. I mostri stanno lì come monito a ricordarci fondamentalmente due cose: uno, che le nostre paure sono in fondo sempre state le stesse: il buio, la perdita dell’identità, l’inconoscibile, l’abisso, a prescindere da quanta scienza o luce (lumi) possiamo tirare fuori per superarle. Magari sì, cambieranno forma o racconto, ma rimarranno sempre loro. E, in fondo, è una cosa buona questo filo rosso che ci lega in tutta la nostra storia, da decine di migliaia d’anni prima di Cristo a oggi. E qui vado con il secondo punto: vedere che le stesse cose che ci spaventavano o meravigliavano quando anche solo riuscire ad accendere un fuoco era un miracolo, ci aiuta a scendere dal piedistello scientista e, neppure troppo paradossalmente, teleologico su cui ci siamo posti. Limita, infatti, la nostra pretesa di comprensione e regolazione della realtà: nonostante tutto il sapere accumulato in queste decine di migliaia d’anni, gli angoli bui stanno sempre lì a spaventarci e a generare orrori. I mostri, la loro persistenza nei millenni, ci ricordano che siamo umani e sperduti. E scusate se è poco per una bestia dalla grossa testa di maiale, sinistramente malinconica.

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