Biografilm Festival: la “follia” di Trump e gli “Angeli di Diamond Street”

In Cinema

Dal 5 al 15 giugno torna, on line e disponibile senza costi, il Biografilm Festival, con un programma ricchissimo su attualità e grandi personaggi. Vi anticipiamo due pellicole tra le più importanti: nella prima quattordici tra psichiatri, analisti ed ex collaboratori del Presidente americano analizzano i suoi difetti mentali giungendo alla conclusione che non è adatto alla carica che ricopre; nella seconda si racconta la vita di una delle tante Soup Kitchen (qui è a Philadelphia) che garantiscono ogni giorno negli Usa un pasto caldo a chi non se lo può permettere. E aiutano in vari modi famiglie in difficoltà

Il Covid-19 ha fermato per un po’, almeno fino al 15 giugno ma c’è chi dice anche di più, le proiezioni di film nelle sale. Ma il mondo dell’arte e dello spettacolo non si ferma, adattandosi alla realtà che cambia ogni giorno. Così il Biografilm Festival anche quest’anno ci sarà, ma online: dal 5 al 15 giugno sarà possibile vedere tutti i film e assistere agli incontri sul sito web dedicato, gratuitamente, previa prenotazione 24 ore prima di ogni film. Trovate tutte le informazioni su titoli, giorni e orari, sul sito. Per l’apertura è in cartellone Faith di Valentina Pedicini, passato alla Berlinale (Settimana della Critica) e nelle rassegne di Amsterdam (Idfa), Goteborg, Vilnius.  

Come ogni anno, la sezione Documentari regala al pubblico pellicole stuzzicanti, a volte addirittura imperdibili, che negli anni scorsi sono spesso poi approdate nelle sale. Vogliamo segnalarvene due in particolare, Unfit – The Psychology of Donald J. Trump, di Dan Partland (Stati Uniti, 2020) e Angels on Diamond Street di Petr Lom (Paesi Bassi, Norvegia, 2020). Sono nella sezione Contemporary Lives, dove ci sono, tra gli altri film, anche Love Child di Eva Mulvad (Danimarca, 2019), storia toccante di Lella e  Sahand, coppia iraniana fuori legge, bandita a causa del proprio amore, che fugge da Teheran col figlio Mani di quattro anni, e We Were Not Born Refugees di Claudio Zulian (Spagna, 2020), reportage sulle storie di otto rifugiati le cui vite si incrociano a Barcellona, Iryna, Mohamad, Gabriel, Boris, José Luis, Mahmoud, Maysam e George, che sono avvocati, musicisti, interpreti, guardie di sicurezza, impiegati di call center. 

Tra i titoli di Biografilm Italia meritano una citazione La casa dell’amore di Luca Ferri (Italia, 2020), sulla complicata storia di Bianca, transessuale 39enne che vive a Milano e ama Natasha, trans di origini giapponesi che abita al momento in Brasile; In un futuro aprile di Francesco Costabile e  Federico Savonitto (Italia, 2019), viaggio alla scoperta degli anni giovanili di Pier Paolo Pasolini a Casarsa, in Friuli, attraverso la voce del cugino, lo scrittore e poeta Nico Naldini; La pallina sulla conca di Francesca Iandiorio (Italia, 2020), autobiografia di Francesca che documenta la fase critica della sua vita nel rapporto complicato col cibo e il proprio corpo; Parola d’onore di Sophia Luvarà (Italia, Paesi Bassi, 2020, anteprima mondiale), storia di un giudice coraggioso di Reggio Calabria che lotta contro la ‘ndrangheta e allontana i figli adolescenti dei boss dalle loro famiglie; Sqizo di Duccio Fabbri (Italia, Stati Uniti, 2020), biografia di Louis Wolfson, scrittore del Bronx che ha lottato per tutta la vita contro la diagnosi di schizofrenia che l’ha segnato fin dall’adolescenza, diventando poi autore cult nella Parigi degli anni 70; Tuttinsieme di Marco Simon Puccioni (Italia, 2020), dialogo tra due padri che riflettono sulla crescita dei loro gemelli, ricordando come i figli hanno elaborato, in varie età, il vivere in una famiglia con due padri. 

Nel Concorso Internazionale sono da ricordare Because of My Body di Francesco Cannavà (Italia, 2020), che racconta l’incontro di Claudia, affetta da una disabilità motoria, con la sessualità, grazie a un lovegiver e a una equipe di specialisti; The Earth Is Blue as an Orange di Iryna Tsilyk (Ucraina, Lituania, 2020), premiato al Sundance Film Festival 2020 per la miglior regia nella categoria World Documentary, storia di Anna, madre single che vive con i quattro figli nella zona di guerra di Donbas, in una casa che resta un rifugio sicuro, pieno di gioia e di vitalità; Ecstasy di Moara Passoni (Stati Uniti, Brasile, 2020), sull’esperienza estrema di digiuno dell’anoressica Clara, che è piacere e sofferenza estrema in un mondo incerto, brutale, surreale; It Takes a Family di Susanne Kovács (Danimarca, 2019), che racconta i segreti e i ricordi della regista, nipote di una coppia di ebrei sopravvissuti all’Olocausto, figlia di madre tedesca e di padre ebreo-danese, personificazione di una guerra che non ha mai visto la fine; Wake Up on Mars di Dea Gjinovci (Francia, Svizzera, 2019), in cui un ragazzino rom di dieci anni che abita in Svezia cerca di convivere con la cosiddetta Sindrome della Rassegnazione, che ha ridotto in coma le sue due sorelle. 

Tra i titoli di Biografilm Art & Music, infine, si segnalano Abbas by Abbas, di Kamy Pakdel (Francia, 2019), sul fotografo icona della Magnum Agency dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, morto nel 2018; Gli anni che cantano di Filippo Vendemmiati (Italia, 2020), storia del “Canzoniere delle Lame”, gruppo bolognese di musica politica e impegno sociale del post ’68 a Parigi e Bologna; Kubrick by Kubrick di Gregory Monro (Francia, Polonia, 2020), che ha recuperato rare interviste del regista di Full Metal Jacket, 2001, Il dottor Stranamore, nel corso di trent’anni, Margaret Atwood: A Word After a Word After a Word Is Power di Peter Raymont e Nancy Lang (Canada, 2019), ritratto dal vero della famosa poetessa e scrittrice, tra conferenze, visite a un set e vacanze in famiglia, più storie personali narrate da familiari, amici, e dalla stessa Atwood; My Rembrandt di Oeke Hoogendijk (Paesi Bassi, 2019), thriller d’arte che a 350 anni dalla morte del pittore di Amsterdam permette di entrare nel mondo dei collezionisti dei dipinti del Maestro, in cui protagonista è sempre la passione sfrenata per le sue opere.


Unfit – The Psychology of Donald J. Trump

Questo documentario è un viaggio virtuale nella mente di Donald J. Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, attraverso le parole di quattrdici intervistati tra ex consiglieri, psichiatri e storici che hanno risposto alla domanda “Donald Trump è “fit” (adatto, adeguato) per fare il Presidente?”. Già il titolo del film fornisce il responso, ma tra chi parla c’è una storica, Ruth Ben Ghiat, che si occupa di totalitarismi, fascismi e… Donald Trump, la quale sostiene che il comportamento di “The Donald” non sia dissimile da quello di Hitler e Mussolini, due degli uomini più pericolosi del Novecento. E mostra anche delle immagini a scopo comparativo, scattate agli incontri con i cittadini durante le campagne elettorali. La mimica, i gesti, le espressioni facciali e i discorsi dei tre personaggi citati sono praticamente identici. Un altro commentatore interessante è George Conway, un avvocato repubblicano, figlio di immigrati in America, che critica apertamente Trump e il suo operato, ritenendolo anticostituzionale, razzista e quindi decisamente non adatto a svolgere il ruolo di Presidente degli Stati Uniti. Infine, come detto in precedenza, hanno risposto alla domanda anche alcuni psichiatri e teorici della psicologia delle masse e dei totalitarismi. Tutti concordano sul fatto che anche per loro Trump non è adatto a fare il Presidente, in quanto “psicopatico, sessista, razzista” e manipolatore delle masse. Egli infatti riesce a far cadere nella cosiddetta “trappola della verità” chi lo ascolta, e “intorta” (come detto da Sheldon Solomon nel film) il suo pubblico ripetendo tre volte la stessa frase o concetto. In base al principio, condiviso da alcuni noti studi sulla psicologia di massa, che “quando una frase viene ripetuta tre volte, diventa verità”. In sostanza, Unfit è un documentario per immagini e parole che denuncia lo stato mentale del Presidente degli Stati Uniti d’America, che non dovrebbe vivere alla Casa Bianca e governare il Paese, e ne vengono spiegate le ragioni scientifiche. Da non perdere assolutamente! Gli esperti coinvolti sono: George Conway, Malcolm Nance, Bill Kristol, Rick Reilly, Anthony Scaramucci, John Gartner, Ruth Ben Ghiat, Sheldon Solomon, Justin Frank, Lance Dodes, Suzanne Lachmann, Cheryl Koos, Ramani Durvasula, Scott Ritter.


Angels on Diamond Street

Questo documentario è stato girato nell’arco di alcuni mesi in una Soup Kitchen di Philadelphia. Le Soup Kitchen sono grandi saloni o mense dove vengono serviti ogni giorno pasti caldi e gratuiti ai più bisognosi. Spesso sono gestite da enti religiosi, chiese o associazioni di volontariato. In questo caso, si tratta di una cucina nata 34 anni fa grazie all’impegno delle Black Panthers (storica organizzazione politica dei neri d’America) del quartiere. Ogni giorno vengono serviti dai 70 ai 200 pasti, a seconda dei periodi. Le attività del centro, però, non si fermano alla condivisione di cibo. La cucina, infatti, è adiacente una chiesa dove viene regolarmente recitata la messa, e sono accolte persone in difficoltà, come Carmela (e la sua famiglia): è una donna messicana, mamma di quattro figli, costretta a scappare dal suo Paese e a chiedere asilo negli Stati Uniti. La Chiesa ha deciso di accoglierli, assumendosi grossissimi rischi legali (tra cui la prigione) perché sono tutti senza documenti. Petr Lom, regista del documentario, ne racconta le storie con un’attenzione particolare ai dettagli, ai sentimenti più profondi delle persone, senza troppi fronzoli o eccessi di editing. È tutto realistico, tanto che lo spettatore finisce con l’immedesimarsi nelle situazioni vissute da queste persone, percependone le difficoltà e i sacrifici.

Ogni anno, solo negli Stati Uniti nelle Soup Kitchen vengono sfamate circa dodici milioni di persone, e ogni grande città ne ha più di una, a New York per esempio ce n’è in media una a quartiere. Senza questo aiuto molte persone non potrebbero mangiare. Ma non è semplice, dal punto di vista economico, gestire istituzioni simili, e la cucina che viene raccontata in questo documentario rischiava di chiudere proprio per mancanza di fondi, al momento del film, anche se adesso le cose sono cambiate. Il lavoro di Lom ha portato alla luce un mondo nascosto, molto importante per le comunità, quella afroamericana di Philadelphia o di altre città americane. E proprio grazie al suo racconto le donne della Cucina (così sono chiamate da tutti) sono riuscite a recuperare i soldi per tenere aperto il Cafè e servire, ad oggi, circa 700 pasti alla settimana.

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