Milano e i suoi architetti: BBPR e il volto nuovo della storia

In Arte

Ecco la seconda puntata della rubrica “Milano e i suoi architetti”: ogni mese, un ritratto dedicato a un grande dell’architettura del Novecento che ha legato la sua vita e la sua opera a Milano. Oggi ripercorriamo la storia dello studio BBPR, la storia di quattro architetti che hanno attraversato il Novecento, tra i drammi della guerra e la necessità di ricostruire, tra avanguardia razionalista e volontà di dialogare con la storia.

Nel suo Poema a Fumetti, Dino Buzzati immagina un Orfeo sessantottino alla ricerca della sua Euridice per le strade di Milano. Dalla finestra di casa sua si vede un orizzonte punteggiato di grattacieli ispirati alla torre Velasca. Che piaccia oppure no, quello strano palazzo è diventato fin dal suo completamento, nel 1958, un elemento distintivo del miracolo economico milanese. La torre Velasca, però, è solo un capitolo di una storia più lunga.

Negli anni Trenta, nacque il sodalizio tra quattro giovani architetti: Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers, raccolti alfabeticamente nell’acronimo BBPR. La vita dello studio è stata eccezionalmente lunga e prolifica, tuttavia non si è trattato di una storia semplice e lineare. Pur avendo completato le prime opere sotto l’egida del regime fascista, l’emanazione delle leggi razziali costrinse Ernesto Nathan Rogers a rifugiarsi in Svizzera. Durante la guerra, Peressutti visse la tragedia del fronte russo, mentre Banfi e Belgiojoso abbracciarono i valori della Resistenza, scelta che costò loro la deportazione nel lager nazista di Gusen, dal quale Banfi non fece più ritorno. L’orrore del campo di sterminio fu documentato da Belgiojoso attraverso una serie di disegni e dal libro di memorie: Notte, Nebbia – Racconto di Gusen, pubblicato per la prima volta nel 1996.

Da sinistra: Rogers, Peressutti e Belgiojoso - Università IUAV di Venezia, Archivio Progetti, Fondo Fondazione Masieri
Da sinistra: Rogers, Peressutti e Belgiojoso – Università IUAV di Venezia, Archivio Progetti, Fondo Fondazione Masieri

L’esperienza della guerra sparigliò le carte nel mondo dell’architettura europea, tanto che il modernismo delle avanguardie, assunto come risposta razionale alle esigenze dell’uomo contemporaneo, iniziò a vacillare dietro alla necessità rinnovata di porre l’uomo e la storia al centro del progetto. Nel caso dei BBPR, il conflitto segnò uno spartiacque particolarmente netto. Infatti, se la prima parte della loro carriera si svolse nell’ambiente del Razionalismo italiano, dopo il conflitto scelsero un approccio nuovo che faceva tesoro delle suggestioni del nascente Brutalismo d’oltralpe. Fondamentale, nella riflessione architettonica del dopoguerra fu il contributo di Rogers che nel 1953 riportò in edicola la prestigiosa rivista «Casabella», ribattezzata durante la sua direzione «Casabella continuità». Questa modifica nel nome della testata fu tutt’altro che accessoria: la continuità a cui si riferiva Rogers era quella con il passato, che non andava più ignorato come professato dalle avanguardie ma tornava ad essere il punto di partenza nella riflessione dell’architetto. I dodici anni da direttore di Casabella furono particolarmente fortunati per l’architettura italiana: con i suoi editoriali, Rogers portò nel dibattito architettonico il pensiero “fenomenologico” di Husserl, mentre la redazione della rivista si arricchì del contributo dei giovani talenti della generazione successiva, tra cui Aldo Rossi, Gae Aulenti e Giancarlo De Carlo.

Contemporaneamente, Peressutti girava il mondo, professore invitato presso alcune delle più prestigiose università anglosassoni e lo studio viveva la sua decade più felice. Agli anni Cinquanta, infatti, risalgono una serie di progetti destinati a cambiare il volto di Milano.

Il museo di arte antica del castello Sforzesco, 1965 – Archivio Paolo Monti. In primo piano il monumento funebre di Gastone de Foix di Bambaia; sullo sfondo il retro della nicchia in pietra serena che ospitava la Pietà Rondanini di MIchelangelo
Il museo di arte antica del Castello Sforzesco, 1965 – Archivio Paolo Monti. In primo piano il monumento funebre di Gastone de Foix di Bambaia; sullo sfondo il retro della nicchia in pietra serena che ospitava la Pietà Rondanini di MIchelangelo

Del 1956 è il progetto per il restauro e la sistemazione del Castello Sforzesco. L’allestimento del museo di arte antica costituisce, insieme ad alcuni lavori contemporanei di Scarpa e Albini, uno dei punti più alti della museografia italiana del dopoguerra. I BBPR disegnarono appositamente plinti diversi per ogni reperto. I sostegni dei frammenti scultorei e degli arazzi non sono dissimulati, ma interagiscono con il pezzo esposto in modo fantasioso e a tratti sorprendente. Anche l’illuminazione, lungi dall’essere celata, assume un sapore medievaleggiante, con grossi riflettori neri in aggetto rispetto alle pareti. In generale, al posto di restituire i reperti nel modo più oggettivo possibile, i BBPR cercano di coinvolgere il visitatore in un percorso variegato, nel quale ogni pezzo è valorizzato nella sua unicità. All’ingresso, per esempio, si passa sotto l’arco di un’antica porta della città restituito qui alla sua funzione di soglia. Più avanti, il bellissimo crocifisso ligneo esposto nella V sala è fissato a due profili metallici che organizzano lo spazio e allo stesso tempo ricostruiscono in chiave moderna la croce a cui la scultura era appesa. Infine, nell’ultima sala del percorso, la Pietà Rondanini di Michelangelo trovava posto dietro una sorta di paravento in pietra serena, disegnato dagli architetti per mostrare la scultura in modo improvviso e scorciato, inducendo così il visitatore ad avvicinarsi ulteriormente e a ruotare intorno al capolavoro.

L’allestimento del museo è ancora oggi quello originale disegnato dai BBPR negli anni Cinquanta. Una recente modifica ha tuttavia interessato proprio la pietà Rondanini, ora esposta in una sala dedicata dietro progetto di Michele De Lucchi che ha fatto molto discutere (ne abbiamo parlato qui).

La torre Velasca
La torre Velasca

Questa importante esperienza nel cuore della città segnò la carriera dei BBPR, che elaborarono in quegli anni uno stile riconoscibile, nel quale elementi della Milano medievale e rinascimentale appaiono sempre in filigrana. La torre Velasca, con il suo caratteristico profilo a fungo, prova a entrare direttamente in contatto con il Duomo, da cui dista poche centinaia di metri. L’ambizione, dunque, era quella di costruire un edificio adeguato al mondo contemporaneo ma che presentasse una forma di “continuità” con il tessuto storico della città. La struttura, infatti, reclama un’espressività tipica dell’architettura gotica e delle torri gentilizie di Bologna e Pavia ma anche della torre del Filarete al Castello Sforzesco. Il colore del cemento, inoltre, è scelto per armonizzarsi con le guglie rosate della vicina cattedrale. Quasi tutti gli altri grattacieli milanesi, precedenti e successivi, pur nella varietà delle forme presentano una scansione più convenzionale: la parte bassa è più ampia e contiene una serie di servizi accessori alla torre vera e propria, la quale spesso è coronata da un belvedere. La Velasca, invece, è scevra dal culto per l’altezza tipico del grattacielo. L’aggetto degli ultimi piani, infatti, dissimula la statura notevole dell’edificio e l’ingresso è per certi versi paragonabile a quello di molti palazzi signorili dell’epoca. Per concludere, la torre Velasca ha una presenza forte che può non piacere ma l’intelligenza e l’originalità di cui è espressione sono elementi difficilmente riscontrabili in egual misura nelle torri che hanno ridisegnato la città negli ultimi anni.

Gli uffici della Chase Manhattan Bank in piazza Meda, negli anni Settanta
Gli uffici della Chase Manhattan Bank in piazza Meda, negli anni Settanta

Concludiamo il nostro percorso a due passi da palazzo Marino: a partire dal 1958, i BBPR lavorano agli uffici Chase Manhattan Bank, edificio d’angolo in piazza Meda. Anche in questo caso, la posizione molto centrale dell’intervento stimola la ricerca di un linguaggio che tenga conto della storia, in questo caso costituita dalla vicina chiesa di san Fedele ma anche da un progetto razionalista degli architetti Figini e Pollini. Secondo le norme vigenti, l’edificio avrebbe dovuto avere una facciata poligonale ma i BBPR insistettero perché venisse fatta una variazione al piano regolatore che consentisse un fronte curvo, per entrare meglio in dialogo con l’abside e il tamburo della chiesa adiacente. Come nella torre Velasca, la facciata è scandita da una serie di montanti che cercano di riproporre in chiave astratta il ritmo delle paraste e delle finestre degli edifici vicini. Anche il portico si pone in una posizione intermedia tra le aperture rettangolari di Figini e Pollini e gli archi neoclassici: una serie di portali poligonali combina la schietta modernità delle prime con la plasticità dei secondi.

Chase Manhattan Bank in piazza Meda, 1970 – Archivio Paolo Monti
Chase Manhattan Bank in piazza Meda, 1970 – Archivio Paolo Monti

Lo sforzo dei BBPR fu di trovare un’architettura moderna che fosse in grado di riprendere il dialogo con la storia secolare della città. Il linguaggio che hanno sviluppato continuerà a dividere; il loro valore umano e professionale resta però indiscusso, e si è imposto come modello prezioso per le generazioni di progettisti successive.

 

Immagine di copertina: la torre Velasca nel 1963 – Archivio Paolo Monti