Rezza, un palombaro in cerca di Freud

In Teatro

Anelante” un gioco, un groviglio di sensi e di parole che diverte molto e fa trionfare il bambino che è in noi

Forse il termine più adatto per definire Antonio Rezza è creatore di sensi. Sì, perchè a un primo approccio, sembrerebbe che nel discorso intrecciato di paradossi, parallelismi, soliloqui e frizzanti corporee manifestazioni dell’essere qui ed ora, un vero e proprio senso non si palesi in un’aperta manifestazione, ma rimanga coeso e comicamente nascosto nel groviglio linguistico che fa del gesto un verbo e della parola e dei suoni, apparentemente casuali, un corpo in movimento.

Apparentemente, perché ad uno sguardo più ravvicinato troviamo il gioco e la parola al loro stadio più intenso e primario, ciò che la comunicazione di un attore, vessato da problemi di dissociazione forse ignoti allo stesso Freud, è capace di mostrare su un palco che è in rapporto con lo spazio allo spettatore secondo coordinate che esulano le banali corrispondenze logiche, ma si inscrivono in dinamiche di apprezzamento più inconsce, per certi versi psicopatologiche, così proprie di quel senso comune di distanza o appartenenza che non può che trovare assenso in una risata di risposta. La patologia si mischia con la matematica, i rapporti familiari con un freudismo spiccio contrapposto alla risposta ingenua dettata da necessità, le velate critiche politiche si uniscono a giochi logici di una bizzarria dionisaca, ma sostenuti dai corpi degli attori che in questa danza wittgensteiniana danno sfogo alla loro bravura quasi militare nel disporsi su uno spazio semantico e fisico.

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Un luogo che appare e scompare, lasciando il terreno ora ai fantasmi personali di Rezza/bambino protagonista, ora coniugandosi con le voci del coro degli attori, che delinea una genealogia antropologica dell’essere istrione, secondo modalità di comprensione destrutturate e destrutturanti, alla Ionesco, ma pur sempre riconoscibili, con azioni mimiche in cui la compostezza dell’adulto scompare, ma la scompostezza della vivacità del bambino trionfa.

Gioco, senso, rappresentazione sono forse i termini più appropriati, ed i campi in cui si insinuano, oltre che ad un’esuberante pulsione sessuale che fa capolino con la morte in un eros e thanatos quasi letterale, sono il barlume sincronico in cui navigano sensazioni e pensieri, sottratti a quell’inconscio delle relazioni primarie per essere riportati sul palcoscenico di un dotto dai vocaboli infantili di invisibile ma empatica comprensione, siano esse il desiderio di essere ascoltati, il disagio per una madre tirannica e un padre assente, o semplicemente la voglia di esporsi.

A prendere in anticipo questo spettacolo non si può far molto, neanche con una recensione, prima o poi quel profondo esplorato dal Rezza palombaro torna a galla e lo fa in forme uniche per il loro dinamismo e primordiali per la loro forza, nel matematico, nel lettore che si parla da solo o nel grido di ribellione dell’adolescente. Lo fa con una nudità del corpo e delle espressioni, un’insonnia dell’essere-fuori che sovrasta in misura esponenziale l’essere-dentro del pensiero svuotato sugli spettatori in una “defecazione” della parola spinta alla logorrea, al rito carnale, alla perdizione del delirio come frantumazione del convenzionale buon senso.

Il “mai scritto” spettacolo di Rezza con i bravissimi performer che lo accompagnano, per la scenografia di Flavia Mastrella è un’esperienza psico-sensoriale che non passa per nulla inosservata.

Anelante, all’Elfo Puccini fino al 28 febbraio 2016

Fotografie di Giulio Mazzi

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