Dieta ferrea per aspiranti scrittori

In Letteratura

Undicimila pagine, prima ancora di aprire il computer o svitare il tappo della penna: qualsiasi tipo di aspirante scrittore si trovi davanti, Vanni Santoni mette tutti all’ingrasso. Leggere, leggere e leggere, ordina: la via per capire se ci si vuole (davvero) incamminare per la vita tutt’altro che romantica dello scrittore, per verificare la propria tenuta, per auto-apprendere da ciò che è già stato fatto è una e una sola. Così in “La scrittura non si insegna” (Minimum fax) la sua personalissima dieta ricostituente passa attraverso liste: di nomi, di titoli, di generi. Un pamphlet che assomiglia a un assedio: espugnare l’immaginazione, vincere l’ostinata persistenza del pregiudizio romantico. Perché scrivere è un duro mestiere.

Cinque anni all’ingrasso, minaccia lo scrittore dietologo Vanni Santoni. E non per diventare suoi pari, ma solo per iniziare a pensare come lui ed essere coscienti della prima grande verità sulla narrazione; infinite cose si possono scrivere in infiniti modi. Per trovare il proprio, la dieta letteraria consigliata da Santoni è impegnativa già dai primi giorni. Si comincia con Proust e Joyce, rispettivamente con Alla ricerca del tempo perduto e L’Ulisse. Seguono 2666 di Roberto Bolano, Underworld di  Don De Lillo,  Europe Central di William T. Vollmann,  Abbacinante di Mircea Cartarescu, Infinite Jest, di David Foster Wallace, Austerlitz, W.G. Sebald.

10.820 pagine solo per la prima parte della dieta. Tomi inquietanti che minano l’autostima degli scrittori fragili ma si rivelano altamente proteici per quelli che fanno sul serio.

La scrittura non s’insegna sostiene Santoni e motiva la sua convinzione con un pamphlet di novantacinque pagine, esclusi i ringraziamenti, i titoli di coda, e il nutrito elenco dei consigli di lettura.

Poche pagine, puntuali e ben congegnate, per smontare l’ideale romantico dello scrittore solitario, e incompreso dalla cinica industria editoriale. Un mito intramontabile che negli anni si è reso responsabile della nascita di un’editoria che gli inglesi chiamano Vanity Press, l’editoria a pagamento.

Ma il pamphlet in realtà smonta prima di tutto la convinzione che tornare tra i banchi ad ascoltare i consigli di uno scrittore famoso possa permettere allo studente di fare il salto e vedersi pubblicato a breve l’agognato romanzo d’esordio. Una convinzione che Santoni condivide nelle prime pagine con tanti scrittori del passato. 
È molto più importante – scriveva Soldati leggere dieci, cento, mille libri, insomma tutta la letteratura, e se uno non impara così, vuol dire che è negato…” Franco Cordelli invece detesta le scuole di scrittura “…Credo che per difendere quel poco di senso che è rimasto ancora alla scrittura occorra separarla il più possibile dall’idea che si tratti di un mestiere”. Ma il più lapidario è Luigi Malerba che propone di trasformare le scuole di scrittura in scuole di lettura perché “…sono i lettori che mancano: di scrittori ce ne sono già troppi.

E che i lettori fossero in minoranza rispetto agli scrittori lo sosteneva già Leopardi, ci segnala Santoni nelle note, mentre nel testo continua a stilare altre liste: quella degli scrittori italiani, quella delle scrittrici, quella degli scrittori di racconti, di fantasy, distopici o commerciali. Liste di cui Santoni, insegnante di scrittura, si fida per averle sperimentate con successo durante i suoi corsi.

Della scrittura, quindi, è necessario farne esperienza, imparare la struttura narrativa da Faulkner e lo stile da Proust ma senza dimenticare Harry Potter.

In lista non c’è, ma solo perché so che almeno quello lo hai già letto.  Che Come? C’è uno in fondo alla classe che ha detto «non leggo roba per bambini»? Si procuri subito almeno il primo volume: scoprirà che c’è molto da imparare pure lì.

E così, dopo aver saccheggiato librerie e biblioteche, arriva il momento in cui al giovane scrittore tocca trasformare le migliaia di calorie assimilate in energia letteraria. Il modo migliore è legarsi alla sedia per almeno duemila battute al giorno.

Quando sarai diventato uno scrittore – e lo scopo di questo pamphlet, appunto, non è insegnarti a scrivere, dato che la scrittura non si insegna, ma fare di te uno scrittore – potrai saltare i giorni, ma a quel punto, se ci arriveremo, non vorrai farlo.

Ti prometto – scrive Santoni con sicurezza – che se leggerai tutti i libri di cui al capitolo 1, e scriverai tutti i giorni, nel giro di non più di cinque anni non soltanto scriverai un romanzo, ma lo pubblicherai pure.

SODDISFATTI O RIMBORSATI

La lista delle cose da fare finisce più o meno da queste parti del pamphlet lasciando finalmente il posto alla lista delle cose da non fare che si riassume in un importante comandamento: Non scrivere cose noiose.

Sembra banale ma Santoni ci spiega dove si annida la noia; e cioè nei vocaboli inutilmente ricercati, nelle spiegazioni non richieste, nella mancanza di precisione.

Il generico è noioso per definizione e promette difficilmente sviluppi interessanti, perché per fare congetture servono i particolari, serve tutto ciò che non è esattamente al proprio posto. Solo così il lettore potrà sperare che prima o poi ci tornerà. Sarà pure all’ultima pagina. 

Con leggerezza e precisione, Santoni smaschera tutti i mezzucci dell’aspirante scrittore e condivide con i grandi la sua contrarietà. Per affrontare la iattura dei cliché lascia la parola a Umberto Eco:

Il singolo cliché fa schifo ma quando i cliché irrompono tutti assieme, si possono raggiungere profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento.

 Ogni pamphlet ha una missione, quella di Santoni è demolire la vanità dell’aspirante scrittore, che essendo solo aspirante, non può proprio permettersela. E così farà bene a non dire che sta scrivendo un romanzo, farà bene a far circolare il manoscritto appena finito e lasciarsi andare al confronto. E qui torniamo all’ideale romantico dello scrittore solitario che viene demolito in poche pagine e definitivamente seppellito da un’idea di letteratura come condivisione e non come traguardo personale.

Quella della pubblicazione infatti viene definita come una smania dannosa che porta spesso alla pubblicazione a pagamento o all’auto pubblicazione, decretando così la fine del libro che diventerà sì un volume rilegato ma verrà seppellito dall’inesperienza e dalla furbizia dei tanti non editori ormai sul mercato. Al contrario le riviste letterarie vengono lette dagli editor, e in quelle pubblicazioni scovano i nuovi scrittori. Allo stesso modo i collettivi di scrittura e i premi letterari sono l’ambiente giusto per gli aspiranti scrittori.
Le riviste, i collettivi e i premi sono come le palestre dove si formano i veri atleti, sosteneva ancora Umberto Eco, e lì gli editori vanno a cercare i nuovi campioni.

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