“Uomini senz’arte”: quando Wyndham Lewis toglieva la pelle ai colleghi scrittori.

In Letteratura

La penna come uno stiletto, e nessun pelo sulla lingua. Wyndham Lewis è noto come uno dei più originali pittori inglesi tra le due guerre, ma in realtà fu anche un cervello febbrilmente critico nei confronti dell’establishment letterario del suo tempo. Ne scrisse, e moltissimo. Con una tenacia (e una ferocia) che i colleghi non gli perdonarono. Per la prima volta in italiano, Neri Pozza pubblica una scelta di suoi saggi. Il titolo è già un programma, e dice molto dell’approccio, per nulla impressionato dalla caratura e dal carattere dei nomi passati al vaglio dalla sua intelligenza indomita (fino alla crudeltà): “Uomini senz’arte”.

Un bel dispetto, certo connaturato al carattere di Wyndham Lewis, quello di intitolare Uomini senz’arte la raccolta di saggi
su Joyce, Hemingway, Faulkner,T.S. Eliot, Leonard Woolf, sbeffeggiando così i mostri sacri del suo tempo – fra l’altro suoi colleghi e amici.


È la prima volta che viene pubblicato in Italia dalla casa editrice Neri Pozza il perfido, geniale critico Wyndham Lewis, che resta più noto come pittore vorticista, ma che come critico fu un curioso miscuglio di insolenza e insicurezza, come scriveva di lui E.M. Forster.
Lewis brandì penna e pennelli come fossero lance in una battaglia sempre controcorrente, contro tutto e contro tutti fino alla fine. Un ribelle perennemente in ostaggio delle sue passioni, avverso a ogni conformismo di comodo, preferì sempre la satira e l’invettiva; il suo genio fu capito da pochi e in Inghilterra venne comprensibilmente ostracizzato dall’establishment .
Si cimentò in tutti i campi dell’arte e del sapere: migliaia di segni e dipinti a olio, libri di narrativa realistica e fantastica, saggi di analisi politica, sociale e filosofica, pamphlet infiammati, volumi di critica letteraria, di critica d’arte e poesia, di reminiscenze autobiografiche. Troppo, come sono delineati nella bella introduzione Aridea Fezzi Price, traduttore del libro.
Lewis scrive in uno stile tutto particolare, rapido, erudito ma intensamente colloquiale, in una prosa irta di anacoluti, di paradossi, a volte ridondanti per eccesso, mai per difetto di intelligenza (certo, è spesso petulante).
T.S. Eliot, suo grande amico nonché vittima dei suoi veleni, lo definì figura senza pari nel panorama del XX secolo; scrisse infatti di lui: ‘la sua opera per tutta la vita fu tenacemente ignorata o sottovalutata dagli esponenti del mondo dell’arte e delle lettere, perché non congeniale’.
In breve divenne il nemico più pericoloso dei nuovi mandarini, come li chiamerà tanti anni dopo Simone de Beauvoir: era l’unico a essere un critico filosofico che dava l’assalto alla roccaforte della cultura. Considerava l’Inghilterra la Siberia della mente.
Ancora secondo Eliot, Lewis fu Il più grande prosatore della sua generazione – forse l’unico ad aver inventato un nuovo stile, in contrapposizione ai maggiori esponenti della modernità, che accusava di mantenersi nel solco del Decadentismo, prendendo le mosse dal libro di Mario Praz, La morte, la carne e il diavolo nella Letteratura romantica.

Ai diabolici successori di Wilde, agli ‘immoralisti’ classici alla Gide, ai ‘contraffatti’ epigoni di James e di Proust, si sono aggiunti i cantori dell’azione, i profeti del ‘moralismo melodrammatico’, gli aedi del ‘sessual -nazionalismo’: Hemingway, Faulkner, Stein, Woolf, lo stesso Eliot’

A tutti questi, Lewis contrappone, seguendo Flaubert, la forza della satira che non è la sola forma d’arte, ma quella che meglio esprime la totalità dell’uomo contemporaneo, dei suoi bisogni, delle sue pene.

Uomini senz’arte è un invito a distruggere gli ostacoli contro l’arte e a incitare gli artisti a resistere sia contro i nemici dall’esterno ( i moralisti, i marxisti), sia contro quelli dall’interno ( i mandarini di Bloomsbury, la critica ufficiale). È sempre contro romanticismi più o meno mascherati, in difesa della satira, dei valori classici, della libera creatività dell’individuo, anche di chi non ne condivide il credo.
Sentiamo echi di Voltaire e premonizioni di Nabokov.

L’arte può forse essere un gioco, ma è essenziale alla vita civile
che senza arte sarebbe sterile, immediatamente corrotta e meccanica, priva di interesse’.

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