Troiane in lockdown

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Foto © Masiar Pasquali

Rileggere Euripide in chiave brillante, originale e contemporanea: Chiodi ci riesce, supportato dall’adattamento di Angela Demattè e da quattro brave protagoniste

Foto © Masiar Pasquali

È sbagliato chiedersi se l’occhio moderno possa o non possa rileggere il dramma antico. Semplicemente deve farlo, e non serve citare O’Neill, Atwood, Malouf o Tóibín per convincersene. Un esempio brillante di come risolvere oggi Troiane di Euripide si può vedere al Teatro Sociale di Brescia fino a domenica 20 (produzione Centro Teatrale Bresciano). La regia di Andrea Chiodi nell’adattamento di Angela Demattè, che propone non una semplice traduzione-riduzione del testo ma una sua metamorfosi vera e propria, scova assonanze segrete a quasi due millenni e mezzo dalle Grandi Dionisie di Atene che hanno visto nascita e morte della tragedia. 

Le troiane in scena sono quattro donne chiuse in un appartamento di oggi, come in quarantena, ognuna con uno spazio assegnato, ognuna con la sua solitudine, la sua disperazione, la sua dignità offesa. Divise tra camera da letto e cucina, tra salotto e bagno, le eroine di Euripide si danno il cambio in un contrappunto di timori e tremori. In poco più di un’ora, assistiamo alle confessioni di quattro vittime della storia, tutte in attesa di conoscere il proprio destino di schiavitù, senza nessuna speranza fittizia, nessuna consolazione, nessun “andrà tutto bene”. 

Ecuba, Cassandra, Andromaca, persino la nemica Elena, con la loro femminilità ferita, rappresentano parti differenti di uno stesso processo psichico, un dramma intimo e straordinariamente compassionevole che si apre e chiude con “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Händel, struggente canto di prigionia. La scena simbolico-minimalista di Matteo Patrucco è labirintica nella sua semplicità, i costumi grigio-azzurri di Ilaria Ariemme non scelgono un tempo, le luci di Cesare Agoni rendono gli spazi ancora più irreali e interiori. 

Le interpretazioni delle quattro attrici sembrano scorrere su due piani che non si incontrano, deliberatamente. Da una parte c’è Elisabetta Pozzi, con la sua Ecuba dalla voce ieratica e sottile, ferma a un tempo lontano di convenzioni. Dall’altra l’energia di Valentina Bartolo, Andromaca, e soprattutto di Federica Fracassi e Alessia Spinelli: la prima una Cassandra con trecce e occhialoni da adolescente, ambigua e un po’ inquietante tra Carrie e Baby Jane, la seconda una Elena youtuber, procace e trasandata allo stesso tempo, semisdraiata e scomposta in poltrona davanti al suo computer per tutto lo spettacolo. 

Fin dall’apertura di sipario si capisce che siamo tutti coinvolti. Queste “Troiane” sono la messinscena di una sorta di lockdown più esistenziale che fisico, e suggeriscono che le immagini di Euripide sono arrivate immutate fino a noi, come fiumi carsici che riemergono a ricordarci che ancora oggi ci batte in petto un “cuore tragico”, scrive Chiodi nelle note di regia. Regia che mostra un’inedita ambizione, sia nella concezione dello spettacolo, sia nel suo svolgimento rigoroso.

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