Il killer timido della porta accanto

In Cinema

the iceman

Dal ’64 all’87 Kuklinski uccise a pagamento, per conto della mafia, almeno 100 persone. Shannon gli dà un perfetto volto, in gang movie non più che diligente

«Mister Kuklinski, non prova alcun rimorso per quello che ha fatto?». Per conoscere la risposta a questa domanda, che apre il film The Iceman di Ariel Vromen, dovremo aspettare 106 minuti, sopportare parecchie nefandezze, e quel che sentiremo, alla fine, non ci piacerà affatto.

Fra la prima e l’ultima inquadratura, una fitta schiera di efferati delitti riempie lo schermo, scandita da date molto precise, tra il 25 aprile 1964 e il 17 dicembre 1987. Perché la storia di Richard Kuklinski non è frutto della turpe fantasia nera di una sceneggiatore a caccia di emozioni forti. È la ricostruzione, fedele fin nei più piccoli – e raccapriccianti – dettagli, della carriera di uno dei killer più sanguinari nella storia della criminalità americana.

Il 25 aprile 1964 Kuklinski riesce a ottenere il primo appuntamento con la ragazza di origini italiane di cui è innamorato e che diventerà sua moglie. Nel corso della cena il protagonista pare imbarazzato e schivo, un ragazzo come tanti che nel New Jersey degli anni Sessanta sbarca il lunario duplicando film pornografici, anche se alla ragazza non osa confessarlo, e preferisce farle credere che si tratti di cartoni animati.

Quella sera stessa, Richard il timido compie il suo primo omicidio, sgozzando a sangue freddo un uomo che gli ha mancato di rispetto durante una partita a biliardo. Un delitto portato a termine senza battere ciglio e con tecnica a dir poco impeccabile.

È solo la prima di una lunga serie di feroci esecuzioni, che Kuklinski porta a termine su incarico di vari boss della mafia italo-americana, senza mai un rimorso o un attimo di esitazione. E tutto questo conducendo in parallelo una vita tranquilla da devoto padre di famiglia e marito affettuoso. Quando viene arrestato, nel 1987, lo accusano di aver ucciso almeno cento persone, ma sono in molti a ritenere che i morti sulla sua coscienza siano almeno il doppio.

Il punto è che la parola “coscienza” mal si attaglia a uno come lui, impiegato del crimine che uccide per denaro, certo, ma soprattutto perché ha bisogno di trovare una valvola di sfogo all’aggressività che sente dentro, e che mai potrebbe sfogare in famiglia, come faceva invece suo padre, massacrando di botte lui e il fratello. C’è chi va in palestra a scaricare stress e frustrazioni quotidiane: Kuklinski risolveva il problema mettendo la sua abilità, la ferocia al servizio di chiunque avesse bisogno di sbarazzarsi di qualcun altro.

Un sociopatico da manuale, nato e cresciuto in una famiglia disfunzionale, incapace di empatia nei confronti del mondo ma tenacemente attaccato, fino alla morte in prigione nel 2006, a un’idea di sogno americano fatto di bianche casette di periferia e giardini verdi, automobili lucenti e famiglie felici intorno alla tavola imbandita della domenica.

Personaggio davvero inquietante, Kuklinski, che trova in Michael Shannon (gran caratterista specializzato in ruoli tormentati e violenti, perfettamente in grado di occupare il centro della scena quando glielo permettono) il suo interprete perfetto, capace di delineare la sostanza fragile di cui anche i mostri sono fatti e di aprire spiragli sul buio del male assoluto, quello per cui è difficile trovare le parole. Forse avrebbe dovuto incontrare un regista (e uno sceneggiatore) davvero alla sua altezza, capaci di affrontare l’argomento con più coraggio e uno sguardo meno convenzionale, realizzando un film davvero angosciante, non solo un gang movie ben confezionato.

The Iceman di Ariel Vromen, con Michael Shannon, Winona Ryder, Ray Liotta, Chris Evans

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