Ted Bundy, serial killer formato famiglia. Ma il fascino del male non perde l’appeal

In Cinema

Quello interpretato dal bravo Zac Efron in “Fascino criminale” di Joe Berlinger è stato il primo serial killer (di donne), nella storia giudiziaria Usa, ad approdare con grande successo in tv. Con i risvolti morbosi e spettacolari che, nei 40 anni successivi e fino ad oggi, circondano questi fatti di cronaca. Il film si concentra però anche sul personaggio di Elizabeth (brava Lili Colllins), ignara ex-fidanzata di lui

Ted Bundy – Fascino criminale di Joe Berlinger racconta il punto di vista personale dell’ex fidanzata Elizabeth Kloepfer su un famoso serial killer di donne in azione negli Stati Uniti tra la fine degli anni ‘60 e il decennio successivo. Con Zac Efron nei panni del protagonista e Joe Berlinger (specializzato in documentari) alla regia, la pellicola si allontana decisamente dal genere, presentando una figura di un assassino scevra dell’aspetto horror e concentrandosi sull’opinione delle persone a lui care, ignare vittime del male quotidiano da lui incarnato.

Seattle, 1969: la giovane ragazza madre Elizabeth (interpretata da un’azzeccata Lily Collins) si fa trascinare dall’amica Joanna in un bar per passare una serata diversa; decisa a trovarle un fidanzato, la ragazza nota un affascinante giovane al bancone, che non riesce a distogliere lo sguardo da Elizabeth. Quel ragazzo è Ted Bundy, studente di legge presso l’Università dello Utah: è attraente, gentile, nel giro di una sera i due s’innamorano e iniziano una lunga relazione all’apparenza idilliaca. Anni dopo, però, Ted viene arrestato perché sospettato del rapimento di una ragazza, e successivamente è anche accusato di omicidio, sempre di giovani donne. Quello che all’inizio sembra un grosso equivoco, presto si rivela realtà, ed Elizabeth dovrà fare i conti con quello che poi è stato definito un serial killer.

La cinematografia è piena di racconti di omicidi seriali, maniaci, feroci assassini che si nascondono nella quotidianità, di persone gentili all’apparenza, persino affascinanti, che celano però un lato oscuro, indossando una maschera perfettamente credibile, a volte tremendamente banale. Bundy è conosciuto universalmente, e viene spesso citato in film di genere (un titolo fra tutti American Psycho, 2000 di Mary Harron con Christian Bale): non ci sono dubbi circa la sua colpevolezza, e sul livello di imbarazzante disumanità dei suoi crimini, tutti rivolti verso l’universo femminile. Girare un film su una personalità così nota poteva rivelarsi una scommessa facile da una parte ma anche rischiosa, specialmente dopo aver scelto, come ha fatto il regista, di lasciarsi catturare da una sceneggiatura del tutto scevra dell’aspetto macabro della storia, e che si concentra soltanto sul punto di vista innocente delle persone care al serial killer.

Con un interesse particolare, però, allo sviluppo mediatico del “caso”. Perché quello di Ted Bundy fu il primo processo seguito dai mas media, e rappresentò un cambio epocale in termini di spettacolo: la morbosità con la quale fu guardato l’iter processuale da persone comuni, ha dettato l’inizio di un format, molto apprezzato e ancora oggi in voga: le tv sono zeppe di programmi su pluriomicidi, e molti analizzano la possibile innocenza dei soggetti, tanto che si arrivano a formare gruppi sui social media a sostegno di persone condannate per vari delitti. Se si deve ad Alfred Hitchcock l’iconoclasta Norman Bates e il successo di una pellicola come Psycho, le cui produzione e distribuzione furono fortemente ostacolate, e poi da lì l’inizio di una cinematografia “dedicata” agli assassini seriali, significa che il male, dopotutto, è veramente affascinante.

Il desiderio dello sceneggiatore Michael Werwie di focalizzarsi quasi solo sul processo, e sul rapporto tra Elizabeth e Ted, è stata però in questo film una scelta troppo azzardata, e che ha compromesso l’intera pellicola, svuotandola dell’essenziale parte di pathos, dolore lato macabro che non possono mancare in un soggetto come Bundy e la sua storia. L’approccio ha penalizzato fortemente pure l’interpretazione del protagonista Zac Efron, che per una volta aveva qui la possibilità di distaccarsi dai soliti suoi ruoli da commedia con etichetta “Disney”; è comunque apprezzabile il suo sforzo per calarsi nella parte, valorizzando l’aspetto pubblico del personaggio, quello più mediatico e “goliardico”.

Lily Collins è adatta alla parte ma, mano a mano che prosegue la pellicola, il suo personaggio perde caratterizzazione, quasi fino ad annullarsi. Una nota a parte va a John Malkovich, impegnato a dare volto al giudice Edward Cowart, che nella realtà condannò Ted Bundy a morte (l’esecuzione avvenne il 24 gennaio 1989); lui rimane fedele al vero protagonista, che dovette rivestire il proprio fondamentale, e difficile ruolo in uno dei più importanti processi per omicidio, il primo a venire trasmesso in diretta tv nazionale.

Ted Bundy – Fascino criminale di Joe Berlinger, con Zac Efron, Lily Collins, Kaya Scodelario, John Malkovich, Jim Parsons, Jeffrey Donovan, Angela Sarafyan, Dylan Baker, Haley Joel Osment, Grace Victoria Cox, Terry Kinney, Brian Geraghty

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