Io con Steve McCurry ho un conto in sospeso

In Arte

Storie di (altre, vicine) città: a Monza si sta svolgendo un’imperdibile mostra di Steve McCurry. E la nostra Alessandra Lanza ci racconta perché il suo conto con Steve rimane sempre aperto

L’anno scorso, al Salone del Libro di Torino, scelsi di andare in un determinato giorno, l’11 maggio. Innanzitutto per una sfilza di impegni personali che mi rendevano impossibile andarci un altro giorno, ma – diciamo le cose come stanno – soprattutto perché c’era Lui, che avrebbe presentato il suo nuovo libro e speravo avrebbe svelato dei meravigliosi segreti a cui avrei potuto attingere per diventare a mia volta una grande fotografa di reportage. Avevo mille domande e speravo di potergliene porre almeno una, per quanto mi rendessi conto che sarebbe stato difficile sceglierla.

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Steve McCurry, Operai su una locomotiva a vapore, India, 1983.

La coda di un’ora e mezza, i piedi calpestati e le gomitate valevano lo speech di Steve a proposito de Le storie dietro le fotografie. Steve McCurry di persona era uguale a come lo si vede sui giornali o in tv, forse più sorridente, e mentre spiegava alcune delle sue più celebri fotografie, sarà stata la loro bellezza o la musica di Einaudi in sottofondo, non lo so, mi venne da commuovermi. Dopo la presentazione ci fu il momento per gli autografi: io non ero riuscita ad acquistare il suo libro e non potei avvicinarmi. Non potei porgli nessuna di quelle mille domande. Riuscii appena a incrociare il suo sguardo, dopo avergli scattato una foto. Ne fui amareggiata, ma anche un po’ sollevata. Dopotutto, che cosa gli avrei potuto chiedere?

Con questo ricordo dolce-amaro sono andata a visitare Oltre lo sguardo, la mostra alla Villa Reale di Monza. Vale la pena di andarci con calma, in un giorno di ferie, prendendosi tutto il tempo per riempirsi gli occhi di quei colori talmente vividi che la realtà poi sembra un po’ desaturata. La location e gli allestimenti, già di per sé, valgono il biglietto. Le fotografie, alcune più vecchie, altre inedite, sono incastonate nelle sale della villa, tra affreschi, parquet e installazioni composte di scale a pioli che sfidano la forza di gravità (e la superstizione). Un attimo prima ci si trova a guardare una foto scattata in Bahrein, un attimo dopo, poco a sinistra, una finestra offre la vista sul parco della Villa, il cui prato non sembra più così verde, a confronto. Alle immagini rubate tra Libano e Afghanistan si alternano gli affreschi settecenteschi, e al rosso arrugginito dei treni dei paesi d’Oriente e degli abiti dei monaci si abbinano le tappezzerie damascate.

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Steve McCurry, Un uomo anziano della tribù Rabari, Rajastan, 2010.

In ogni sala c’è una cornice perfetta, il matrimonio è ben riuscito. E perfetto, credo, è anche il titolo della mostra. Perché McCurry permette realmente di andare al di là dello sguardo, in almeno due direzioni. Ogni ritratto, appeso al posto dei dipinti dei nobili che qualche secolo fa adornavano le pareti, sembra prendere vita: gli occhi dei bambini, delle donne, dei vecchi monaci o dei pastori fotografati bucano la fotografia e attraversano lo sguardo dello spettatore, che non può non sentirsi, oltre che affascinato da quei tratti somatici così diversi, toccato nel profondo. Quegli stessi occhi, però, per quanto bidimensionali, ci invitano ad un’immersione profonda, e sanno raccontare una storia, grazie alla giustizia che McCurry ha reso loro.

Ad ogni mostra a cui vado sono solita scegliere il mio scatto preferito tra tutti. Stavolta non ci sono riuscita. E ripensando a tutte quelle domande, mi è ancora difficile selezionarne soltanto una. Il mio conto con Steve, per ora, resta aperto.

“Steve McCurry. Le storie dietro le fotografie”, Villa Reale di Monza, fino al 6 Aprile 2015.

Foto: Alessandra Lanza, Steve McCurry + allestimento della mostra presso Villa Reale, Monza.

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