La seconda giovinezza degli artisti, tra entusiasmo e utopia

In Arte

La produzione più matura degli artisti rappresenta un esempio straordinario di equilibrio tra creatività, esperienza e libertà espressiva. Da Michelangelo a Picasso a Gillo Dorfles, qualche riflessione sul rapporto tra arte e longevità.

 

Nella nostra epoca la memoria collettiva, il significato del ricordo e la trasmissione culturale non sono più affidate al ruolo critico di quelli tra noi che più a lungo hanno vissuto, un tempo considerati custodi di storia e di significati.Oggi il ruolo dei meno giovani ha perso buona parte del suo significato e gli stereotipi che riguardano l’invecchiamento si sprecano, dalla mancanza di memoria al decadimento cognitivo fino alla perdita di utilità sociale e di scopo nella vita. Si pensa che le persone più mature, a meno che non devolvano tempo e denaro per figli e nipoti, siano principalmente persone in declino, improduttive, depresse e asessuate.

La maggior parte di queste idee sono però semplici costruzioni sociali, infondate empiricamente e dannose per chi le subisce, in quanto profezie che, nel momento in cui vengono interiorizzate, si autoavverano. Ma fortunatamente non sempre e non per tutti è così: attivando le dovute risorse, superare l’ipotetica età del ruolo attivo nel lavoro e nella società può essere un momento di adattamento e di rinnovamento, in cui riscoprire, recuperare o addirittura esprimere al meglio le proprie potenzialità grazie a quelle capacità che si mantengono e spesso migliorano con il passare degli anni, prime fra tutte le competenze emotive e la creatività.

Pablo Picasso, Nu couche et tete d'homme, 1970
Pablo Picasso, Nu couche et tete d’homme, 1970

Rudolf Arnheim, il celebre psicologo della Gestalt e critico d’arte vissuto fino a 103 anni, propose un grafico in cui a una curva a campana, che rappresenta lo sviluppo e il declino della nostra vita biologica, sovrapponeva una scala sempre ascendente, che rappresenta la creatività. E proprio la creatività, dunque – intesa come capacità di conciliare gli opposti in sistemi unitari e coerenti – rappresenta una forma di pensiero flessibile e dialettico che permette agli artisti maturi di smentire gli stereotipi e di dare il meglio di sé nell’arte come nella vita.

Molti sono gli esempi storici. Donatello, ipovedente e affetto da Parkinson, a ottant’anni realizzò i pannelli del Pulpito della Resurrezione nella chiesa di San Lorenzo a Firenze, il suo capolavoro. Michelangelo, nonostante che da ormai più di un decennio si lamentasse dei problemi dell’età, progettò la cupola di San Pietro a 85 anni e scolpì la Pietà Rondanini a 89. Tiziano, novantenne e quasi cieco, anticipò i secoli con la sua straordinaria pratica di pittura con le dita, con cui aggiungeva tocchi di luce e dettagli ai suoi dipinti. Picasso, nella fase finale della sua lunga esistenza, ci ha regalato opere di straordinaria forza espressiva e modernità, che più che rappresentare un commiato sembrano aprire, con sarcasmo, energia e sensualità, nuove strade verso il futuro. Willem De Kooning nei suoi ultimi lavori elaborò uno stile pittorico nuovo, complesso e articolato nonostante fosse ormai completamente smarrito nella demenza, con buona pace dei critici dubbiosi. Louise Bourgeoise ci ha lasciati alla soglia dei cent’anni, quand’era ancora lucidamente e completamente immersa nel flusso della sua ricerca artistica ed esistenziale, con la freschezza di una giovane artista e la forza della sua lunga esperienza di vita.

Willem de Kooning, Tryptich, 1985
Willem de Kooning, Tryptich, 1985

Molti sono anche oggi gli artisti che, dopo una vita di creatività e intense esperienze, ci regalano con le loro opere una visione dell’arte in cui si fondono sapere, entusiasmo, capacità e libertà espressiva. Senza bisogno di andar lontano, a Milano in questo periodo abbiamo avuto e avremo l’opportunità di incontrare alcuni tra coloro i quali hanno dedicato la loro vita all’arte e ancora ci regalano gli sviluppi e la complessità della loro visione del mondo.

Chi ha avuto la fortuna di imbattersi nella piccola, meravigliosa mostra di Gillo Dorfles da poco conclusasi alla Triennale di Milano, non ha potuto non restare incantato di fronte alla potenza espressiva del VITRIOL, emblema alchemico reinterpretato dall’artista il cui nome è l’acronimo di “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”, ovvero “Visita l’interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta”. VITRIOL, che da alcuni anni accompagna la ricerca del poliedrico “centenario d’elite” – critico d’arte, medico, pittore, pianista, scultore e poeta – in questa mostra ha trovato il suo apice di equilibrio formale ed espressivo nei disegni più recenti, quelli del 2016, quando Dorfles aveva già compiuto 106 anni! Segni di biro rossa e blu, campiture a pennarello e tratti rapidi – che compensano la mano forse meno ferma ma certo profondamente consapevole ed esperta – formano figure antropomorfe intense e vive grazie all’esecuzione scarna e sapiente. Un viaggio nell’inconscio, un rituale di saggezza, trasmissione di un sapere profondo accumulato ed elaborato in una vita lunghissima, eccezionale e ancora pienamente attiva.

Gillo Dorfles, Vitriol, 2016
Gillo Dorfles, Vitriol, 2016

Nel cortile dell’Università Statale di Milano, dallo scorso dicembre fino all’11 marzo prossimo, è possibile ammirare l’opera “Exoteric Gate” di Nanda Vigo, un’imponente installazione luminosa site-specific ispirata alle architetture scenografiche dell’Ateneo. L’opera rappresenta la sintesi di una lunga ricerca avviata dall’artista negli anni Sessanta con i cronotòpi, ambienti o oggetti in cui la luce indiretta, filtrata da materiali riflettenti e rifrangenti, genera impressioni incerte che dilatano i concetti di spazio e di tempo. Nanda Vigo, che con Lucio Fontana, Piero Manzoni e Gio Ponti fa parte di quella generazione di artisti che ha fatto di Milano una capitale dell’arte mondiale, non celebra dunque se stessa presentando la sua produzione storica ma ancora ci stupisce con l’evoluzione di quelle premesse, che sembra non debbano mai smettere di portare a nuovi slanci e nuove scoperte.

Nanda Vigo, Exoteric Gate, 2016
Nanda Vigo, Exoteric Gate, 2016

Fausta Squatriti ha da poco inaugurato la trilogia di mostre “Se il mondo fosse quadro, saprei dove andare…”, alla Triennale di Milano, alle Gallerie d’Italia e alla Nuova Galleria Morone. Donna di fascino e di cultura, pittrice, scultrice, grafica, poetessa, saggista, scrittrice, editore di libri d’arte e per anni docente all’Accademia di Brera, Fausta Squatriti ha attraversato la storia dell’arte milanese, italiana e internazionale, compagna di viaggio di Fontana e di Man Ray, di Niki de Saint Phalle, di Kokoschka e Tinguely e di una miriade di altri artisti, poeti, scrittori e musicisti. Animatrice culturale e artista precoce e anticipatrice, dagli anni ’60 usa il plexiglass e l’acciaio, modella, incide, disegna, dipinge, restituisce un’anima sensibile all’astrazione geometrica per arrivare ora all’elogio della materia ruvida e struggente degli ultimi lavori. Vedere il lavoro della Squatriti, ascoltare i suoi racconti e godere della sua arguzia è un regalo che arricchisce e che apre a nuove visioni del fare e soprattutto dell’essere nell’Arte.

Fausta Squatriti, dal ciclo Beata solitudo, sola beatitudo, 2014
Fausta Squatriti, dal ciclo Beata solitudo, sola beatitudo, 2014

Dal 21 aprile prossimo il Comune di Milano renderà omaggio ai sessant’anni di carriera di Amalia Del Ponte con una doppia mostra personale al Museo del Novecento e allo Studio Museo Francesco Messina dal titolo “Onde lunghe brevissime”. Artista curiosa e instancabile, sin dagli anni Sessanta Amalia Del Ponte conduce una ricerca originale e complessa che spazia dai saperi antichi alle attuali intuizioni scientifiche e tecnologiche. Nei suoi lavori recenti la ricerca diventa ancor più minuta e attenta, come, solo per fare degli esempi, in “Looking high”, raccolta multimediale che indaga tutti gli aspetti antropologici dell’orso come animale simbolico, o in “Regno dei possibili, invisibili”, installazione nelle ex polveriere dell’isola della Certosa a Venezia del 2010, dai cui pavimenti, attraverso oblò che si aprono sul mondo invisibile, esplora infinitesimali forme di vita vegetale e animale, ipotesi grafiche su mondi ancor più microscopici come il DNA fino alle proiezioni mentali del pensiero sull’arte. In tutta la sua produzione l’artista crea non semplici opere ma ambienti sinestetici, in cui la normale fruizione si trasforma ogni volta in un’indimenticabile esperienza vissuta, olistica e multisensoriale.

Amalia Del Ponte, Regno dei possibili, invisibili, 2010
Amalia Del Ponte, Regno dei possibili, invisibili, 2010

Quelli presentati sono solo alcuni tra gli artisti che sembrano non sentire il passare degli anni ma solo l’entusiasmo per il presente e la curiosità per il futuro. In un’epoca in cui, dispiace dirlo, il conformismo pervade in buona parte i tentativi di ricerca dei giovani artisti – spesso inconsapevoli e lontani loro malgrado da quell’idea di confronto/scontro che permeava la vita degli artisti almeno dalle avanguardie fino agli anni Sessanta – è più che mai fondamentale il contributo e l’insegnamento di questi artisti e di queste artiste straordinarie che, invece di citare meccanicamente se stessi, ancora ci mostrano nuove strade percorribili e utopie da inseguire fino in fondo. Perché, come diceva Italo Calvino, “la vita di una persona consiste in un insieme di avvenimenti, di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme”.

 

Immagine di copertina:  Gillo Dorfles © Copyright ANSA

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