Salvare gli altri è un dovere morale: parola di “Comandante”

In Cinema

Edoardo De Angelis porta sullo schermo, in un racconto ben costruito, la vicenda dell’equipaggio di un sommergibile italiano che nel 1940 affondò un mercantile belga decidendo di salvarne l’equipaggio nonostante fosse “nemico”. L’ottima prova di Pierfrancesco Favino e degli altri interpreti contribuisce a rendere ancor più solido l’insegnamento universale di questo episodio; che ha chiari riferimenti all’attualità mediterranea ma porta con sè un significato più vasto di solidarietà, protezione tra popoli

Una delle immagini più poetiche di Comandante, l’ultimo film di Edoardo De Angelis (Indivisibili e Il vizio della speranza), è quando il corallaro di Torre del Greco Vincenzo Stumpo si offre volontario per una missione senza ritorno, quella di liberare il sommergibile incagliato nel filo di una mina sottomarina al largo di Gibilterra. Nel profondo del mare, Stumpo nuota in mezzo alla fluorescenza acquatica, parla con sé stesso, evoca le sirene, si fa compagnia mentre va sereno verso la morte, in questa sorta di liquido amniotico che invece della fine richiama l’utero, la nascita, l’inizio della vita.

La vita è la storia vera di Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini che nel 1940, nell’oceano Atlantico, affonda il Kabalo, un mercantile belga che segretamente trasporta materiale bellico inglese. La nave cola a picco ma parte dell’equipaggio si salva e Todaro decide di farsi carico degli uomini, dapprima trascinando la loro scialuppa di salvataggio, e, quando questa affonda, imbarcando i superstiti. Ma poiché sono troppi, alcuni trovano posto solo nella torretta di avvistamento, costringendo Todaro a navigare per giorni in emersione, correndo il rischio di essere bersaglio del nemico, fino a quando riesce a sbarcare i marinai belgi nelle Azzorre. Sfidando la morte, Todaro restituisce la vita ai nemici.

È tutto un morire e rinascere Comandante, a partire dalle prime immagini, rarefatte, buie, evocative; da Todaro che, curato amorevolmente dalla moglie Rina, rinasce da un terribile incidente in cui si spacca la schiena, al marinaio lasciato inspiegabilmente a terra all’ultimo momento (si scoprirà, dopo, che grazie a questa decisione del comandante, si salva da un attacco di peritonite), fino al cuoco di bordo Gigino che prima d’imbarcarsi ha un ultimo amplesso con la sua ragazza cui succhia il seno come un neonato. Dopo gli addii alle loro donne, agli uomini non resta che partire in missione per dare la morte al nemico, ma lo fanno rinchiudendosi in un grande utero di ferro, il sommergibile, dove il Comandante accudisce e al tempo stesso in qualche modo “educa” i suoi uomini a un comportamento morale, etico: lui, che fa yoga, crede negli oracoli e nella legge del mare.

Al pari del suo protagonista, anche De Angelis ha un intento morale in questo suo racconto, la necessità di far prevalere l’umanità di fronte alle brutture della guerra, l’imperativo morale di salvare le vite in mare, a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Lo fa con un racconto esaltante e ben costruito, dove dimostra di poter gestire il considerevole budget di 15 milioni di euro, aiutato dalla solita ottima interpretazione di Pierfrancesco Favino nel ruolo di Todaro, senza dimenticare i suoi attori più fidati, da Massimiliano Rossi che è il secondo ufficiale a Gianluca di Gennaro nel ruolo di Stumpo, a Silvia D’Amico in quello della moglie Rina.

Il soggetto, che viene da un libro scritto dallo stesso De Angelis con Sandro Veronesi, ha la forza dell’attualità anche se racconta una vicenda del passato, proprio perché la dignità umana è una necessità perenne. Ci sono delle forzature nel film: un eccesso di simboli (frasi in greco antico, lettura di aghi, la voce fuori campo del Comandante Todaro che “dialoga” con la moglie lontana), un sentimentalismo che a volte sembra rimestare nell’italianità più melensa, fra gnocchi e mandolini; un nazionalismo che di questi tempi la semplice frase “non sono un fascista, sono un uomo di mare” non scaccia completamente. Ma nella sostanza Comandante di De Angelis è solido, ha un ritmo avvincente, e in più ha il merito di restituirci l’idea che il soccorso sia una necessità inalienabile fra le genti, e il suo significato più vasto sia prendersi la responsabilità della vita altrui, proteggere. In altre parole, che in questa vicenda così profondamente virile e pugnace, ci sia la possibilità di ritrovarsi tutti in una sorta di sommergibile emotivo, in una bolla di umanità, dove si può sempre scegliere di salvare chi ha bisogno.

Comandante, di Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh, Arturo Muselli, Silvia D’Amico, Giuseppe Brunetti, Gianluca Di Gennaro, Pietro Angelini

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