L’arte dello strappo: omaggio a Mimmo Rotella

In Arte

In attesa che inauguri, a novembre, la retrospettiva messa in calendario alla Fondazione Marconi, tre galleristi milanesi celebrano il decennale della morte di Mimmo Rotella. Un’occasione per indagare gli aspetti meno conosciuti dell’eclettica produzione dell’inventore dei dècollages.

Immaginiamo un’afosa notte romana di un’estate della metà degli anni Cinquanta del Novecento. Notte di forti passioni pasoliniane, di ragazzi di vita e corse in moto e silenzi franti da fischi e voci grosse sotto i tetri lampioni del Lungotevere. Avremmo potuto incontrare un uomo all’apparenza tranquillo, inappuntabile, che ci avrebbe salutato con un cenno veloce del capo senza rallentare il passo svelto. Non ci saremmo mai accorti che quell’uomo, sotto la giacca scura, nascondeva fasci di brandelli di réclames pubblicitarie strappate furtivamente, e illegalmente, dai muri della città. È più prosa che poesia? Eppure quest’uomo, Mimmo (al secolo Domenico) Rotella (1918-2006), riusciva poi nella penombra del suo studio a trasformare in una strana, inedita poesia visiva questi lacerti di immagini, di scritte, di carte colorate sottratte furtivamente all’esposizione pubblica.

 

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Emilio Villa, il primo critico ad accorgersi della potenzialità espressiva di questi lavori, li ha felicemente battezzati nel 1955 décollages, termine che da allora è sempre stato un complemento indissolubile dalla figura di Rotella. «Io incollo manifesti, poi li strappo: nascono forme nuove, imprevedibili. Ho abbandonato la pittura da cavalletto per questa protesta». Una protesta, a dire dell’autore, nata dopo i rimbalzi di rigore dall’arte figurativa all’astratta e concreta, dopo un contatto diretto, nel 1951, con le novità dell’informale americano, dal bisogno di intraprendere una «ricerca» che non si affidasse «all’estetica, ma all’imprevisto, agli stessi umori della materia». Un imprevisto, in realtà, ponderato e calcolato dalla composizione in studio, dove pochi elementi sono ceduti ai capricci del caso, dalle immagini da sovrapporre, occultare, mostrare, alla scelta dei supporti e dei formati. Dalla messa a punto dei décollages e dei retro d’affiches, realizzati con il verso dei manifesti, Rotella non ha mai smesso di sperimentare, negli anni a venire, ripartendo sempre dalla grammatica di base del manifesto, dell’immagine pubblicitaria, della fotografia da rotocalco.

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Mimmo Rotella, Le cachet, 1960. © Fondazione Mimmo Rotella. Photo: Courtesy Fondazione Marconi

In attesa che si apra, a novembre, l’ampia retrospettiva organizzata da Marconi, diverse fasi del suo lavoro sono ora raccontate in concerto, per celebrare il decennale dalla morte, da altre gallerie milanesi. Da Robilant+Voena i riporti fotografici realizzati tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, gli espressivi ritorni a una pittura coscientemente brutta, «barbarica», in sintonia con le emergenze e le esigenze del graffitismo americano, e i Replicanti (1990), divertita collezione di teste minimali in porcellana colorata che indossano maschere e occhiali di vario tipo. Da Cardi i blanks: la serie di pannelli con cartelloni pubblicitari quasi completamente occultati da fogli monocromi messi in cantiere tra il 1980 e il 1981. Carla Sozzani sceglie di riunire le opere a soggetto erotico che seguono le rivoluzioni sessantottine e le conquiste del sesso libero sbandierato in ogni dove, frutto prevalentemente di un lungo soggiorno parigino dell’artista tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo.

L’occasione è buona, saltando di sede in sede, per misurare, sulle evoluzioni del lavoro di Rotella, le anticipazioni e i tempi di risposta ai vorticosi sconvolgimenti dell’arte novecentesca. Alla base un’intuizione forte. Nell’Italia del boom economico, nella Roma di Cinecittà, Rotella comprende la forza dell’immagine e del messaggio pubblicitario come chiave di lettura della società. I suoi manifesti stracciati e sovrapposti, specchio della nuova mentalità consumistica che divora se stessa, sono il Pop prima del Pop, perché partono da una materia realmente popolare, formativa anzi del popolo italiano del dopoguerra. E non a caso riceveranno la giusta consacrazione solo dalla Biennale del 1964, che segna lo sbarco e il trionfo della Pop Art in Italia. Ma il 1964 non è il 1958, dentro anni che pesano come macigni sulla storia della cultura italiana. Nel 1957 era nato il Carosello, e la pubblicità era già spettacolo; nel 1960 La dolce vita, la cui locandina finirà tra i décollages di Rotella, aveva segnato un punto di non ritorno sulla presa di coscienza della fisionimia e delle crisi della borghesia italiana, sulle nevrosi del divismo…

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L’allestimento della mostra da Robilant+Voena. Foto di Federico Manusardi

Lo stesso anno Rotella aderiva al manifesto del Nouveau Réalisme, dividendosi tra Roma e Parigi, la casa di Yves Klein e i caffè di Piazza del Popolo. E da qui l’avvio alla sperimentazione di nuove tecniche. Con i riporti fotografici su tela, di cui una bella scelta è esposta da Robilant+Voena, si entra tra le pagine dei rotocalchi, dalla pubblicità (Ice cream, 1963) alla cronaca, in aria di critica militante (Pax mundi e Violenza segreta, 1963). Gli anni del terrorismo raccontati con gli scatti e i libri che hanno fatto epoca: I guerriglieri (1980) armati per le strade della «Milano violenta» raccontata dai b-movie di Lenzi e Caiano e da una fortunata fotografia de «L’Espresso» del 1977; la Storia del terrorismo (1980) dalla foto di copertina dell’omonimo libro di Walter Laqueur del 1978. Siamo perfettamente al passo con i tempi, se non in leggero anticipo. Il celebre trittico di Warhol con la gigantografia di una pagina de «Il Mattino» e il titolo a caratteri cubitali «FATE PRESTO», realizzato per Luigi Amelio dopo l’eruzione del Vesuvio, è del 1982.

I Blanks riuniti da Cardi sembrano invece rispondere sulla lunga distanza, e dopo ostinate riflessioni e opposizioni, a quell’esigenza di annullamento dell’immagine che pervade i diversi fronti dell’arte contemporanea già dalla fine degli anni Cinquanta. Un annullamento al quale il dna di Rotella non può comunque piegarsi fino in fondo: il suo linguaggio è troppo radicato nell’immagine, e dall’immagine ogni volta parte e ritorna. L’annullamento deve essere percepibile come processo, come gesto che rigenera attraverso la razionalità e il colore, e l’immagine vive nella sua resistenza a questo processo. Dai veli monocromi, volutamente grinzosi, stesi come pietosi sudari, traspaiono o affiorano, agli angoli o negli spazi scoperti, brandelli di scritte e fotografie. Sono di nuovo affiches pubblicitarie, un materiale di base che nel tempo è andato affinandosi, raggiungendo risultati artistici di per sé ragguardevoli nelle mani di pittori, disegnatori e comunicatori d’impresa che hanno segnato la nascita della grafica moderna. Basterebbe percorrere la storia dei manifesti Campari, dalle composizioni tra Art Decò e Secessione di Dudovich, a inizio secolo, ai cartelloni futuristi e pseudocubisti di Depero e Nizzoli, fino alla ripetizione del logo, in salsa pop, dei manifesti di Munari negli anni Sessanta. La pubblicità del Punt e Mes ripresa da Rotella è un esempio di pura sintesi formale firmato da Armando Testa; il manifesto del Cynar, il più utilizzato tra i Blanks, rielabora un lavoro di estrema eleganza di Lora Lamm…

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Mimmo Rotella, Blank viola, 1980. © Fondazione Mimmo Rotella

Tornano così le bevande gassate, gli amari, gli aperitivi, le utilitarie: a parte l’ingerenza della tecnologia le esigenze della società moderna non sembrano essere poi molto cambiate. Viene in mente una bella prosa di Leonardo Sinisgalli, un altro eclettico piovuto a Milano da un sud un po’ meno profondo della Calabria di Rotella, e che fu anche tra i primi promotori della sua opera dalle pagine della «Civiltà delle macchine». Se ne stava seduto «al Campari», una tarda sera degli anni Trenta, e fissava la parete «che sta di faccia al Duomo», già allora percorsa da insegne luminose e pannelli pubblicitari. «Questa è la vera fronte di Milano, e come sulla fronte della moglie di Putifarre si possono leggere, tutte le sere scritti a colori, i desideri della città… Ma dovremmo credere che questa gente non ha che preoccupazioni diuretiche. La bestia vuol bere, vuol mangiare, vuole bene digerire. Segretamente. Vuole divertirsi».

 

Mimmo Rotella, Galleria Cardi, fino al 18 novembre; Galleria Robilant+Voena, fino al 28 ottobre

 

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