L’Italia, Milano, il cinema: la Pop Art meneghina negli anni Sessanta e Settanta

In Arte

Il palazzo della Regione Lombardia ospita fino al 29 maggio la mostra “Milano Pop. Pop Art e dintorni nella Milano degli anni ‘60/’70”

L’esposizione, curata da Elena Pontiggia, si compone di una vivace selezione di oltre cinquanta opere di grandi artisti italiani attivi in una Milano in bilico fra il boom economico e le tensioni fredde in politica, che hanno principalmente declinato, elaborato, espresso la Pop Art nel Bel Paese.

Gli anni Sessanta e Settanta sono quelli della musica mainstream che faceva sold out ai concerti, della conquista di un benessere borgese accessibile a tutti, in cui tutti potevano sognare cosa diventare e con ottime probabilità di riuscita realizzarlo.

Sono gli anni dei kolossal nei cinema e degli scaffali pieni ai supermercati, delle grandi correnti pacifiste e degli schieramenti politici attivi, in cui la libertà di pensiero era un concetto da difendere al pari del vivere.

Sono anni di contrasti dalle tinte forti, fervide come quelle dei quadri Pop, in cui l’acrilico dettava la grande novità e consentiva una velocità d’esecuzione decisamente performante, rapida e immediata.

Mimmo Rotella, Cleopatra Liz, 1963. Décollage su tela, ph. Bruno Bani

Le immagini visive diventavano il primo mezzo nel mondo della pubblicità e la figura del grafico pubblicitario era in forte ascesa. L’arte doveva fare qualcosa per non restare indietro. E lo fece. La Pop Art fu la risposta naturale a tutto questo e divenne subito fenomeno mondiale, nato in Inghilterra, ma consolidato ed esploso in America conquistò presto anche l’Italia: era la moda del momento.

Come risposta di contrasto all’espressionismo astratto, si potrebbe dire che funzionò un po’ come oggi funziona una certa nota app: fotografa un frammento di quotidiano, lo iconizza, lo traduce in poetica visiva e ne ricava linguaggi urbani declinabili in infinite possibilità. Dopotutto, Pop altro non è che l’abbreviazione di “Popular”, popolare e si fa portavoce di un linguaggio artistico che parla la lingua del periodo in cui vive e della gente che lo abita.

L’Italia certo non rimase indietro, ma che il concetto di Pop italiano sia diverso da quello americano lo si capisce sin da subito e la mostra intende mettere l’accento proprio sui punti di contatto e sulle differenze, sul modo in cui viene elaborato, accolto o talvolta respinto, seppure finendoci irrimediabilmente poi dentro.

Fernando De Filippi, Cuba-Cuba, 1970. Acrilico su tela, ph. Chiara Fasoli

Gli artisti italiani non riescono a non raccontare, non riescono pienamente a svuotare i contenuti o a sdoganare i canoni estetici. L’Italia cerca legami, messaggi che trovano supporti storici o politici come quasi a significare che un paese così culturalmente stratificato non possa offrire carte totalmente bianche su cui scrivere novità.

Eppure le novità si verificarono, eccome.

Nel variegato corpus di opere esposte, frutto di un’accurata selezione fra  le idee si affastellano caricandosi di colori spiccati e strutture nuove, che preannunciano albori di progetti grafici molto simili a quelli ottenuti digitalmente oggi.

Umberto Mariani, Gli oggetti ci guardano e passano, 1970. Olio su tela,  ph.Chiara Fasoli

Assieme ai grandi protagonisti italiani del movimento pop del calibro di Mario Schifano, Tano Festa, Mimmo Rotella, Giosetta Fioroni emerge la rosa nodale della mostra, di artisti attivi sul territorio milanese, come Valerio Adami, Enrico Baj, Silvio Pasotti, Tino Stefanoni, Emilio Tadini, Sergio Sarri, Giacomo Spadari.

Ed è proprio a Sarri e Spadari che la mostra dedica un piccolo delizioso cammeo da non perdere: l’evento collaterale “Cinema Pop” presso la galleria Robilant + Voena.

L’esposizione si impreziosisce di una trentina di opere dei due artisti, a testimonianza e confronto delle diverse letture e interpretazioni del cinema.

La finzione cinematografica offre diversi spunti e linguaggi, che trovano in Spadari colori sfaldati, posterizzati di fotogrammi che potrebbero, nella loro fissità pittorica, assumere un eterno e nuovo significato oppure nella compostezza grafica di Sarri, dalle campiture pittoriche perfette, quasi a prova di aerografo, in cui la macchina e l’uomo sono messi costantemente a confronto in una sorta di collage pittorico che potrebbe evocare la memoria, il ricordo, stralci di quel mondo artefatto, fumoso, effimero e pieno di fascino che è il cinema e il varietà.

Giangiacomo Spadari, Metropolitana, 1973. Acrilico su tela, ph. Bruno Bani

Milano Pop. Pop Art e dintorni nella Milano degli anni ’60/’70 è promossa da Fontanasedici S.r.l. in collaborazione con Regione Lombardia, Collezione Koelliker, Arteutopia, Associazione Sergio Sarri, Associazione Giangiacomo Spadari. A cura di Elena Pontiggia, Milano, Palazzo della Regione, fino al 29 maggio. Ingresso libero.

Immagine di copertina: Tino Stefanoni, I flaconi 53, 1969. Tecnica mista e rilievi su tavola, ph. Bruno Bani

 

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