Rondò ha vent’anni. Intervista a Sandro Gorli che ha fatto l’impresa

In Musica

Dai “maestri” ai giovani talenti della composizione. Gli strumentisti per lo più pescati nelle nuove generazioni. La rassegna di contemporanea, diretta (è il caso di dirlo) con mani esperte da Sandro Gorli, doppia la boa dei due decenni. E nella nuova sede alla Fabbrica del Vapore può programmare il futuro. Che avanza anche nella musica

Concerti di musica contemporanea – rigorosamente dice una pubblicità – , compositori storici ma per lo più giovani, spesso sconosciuti anche al pubblico di nicchia, strumentisti fioriti nelle nuove generazioni. Una missione difficile quella del Divertimento Ensemble diretto da Sandro Gorli. Temuta ed evitata anche nella non sonnolenta Milano. Eppure la stagione che s’intitola Rondò, e ha casa alla Fabbrica del Vapore, compie vent’anni. Un’impresa.

Sandro Gorli, il rischio è il vostro mestiere. Che cosa è maturato in questi vent’anni?
Beh, Divertimento Ensemble ha quarant’anni di vita. Ma è da quando esiste Rondò che abbiamo concentrato i nostri sforzi sui giovani. Prima eravamo un gruppo che si dedicava al repertorio contemporaneo consolidato, sia direttamente sia attraverso concorsi appositamente creati, e tessendo rapporti internazionali sempre più ampi. No, non una missione facile. Che cosa è cambiato? Si è assistito a una sempre maggiore libertà nella sfera creativa; sempre meno scuole e figure di riferimento consacrate. Quarant’anni fa c’erano i maestri, come Donatoni, cui è intitolata la nostra sala qui alla Fabbrica del Vapore, c’erano scuole e correnti: gli spettralisti, i neoromantici, anche mossi da guerre interne e contrapposti in divisioni nette…

Spesso ideologiche
Ora c’è molta più disinvoltura nell’affrontare i problemi linguistici ed estetici. Negli ultimi anni è entrata in scena prepotentemente la tecnologia. Le tecnologie. Non solo computer ma anche software di composizione assistita: nuovi suoni, nuovi modi di lavorare, live electronics.

Più democrazia? 
Sì, perché i mezzi sono sempre più facilmente avvicinabili. Agli inizi, l’elettronica era accessibile solo negli studi specializzati, con l’assistenza di un tecnico che sapeva muovere le macchine. Questa figura è sparita. Il compositore è il tecnico di sé stesso, quasi sempre. Hardware e software sono abbordabili anche economicamente, con qualunque computer si può lavorare. Sono aumentate le classi che si occupano di musica elettronica, negli ultimi anni si è affiancata anche una forte attenzione alla multimedialità: video, performance, altre forme teatrali. Tutto si presenta in forme multiple e difficili da inquadrare. Ma non è neanche necessario farlo. Pensiamo anche solo a una stagione come Rondò: il nostro pubblico deve essere ancor più disponibile. Non sa davvero a che cosa andrà incontro. Alcune proposte lo hanno messo molto alla prova: penso al progetto che l’anno scorso metteva insieme moda e musica.

E com’è andata? Siamo giusto usciti dalla Fashion Week. 
Abbiamo ottenuto risultati molto interessanti, tanto che pensiamo di ripetere l’esperimento. Uno stilista e un compositore, che parlano lingue diverse, liberi di fare qualunque cosa vogliano: che cosa ne uscirà? Hanno cercato di trovare punti di contatto e ne è nato qualcosa di sorprendente per il pubblico, che non sapeva se veniva ad assistere a una sfilata, a un concerto, a una installazione. Ma subito prima, sempre l’anno scorso, abbiamo proposto forme di composizione a più mani. Cosa insolita nella musica classica. 

A Sanremo s’è visto che per scrivere una canzone ci si mettono anche in sette o otto.
Nel pop è un’abitudine: c’è un esperto che mette insieme le tracce del computer, il cantante o la cantante che ci mette del suo, quello che strumenta… tante specializzazioni che convergono. Anche nella musica classica ci sono gruppi di composizione collettiva, molto bravi come Outing, di cui fa parte il nostro Ghisi. E anche qui, in tre, hanno creato qualcosa di diverso dal consueto. Cambia il metodo, nascono nuovi approcci al pensiero creativo, il concerto di musica contemporanea può essere davvero qualcosa di imprevedibile.

E il pubblico è disposto a essere colto di sorpresa?
É stato proprio il pubblico a spingere in questa direzione. Lo dico con qualche rammarico. Sono cresciuto concependo la musica come percorso che non si è mai interrotto dal medio evo a oggi. Credo nella musica come sviluppo coerente. Poi il pubblico ha cominciato a non voler far fatica. Questo è sempre avvenuto, anche i primi che ascoltavano le Sinfonie di Mahler hanno dovuto far fatica e le hanno anche respinte. Ma ora che c’è sempre meno tempo, si va più in fretta, ci sono infinite sollecitazioni, ho notato una minore attenzione, o volontà, nel capire le relazioni tra i suoni, in favore di una maggiore facilità. Se alla musica si unisce un video, qualche elemento visivo o spettacolare, tutto passa più direttamente. Significa una diminuzione della capacità di ascolto critico. 

Nel vostro pubblico?
In generale. Noi abbiamo resistito più di altri organizzatori, in Europa, nel portare avanti un certo pensiero, che riconosco essere anche il mio di compositore, rispetto alle tendenze generali. Ma ultimamente devo un po’ arrendermi e riconoscere che in questa direzione plurilinguistica e multimediale sono nate cose interessantissime C’è un giovane compositore, che si chiama Schubert, sì ma Alexander, che fa cose al limite, ma con una capacità poetica e inventiva meravigliose.

Anche Stockhausen voleva ascoltatori pronti al molteplice, oggi diciamo multitasking: si tratta di accogliere una consapevolezza che esisteva già.
Nessun dubbio che Stockhausen sia stato un precursore. E infatti gli dedichiamo un concerto in stagione, con i Klavierstücke 12 e 13 per pianoforte.  

Comunque il vostro pubblico è diametralmente opposto a quello dell’opera e di molte sale da concerto, che chiede sempre di essere rassicurato con le solite cose.
Il pubblico della musica contemporanea è sempre stato quello che non va per la bella serata ma per cercare esperienze nuove.

E adesso si confronta con generazioni di autori sempre più agguerrite, che non si pongono limiti e pescano ovunque senza sudditanze.
In effetti quel che ho avvertito più forte negli ultimi vent’anni è il rifiuto della tradizione. Si è generata una frattura: i giovani guardano molto più a quel che fanno i loro coetanei. Non tutti, qualcuno guarda avanti con la consapevolezza di quel che è successo prima, ma è più diffuso il rifiuto netto. Il che porta a conseguenze precise: chi esclude il passato ha meno vincoli, meno filtri attraverso cui esercitare la sua fantasia…. Non mi ci riconosco molto, ma è così.

Beh, uccidere i padri comporta anche il rischio di scoprire l’acqua calda e di fare la musica dei nonni. Cause?
La velocità. Quello che interessa del passato è ciò che è avvenuto l’anno prima, perché le cose da una stagione all’altra sono già molto cambiate. Se trent’anni fa era difficile prevedere dove sarebbe andata la musica in un certo momento, oggi è quasi impossibile. Forse è meglio così.

Nella sfera dell’esecuzione, però, il ricambio generazionale c’è stato e con effetti notevoli.
Assolutamente sì. Un arricchimento tangibile. Quando ho cominciato a comporre, negli anni Settanta, i quartetti d’archi non erano in grado di eseguire un nuovo pezzo. Un mio quartetto ho dovuto dirigerlo, ed era un gruppo specializzato. Le orchestre suonavano molto male la musica d’oggi. La rifiutavano. Oggi l’orchestra degli allievi del conservatorio dà esecuzioni di musica contemporanea meravigliose. Nell’approccio alla musica d’oggi tutti i giovani strumentisti e interpreti hanno una facilità di approccio mai sperimentata prima. 

Da questo qualcosa nascerà. Forse è già nato qualcosa: c’è anche un giovane compositore, Daniele Ghisi (nella foto sotto con Sandro Gorli), associato alla direzione artistica.
Mi sono rivolto a lui perché penso che un giovane con una formazione culturale molto diversa dalla mia possa conoscere nomi e ambienti che, nonostante la mia curiosità, posso non raggiungere. Non si tratta di una direzione artistica congiunta: gli ho affidato l’ideazione di due-tre concerti.

Un osservatore?
Un occhio esterno, una specie di innesto. Se una pianta fa fiori gialli, con l’innesto può farli rossi o bianchi. Ci sono incroci che producono cose mostruose, ma un esperimento come questo era da tentare.

Preludio a un passaggio di consegne?
Forse sì. 

Quando i giovani scoprono scuole o maestri sconosciuti, scatta qualcosa in loro?
Non ho mai assistito a un recupero. Coloro che si chiedono Donatoni chi?, non li ho visti tornare indietro, perché hanno imboccato strade che hanno potuto comunque seguire. Non si sono persi in vicoli ciechi. Grandi avventure, in diverse direzioni, non presuppongono assolutamente il passato come confronto. Come nel caso di Alexander Schubert. 

Comunque un bilancio di sostanza, magari diversa dal previsto. 
Sì, ne sono convinto. Abbiamo fatto un lavoro che pochi o nessuno ha fatto. Le nostre proposte sono diverse e ci siamo assunti anche il rischio di offrire prodotti non buoni. Il nostro pubblico è consapevole e non ha paura a dire: questo è brutto. Sono i rischi di un ascolto critico. Il bilancio è ampiamente positivo nei rapporti con i giovani compositori, attraverso l’Accademia, e con i partner europei, perché questa rete Ulysses, creata per accedere ai fondi europei, ha sviluppato in dodici anni scoperte importanti. Una di queste è lo stesso Ghisi: il suo primo pezzo lo abbiamo eseguito quando aveva 18 anni. E attraverso i partner europei abbiamo portato al nostro pubblico autori che sarebbe stato difficile se non impossibile conoscere. Si dice: ormai trovi tutto su internet. Ma avere una rete di persone ed esperienze aiuta nella scrematura di quel tutto che, senza filtri e linee guida, rischia di essere niente. 

In copertina: Divertimento Ensemble. Al centro il direttore d’orchestra Sandro Gorli

Tutte le foto sono di Giovanni Daniotti

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