La scespiriana guerra dei sessi

In Teatro

Mingarelli e la Mendola tagliano e cuciono su una bella compagnia under 30 le “Pene d’amor perdute”: manca il ricamo ma c’è un contagioso entusiasmo

La commedia degli errori. Nel senso di un testo tra i più noti (almeno nel titolo) del Bardo, ma tra gli allestimenti meno frequentati sui nostri palcoscenici (molti i gruppi amatoriali, rari i professionisti come Silvano Piccardi la scorsa estate al Globe di Roma), tanto è vero che è quasi più facile vederlo rappresentato da compagnie straniere ospiti nei cartelloni degli stabili (Dodin al piccolo nel 2010) o ai festival internazionali (Emmanuel Demarcy-Mota al Napoli Teatro Festival del 2008).

Ben venga dunque una giovane compagnia (quasi tutti sui 30) che si impegna a districarsi nella complessità della trama e nei molti passaggi inattesi del testo, vedi il finale della commedia in commedia che non contempla l’auspicato happy end. Il disegno messo in atto dal regista Antonio Mingarelli (stessa generazione degli attori) in tandem con la primattrice Silvia Giulia Mendola prevede un copione quanto mai essenziale, tagliato massicciamente di scene e personaggi e riduce a un’ora e 40′ una messa in scena che integrale oltrepasserebbe le tre ore.

Della quindicina di personaggi originali si conservano solo i sei principali e viene depennata del tutto una delle quattro coppie protagoniste; viene anche completamente cassata la controstoria del triangolo amoroso tra i personaggi popolani come pure il complesso finale che non va a risolvere il senso globale di tutte le vicende. Ci si concentra sugli scontri amorosi tra i giovani nobili alla corte del Re di Navarra impegnati in un triennale ritiro filosofico e la Principessa di Francia con le sue dame giunte inopportune a interromperli nella prova di dedizione allo studio. Tre coppie contro tre coppie in un costante esercizio di wit, la trasposizione intellettuale della guerra dei sessi, gioco cortese praticato nella cultura secentesca inglese (e presente anche in Spagna).

I sei interpreti sono davvero tutti veramente meritevoli di una grande lode collettiva quando si apprezza la loro ricerca e l’impegno a rendere tangibile il costante spiazzamento del senso lessicale e a esaltare quello straniamento dei vocaboli usato per generare umorismo e comicità, aiutati in ciò dall’elegante italiano volutamente retrò di Giovanni Raboni.

Quello che in gran parte perdono, ma che resta evidente nelle intenzioni del lavoro di gruppo, è il senso filosofico dell’educazione sentimentale di cui il testo mette a confronto le differenti potenzialità di evoluzione. I sei avranno comunque tempo di continuare a sperimentare questa intuizione e questa strada, dal momento che l’attuale messa in scena è solo la prima fase di studio dello spettacolo che nella sua forma definitiva vedrà la luce a Torino nella stagione 16/17.

Per ora accontentiamoci di godere (molto) della loro (alta) capacità di dire la parola, di relazionarsi in uno spazio scenico totalmente vuoto e privo di concreti punti di riferimento, padroneggiando anche la dimensione canora quando vanno a intonare motivi musicali di fine anni ’50 e a creare atmosfere e immagini più vicine alle situazioni delle pellicole beach party che non simili ad American Graffiti o a Grease, come sbandierato negli strilli pubblicitari.

Pene d’amor perdute 50’s, un progetto di Silvia Giulia Mendola e Antonio Mingarelli, allo Spazio Tertulliano