Quarto potere: un secolo di Welles touch

In Cinema

L’artista “più grande della vita” nasceva 100 anni fa. Lasciò un solo film “suo”: il primo, il capolavoro assoluto. 2015: eventi, libri e film parlano di lui

Luci e ombre di Citizen Kane 

Il 6 maggio del 1915 nasceva Orson Welles, autore totem (e molto tabù) di oltre un secolo di cinema, figura mitica, innovatore e sperimentatore, attore carismatico, padre putativo di generazioni di registi. Il suo primo lungometraggio, Quarto Potere (1941), uno dei film più importanti nella storia, è il dogma del cinefilo e dell’appassionato. Se tale verità oggi è quasi scontata (ma non sempre è stato così, la riscoperta di Welles, dopo un periodo di ombra, parte almeno dalla fine degli anni Sessanta) vale però la pena ricordare come e perché consideriamo Quarto Potere un film epocale e l’unico davvero attribuibile interamente a Orson Welles, genio tra i più grandi dell’immagine del Novecento.

La genesi del film ha luogo a fine anni Trenta negli studios della RKO, la più giovane delle cinque major storiche hollywoodiane, nata come azienda multimediale che vuole lanciare una nuova linea produttiva che abbia un’alta riconoscibilità tra il pubblico. L’idea è imitare i successi commerciali della Warner Bros., che produce film di ambientazioni forti, con Humphrey Bogart come protagonista.

I produttori della RKO hanno tra le mani il soggetto di Quarto Potere e decidono di affidarlo al uno dei due autori, il giovane Orson Welles, che aveva stipulato un contratto con la major per realizzare tre lungometraggi. Welles, che non è del tutto privo di esperienze dietro la cinepresa ma non ha ancora girato un vero film, ha da poco acquisito grande fama sconvolgendo l’America con una riduzione radiofonica della Guerra dei mondi di H. G. Wells in cui si annunciava un’invasione aliena in corso sul territorio statunitense. Ma non c’è solo la radio nel già importante curriculum di Welles: è soprattutto a teatro, luogo da lui sempre amato per il rapporto diretto col pubblico, che il 24enne artista ha già fatto esperienze di regia e recitazione, e ora si rivelerà anche un luogo di sperimentazione nell’utilizzo delle luci e delle scenografie.

Orson ha sempre alimentato un’immagine di sé come di un uomo nuovo, totalmente estraneo alla pratica e alla storia del cinema precedenti, ma è certo che il giovane regista amava John Ford e a lui si ispirava. Anche per questo per il suo primo film decide di chiamare accanto a sé, come direttore della fotografia, Greg Toland, che col maestro del western aveva appena lavorato, anche in un film impegnato come Furore.

I due compiranno assieme una vera e propria rivoluzione fotografica nel cinema. Negli anni ’30 Hollywood stava già sperimentando tecniche di illuminazione alternative al metodo tradizionale, che prevedeva l’utilizzo di tre fonti di luci, una principale (key light), una di riempimento (feel light) e una che proviene da dietro (back light). In questo modo le ombre venivano eliminate e il soggetto della scena, su cui catalizzare l’attenzione dello spettatore, rimaneva ben a fuoco. Poi i direttori della fotografia cominciano a togliere una delle tre fonti di luce per creare quegli effetti di chiaro-scuro che saranno il marchio di fabbrica dei film noir anni ’40, ma i risultati non sono del tutto soddisfacenti e la messa a fuoco non è ottimale.

Quello che Welles e Toland riescono a ottenere è la massima espressività mantenendo una messa a fuoco brillante. All’estro artistico di Welles si combina l’abilità tecnica di Toland e l’utilizzo di nuovi supporti tecnici, quali la Eastman Kodak super XX, pellicola molto più sensibile di quelle usate in precedenza, i proiettori a lente di Fresnel, per una illuminazione potentissima sul set, e gli obiettivi grandangolari a corta focale, che permettono non solo di avere immagini estremamente a fuoco, (il famoso sfondo wellesiano), ma allargano l’inquadratura inglobando parti della messa in scena, come il soffitto, che venivano prima tagliati fuori.

L’occhio della macchina da presa si adatta sempre più all’occhio umano: la profondità di campo e la porzione scenica delle immagini sono aumentate. La sintassi hollywoodiana, basata sulla centralità prospettica, in cui gli elementi in una inquadratura erano gerarchizzati, in modo da far risaltare allo spettatore quello che era importante per la trama, viene meno. L’immagine è complessa, si lavora su più piani, ci sono diverse cose che accadono in scena e lo spettatore deve poterle scovare, decifrare tutte. L’immagine diventa sempre più tridimensionale e complessa, si avvicina ancora alla realtà.

Ma in parallelo il cinema di Welles diventa illusorio, ingannevole, come lo è la storia del ricco magnate Kane in Quarto Potere, e com’è spesso il mondo reale. In questo gioco di scatole cinesi, Welles è l’imbonitore che in F for fake, suo film testamento, congeda lo spettatore con queste parole: “I did promise that for one hour, I’d tell you the truth. That hour, ladies and gentlemen, is over. For the past seventeen minutes, I’ve been lying my head off”. (Ho promesso di dirvi la verità per un’ora: ma quell’ora, signore e signori, è passata…”). I marziani non erano sbarcati invano…

Frida Bonatti

Mille incontri con Orson  

LIBRI. Nella nutritissima bibliografia su Orson Welles, che va da It’s all true (Minimum Fax), raccolta di interviste che ripercorrono la sua carriera, con il dvd Rosabella. La storia italiana di Orson Welles e un ricordo di Gore Vidal a Io, Orson Welles di Peter Bogdanovich (Baldini e Castoldi), La guerra dei mondi. Libero adattamento radiofonico dal racconto «La guerra dei mondi» di H. G. Wells, storico volume curato da Fernanda Pivano, si è inserito negli ultimi giorni A pranzo con Orson (Adelphi), interessante operazione storico-filologica, con vista sulle vite private del critco e storico del cinema Peter Biskind: il quale ha raccolto tre anni di conversazioni tra Welles e l’amico-collega Henry Jaglom, alfiere della Nuova Hollywood anni 70-80, da lui registrate tra il 1983 e il 1985, cioè fino a poche settimane prima della morte.

Chiacchiere affettuose (ma anche biliose o acide, malinconiche o nostalgiche quasi tutte però impagabili), al tavolo del ristorante Ma Maison di Los Angeles, protagonisti loro due soli, o a volte con special guest, una serie di bei nomi da Jack lemmon a Zsa Zsa Gabor, qualcuno ben accolto, altri maltrattati (Richard Burton lo liquida senza neanche farlo parlare con: “Non vedi che sto mangiando”) da quell’omone sempre più alle prese con gravi problemi di salute e finanziamenti mancati (sorte dei geni, anche Fellini finì così) dei suoi eterni film incompiuti. Trovate tutto il repertorio di aneddoti veri, arricchiti o falsi, nobilitati però sempre dall’arguzia di Welles, che non viene meno neanche quando è palesemente ispirato da risentimenti e sconfitte personali (non si contano le vittime nel campo dei produttori). Due citazioni: “Brooke Shields è talmente stupida che la boccerebbero anche al Pap Test”. “Come si chiama quel polacco che ha una villa da 25 milioni di dollari? Il Papa”.

FILM. Un assaggio della consistente anche se spezzettata, tormentata e in molti titoli incompiuta filmografia di Orson Welles si può apprezzare in questi giorni su Studio Universal (Mediaset Premium) che il 4 maggio alle 20.40 offre in esclusiva il raro corto, candidato agli Oscar 1953, Return to Glennascaul di Hilton Edwards, in cui con Orson Welles ha la parte del narratore, Segue un mini-rassegna di quattro titoli classici, in onda ogni lunedì di maggio alle 21.15. Nell’ordine, il 4 maggio, dopo il corto, ci sarà Quarto Potere (1941), poi l’11/5  L’orgoglio degli Amberson (1942), il 18/5  Lo straniero (1946) e il 25/5  e in chiusura L’infernale Quinlan (1958).

Al cinema invece l’anno wellesiano è iniziato presto, a gennaio con una ricca rassegna al milanese Spazio Oberdan, in parallelo a quella, completissima e ricca di inediti, del Film Forum South Houston Street di New York. Nell’attesa dell’annunciato completamento del mitco The Other Side of the Wind, il cui editing è stato curato da Peter Bogdanovich, che si dice si potrà vedere entro il 2015, il Forum ha offerto cinque settimane di retrospettiva con Citizen Kane restaurato in versione 4K, L’orgoglio degli Ambersons (1942), La signora di Shanghai (1948), L’infernale Quinlan (1958), F For Fake (1974), Chimes at Midnight restaurato (1965) e il primo film a colori di Welles come regista, Storia immortale (1968). In più Too Much Johnson (1938) il suo debutto professionale nel cinema, protagonisti lo stesso Orson, la prima moglie Virginia Nicolson e Joseph Cotten: si può scaricarlo gratuitamente qui.

Tra le rassegne in corso in America, fino al 3 maggio l’Indiana University in Bloomington, la cui biblioteca ha la più vasta “sezione Welles” che si conosca (oltre 20mila volumi e documenti), riunisce in 4 giorni di convegni e proiezioni intitolati Orson Welles: A Centennial Celebration and Symposium, Jonathan Rosenbaum, Joseph McBride, Chuck Workman che porta Magician: The Astonishing Life and Work of Orson Welles e Patrick McGilligan con la sua biografia Young Orson, in cartellone dal 12 maggio. Altre rassegne sono state organizzate dalla Citizen Welles Society in Kenosha, Wisconsin, città natale di Welles, con una rappresentazione teatrale della Guerra dei mondi, e a Woodstock, Illinois, dove Welles studiò alla Todd School, con Woodstock Celebrates, proiezioni, discussioni, performance e danze dal 6 al 9 maggio.

Gabriele Porro

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