All’Opera in streaming ovvero melomani al tempo della quarantena

In Musica

Resoconto dell’esperienza di opera in streaming di un melomane in quarantena, con riferimenti e link ai portali di diversi teatri italiani ed europei che hanno messo a disposizione i loro archivi: dal Maggio alla Scala (in collaborazione con la Rai), dall’Opera di Berlino all’Opera di Monaco e tanti altri da scoprire

Consideriamo superato l’ovvio. Le obiezioni dei melomani tutti d’un pezzo, quelli intransigenti e risoluti, che l’opera in TV l’hanno sempre snobbata, perché l’ascolto è una cosa seria: “Una messa di voce va sentita dal vivo!”. Certo che andrebbe sentita dal vivo. Ma siccome non ci resta che lo streaming, sarà bene abituarsi; e prima ci si riesce meglio è. Che poi, mandato giù l’amaro calice, si potrà anche ammettere che la vita del melomane in quarantena non è poi così male, considerato che i teatri di tutto il mondo hanno aperto le porte virtuali dei loro archivi, mettendo a disposizione una quantità di opere che, per fare una battutaccia, basterebbe per un’altra pandemia.

E così, inaspettatamente, un’idea di questi spettacoli ce la si può fare davvero: si capisce come hanno cantato, com’era la direzione, se la regia funzionava. Più o meno, certo, ma di questi tempi è meglio che niente. Per di più va detto che rispetto ai video di una volta, quelli “di servizio”, con camera fissa che inquadra la scena e che trasforma i cantanti in lillipuziani, oggi le regie video delle nuove produzioni sono quasi tutte di buon livello. Poi magari il primo piano di un cantante, in certi casi, potrà essere problematico, ma spesso il risultato è più che dignitoso. E a volte si notano addirittura dettagli che a teatro erano sfuggiti allo spettatore più attento.

Ad esempio la mimica facciale di Diana Damrau nella Lucia di Lammermoor cantata a Monaco, che solo in video si può capire quanto sia prodigiosa. La scena ovviamente è quella della pazzia. E sì che alla Scala l’aveva fatta lo stesso anno (2015), col suo stile un po’ Donizetti Kaffeehaus che sembra nato con accompagnamento di glassarmonica: la Damrau ha “un cuoricino liberty”, direbbero i nostalgici della Cortese. Ma a Milano lo spettacolo era quello fantasy di Mary Zimmerman, modesto, che nel momento clou puntava a inaccettabili effetti alla Tim Burton. Molto meglio questo Gangs of Lammermoor di Barbara Wysocka alla Bayerische: la Damrau entra in scena con pistola in mano, minacciosa, si passa la canna sulla faccia e sul corpo, con colorature tra il voluttuoso e lo psicotico. Nel frattempo Kirill Petrenko dimostra che le distanze tra Donizetti e Mendelssohn si possono accorciare assai più del previsto, o almeno più di quanto la routine italiana ci abbia abituato. Un buon modo per prepararsi – con i dovuti scongiuri, vista la situazione – al prossimo Sant’Ambrogio scaligero, con Riccardo Chailly sul podio e in scena la Lucia del momento: Lisette Oropesa. 

Facendo un po’ di zapping si salta in fretta da Monaco a Berlino, da una primadonna all’altra. Stavolta niente meno che Sonya Yoncheva: il video della sua Médée alla Staatsoper è stato disponibile solo un paio di giorni.

Ma sono bastati per scatenare ondate di amarezza e pentimento in tutti quelli che un anno e mezzo fa hanno rinunciato a prendere un volo per sentirla, allora che si poteva. Non che serva ricordarlo, ma come maga infanticida il soprano bulgaro si dimostra artista di impressionante potenza drammatica: un animale da palcoscenico, per di più nella parte Callas per eccellenza, risolta con una credibilità che lascia stupefatti, anche tenuto conto del trucco alla Kurtz in Apocalypse Now che le hanno inflitto. Dalla buca Daniel Barenboim sembra spiegarci che questo che chiamiamo neoclassicismo, in realtà è già espressionismo. Insomma, si può dirigere Médée pensandola come Salome e farla franca: con tutte quelle nevrosi ben cent’anni prima di Charcot.

Paradossalmente è proprio Salome che non andrebbe più pensata come “Salome”. Su Medici.tv (vista l’ampiezza del catalogo, l’abbonamento è vitale almeno quanto Netflix) si può verificare come Franz Welser-Möst a Salisburgo abbia rivisto completamente il concetto di espressionismo. Tanto che persino l’atto unico di Strauss diventa un lavoro trasparente, lirico, quasi di conversazione. Insomma, nessuna discontinuità con le Arabelle e i Rosenkavalier che verranno: è solo un pregiudizio di tradizione. In sintesi, pare che l’espressionismo in musica, per come pensavamo di conoscerlo, oggi sia proprio fuori moda. Sempre a meno che Barenboim non decida di dirigere Cherubini. 

La nevrosi delle tragedie antiche si ritrova anche nelle Bassaridi di Henze, tratto dalle Baccanti di Euripide, che quel geniaccio di Barrie Kosky ha presentato quasi in forma di concerto, dimostrando che il semiscenico, quando lo si sa fare, può essere persino più efficace di una messinscena normale. Nel video si vede che Kosky ha trasformato la sua Komische Oper in una sorta di anfiteatro: una struttura a gradini incorniciata da alte mura e una passerella attorno alla buca d’orchestra. E nel corso dell’opera si avverte un senso crescente di violenza orgiastica, soprattutto grazie alle coreografie che preparano a un finale potente, oltre che disturbante.

Per farsi passare tutta questa inquietudine novecentesca c’è una sola soluzione: Rossini, ovviamente, uno dei protagonisti assoluti dello streaming in quarantena grazie ai numerosi appuntamenti del Rossini Opera Festival, una delle prime istituzioni a essersi messa in gioco dopo il fatal decreto. E qui la partecipazione dei melomani in quarantena non ha nulla da invidiare a quella dei tifosi davanti a una partita di calcio, tenuto conto che bisogna precipitarsi a vedere l’opera prima che scadano le ventiquattr’ore concesse per il link. Così non è improbabile ritrovarsi a guardarla contemporaneamente ad altri amici, con cui diventa essenziale mandarsi messaggi a non finire per commentare le gag messe in scena da Damiano Michieletto nella Scala di seta, o le meraviglie vocali di Aldrich, Flórez, Kunde, Esposito e Pizzolato nella Zelmira, o ancora lo sconvolgente finale del Mosè che Vick ambienta non in Egitto ma in Cisgiordania, per non parlare di quel vero e proprio “Trivial” rossiniano che è Sigismondo, magnifico copia-incolla di brani provenienti da altre opere, ma che sembrano tutti nati apposta per questa, anche grazie alla direzione di Michele Mariotti. Il prossimo appuntamento è il 2 aprile con Matilde di Shabran. In streaming naturalmente.

Alla fine anche la Scala, tra le Götterdämmerung e i Trovatori, ha scoperto le sue carte rossiniane: con La gazza ladra diretta da Chailly qualche anno fa, ma soprattutto con il mitico Viaggio a Reims di Ronconi, ironica rappresentazione di un gruppo di persone, oserei dire un assembramento, rimaste bloccate nel bel mezzo del loro viaggio. Una condizione che normalmente starebbe tra Sartre e Buñuel, ma che a questo punto è comune a più di metà della popolazione mondiale. E chissà che non sia un po’ catartico ascoltarsi la contessa di Folleville cantare “Partir, o ciel! Desio”.

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