L’arbitro è indispensabile o siamo in grado di autoregolarci?

In Teatro

Al Filodrammatici per rispondere a questa domanda si parte dalla Costituzione

L’italiano ha un solo vero nemico: l’arbitro, perché emette un giudizio.

Così diceva Ennio Flaiano e ed è proprio su questa figura un po’ magistrato e un po’ sacerdote, diceva Gianni Brera, che la compagnia emiliana MaMiMò getta le fondamenta di Nessuna pietà per l’arbitro in scena al Filodrammatici fino a domenica.

Sul palco quattro attori, Giuseppe (Luca Mammoli), ricercatore universitario, storico, che cerca di scrivere con estrema difficoltà un discorso per la celebrazione del 2 giugno, sentendosi incapace. Moglie (Federica Ombrato), incinta del secondo figlio, questo di Giuseppe, precaria che perderà il lavoro non appena lo stato della gravidanza sarà visibile e che spinge il marito perché faccia il discorso nella speranza, vana probabilmente, di risolvere i loro problemi economici. Figlio (Filippo Bedeschi), ventenne disoccupato, con problemi di gestione della rabbia e una passione per il basket. Arbitro (Alessandro Vezzani), come hobby direttore nelle partite di basket, ma che di mestiere fa colloqui di lavoro.

La scena si presta molto bene alle continue trasformazioni dettate dalla drammaturgia nonostante resti ferma, a volte sembra un campo da basket, a volte appare come uno spogliatoio, a volte ancora la casa di Giuseppe e della Moglie, altre il palco da cui dovrà declamare il discorso per la celebrazione della Costituzione.

Tutto lo spettacolo è una partita di basket, con continui passaggi di palla tra gli attori, il ritmo è incalzante e vengono lanciate raffiche continue di spunti su tematiche civili quali il bene comune contrapposto a quello individuale, la giustizia contrapposta alla convenienza, la legge alla libertà, il potere all’anarchia, l’idealismo all’utilitarismo.

Il drammaturgo Emanuele Aldrovandi, ci fa notare che l’arbitro è condizione necessaria e sufficiente affinché si possa giocare la partita, che le regole vanno accettate, comprese, rispettate, che ci rendono una società civile, ma allo spettatore, come a Giuseppe, viene da chiedersi, fino a che punto si debba seguire le regole? Fino a quando saranno considerate giuste e non diventeranno utilitaristiche, le rivoluzioni e la Resistenza stessa che segna le fondamenta della nostra libertà che fine devono fare in questo aggrovigliato pensiero?

In una società post-ideologica, nella quale impera una spaventosa crisi di valori, lo spettacolo ci  chiede se con queste condizioni sia possibile un pensiero ideologico. Con un ritmo  e una costruzione da thriller lo spettacolo ci spinge ad interrogarci sul nostro tempo, sulla possibilità/necessità di migliorarlo per creare un futuro migliore, gettando delle nuove basi per delle regole che siano in grado di dare una visione condivisa del futuro.

MaMiMò ha cercato di dare una connotazione giovane ad un elemento, la Costituzione, che ormai risulta vecchio e antiquato, spingendo a guardare il futuro con gli occhi del passato.

Lei mi odia perché è un fallito, perché odia la società in cui vive, questo dice l’arbitro verso la fine dello spettacolo e forse il problema sta nel chiedersi se sia più giusto seguire la morale o la convenienza.

José Luis Coll diceva Un paese avrà raggiunto il suo massimo grado di civiltà quando le partite si terranno senza arbitri.

Il ritmo e il linguaggio che usa la regia di Marco Macceri e Angela Ruozzi sono giovani, lo spettacolo risulta piacevolmente musicale, gli attori sono completi nei loro ruoli, i caratteri dei personaggi un po’ enfatizzati per migliorare la recezione delle tematiche, la scena essenziale ma funzionale, tutto questo rende lo spettacolo facilmente fruibile anche dai più giovani, che si sentono sempre più lontani da quei valori che hanno fondato la nostra autodeterminazione come individuo sociale.

 

Fotografia di copertina © Nicolò Degli Incerti Tocci