Attacchi di sobrietà del capitalista mr. Puntila

In Teatro

Il famoso testo di Brecht sull’impossibile uguaglianza e sulla doppia personalità nella bella versione dell’Elfo con Ferdinando Bruni, anche regista insieme a Francesco Frongia

Che cos’è un essere umano? Ne esiste un tipo solo? Voglio dire, gli esseri umani sono tutti uguali o alcuni sono più uguali di altri? Non è così scontato, specie di questi tempi. Oggi lo slogan orwelliano non ha più tanto successo, perché anche i potenti hanno capito che è molto più conveniente dire a chi obbedisce che siamo tutti uguali, che anche loro vorrebbero essere degli uomini comuni, e che il potere appartiene al popolo. Così quelli obbediscono più volentieri.

Allora anche la saggezza popolare dovrà rinnovarsi, e al buon vecchio consiglio che le mamme danno ai figlioli, “Non accettare niente dagli sconosciuti”, sarà opportuno aggiungere una variante: “Non accettare niente dai padroni”. Perché nessun mito è pericoloso come quello del “buon padrone”, l’imprenditore illuminato, quello che i lavoratori li tratta bene, dicendo: “Io amo i miei operai”. Sarebbe una bella frase, se non fosse per il possessivo.

Il problema coi ricchi, ci dice Bertolt Brecht, è che a prima vista non è facile distinguerli dagli altri. Non sono come i serpenti, che hanno le squame. Così, quando ti trovi davanti un signor Pùntila che ti invita a casa sua, si fidanza con te, ti dà un lavoro, ti promette in sposa sua figlia, lì per lì ci si potrebbe anche cascare. Perciò vale la pena di raccontare storie come questa.

Mr Pùntila e il suo servo Matti, diretto da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, con protagonista lo stesso Bruni insieme a Luciano Scarpa, Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Corinna Agustoni, Luca Toracca, Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi e Carolina Cametti, trasferisce l’azione dalla Finlandia dell’originale a Puntiland, dove impera un curioso tipo di capitalista, con tanto di cilindro, che da ubriaco è un buon amico di tutti i suoi lavoratori, ma purtroppo soffre di certi terribili attacchi di sobrietà durante i quali diventa addirittura un uomo responsabile delle sue azioni. E, si sa, “Un uomo responsabile delle sue azioni ha a cuore una sola cosa, il suo interesse”. Tocca dunque a Matti, il suo autista, essere responsabile anche per lui, sopportarne tutti i capricci e i soprusi, sottolineando ironicamente l’assurda contraddizione in cui i ricchi cadono quando si mettono in testa di essere “come tutti gli altri”.

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La tanto sbandierata “umanità” di Pùntila ubriaco, infatti, non è troppo diversa da quella di Maria Antonietta che giocava a fare la pastorella nei giardini di Versailles. Il protagonista della “commedia popolare” brechtiana non è altro che un turista della povertà e del precariato, che domanda alle donne del popolo “Com’è la tua vita?”, e va al mercato delle braccia a fare shopping di lavoratori, salvo poi licenziarli e riassumerli secondo l’umore, dando loro dei materialisti se si mettono a chiedere ciò che è giusto.

La verità è che per poter stare in bilico sull’ossimoro del “padrone democratico”, per permettersi di giocare al “buon ricco”, bisogna essere ricco. E non serve aggiungere altro.

La versione di Ferdinando Bruni si mantiene in equilibrio tra opportune concessioni alla modernità e aderenza all’originale, scegliendo comunque di operare alcuni tagli, e realizzando uno spettacolo che nella grande attenzione al ritmo e con un ampio e ottimo uso delle musiche di scena e delle canzoni, rimane decisamente fedele a Brecht, alla sua volontà di denuncia, al suo tentativo esplicito di far prendere coscienza agli spettatori sui mostruosi personaggi cui sono costretti a svendere la propria vita. Ricordando che ciò che ci sembra immutabile non lo è, e che di Pùntila anche oggi non c’è carenza, al contrario. Sono quelli che se chiedi mille euro al mese te ne promettono duemila, dandoti anche una pacca sulla spalla, ma poi quando vorresti firmare il contratto ti rispondono, con un sorriso: “Quanta fretta! Cos’è, non ti fidi?”.

Il fatto è che padroni (o “datori di lavoro”) e dipendenti parlano irrimediabilmente due lingue diverse, e sono i secondi che devono prendersi la briga di tradurre, di accettare, di accontentarsi dell’odore del maialino arrosto, senza troppe proteste. E sempre allegri bisogna stare, ché il nostro piangere fa male al re.

Immagine di copertina: Luciano Scarpa e Ferdinando Bruni © Laila Pozzo

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