Le voci notturne di Sciarrino secondo Marco Angius

In Musica

Si conclude in bellezza all’Auditorium il festival Milano Musica, dove l’1 dicembre Marco Angius, esperto di contemporanea, dirigerà in prima esecuzione italiana il Libro notturno delle voci del compositore siciliano

Dopo l’inaugurazione del Festival Milano Musica con gli Studi per l’intonazione del mare, il direttore d’orchestra Marco Angius torna per dirigere il concerto di chiusura del festival: l’appuntamento è in Auditorium venerdì 1 e 3 dicembre con il flautista Mario Caroli e laVerdi per la prima esecuzione italiana del Libro notturno delle voci di Salvatore Sciarrino.
Con Angius abbiamo parlato di musica antica e contemporanea, di divulgazione musicale,  di Salvatore Sciarrino e di nuove affascinanti avventure!

Che cosa è per te la musica contemporanea e quale sfida rappresenta?
La contemporanea oggi è considerata come un genere a sé. Nasce dall’avanguardia degli anni Cinquanta, dallo sperimentalismo, da una certa temperie culturale, per affermare che la musica non è un bene di consumo ma piuttosto di crescita dell’individuo. Oggi è difficile collocarla perché c’è una componente archeologica: passata la stagione dell’avanguardia ci troviamo i ruderi della modernità, ovvero reperti molto importanti che però dobbiamo conservare e far conoscere al pubblico. Per me la musica contemporanea non è solo la musica del presente, ma è un presente del passato, un presente in divenire.

Hai scritto un libro dal titolo affascinante: Suono estremo. Una collezione di musica e antimusica. Che cosa intendi con musica e antimusica?
Questo è il mio secondo libro in realtà. Il primo si intitola Come avvicinare il silenzio ed era dedicato a Salvatore Sciarrino, in occasione dei suoi sessant’anni. Adesso celebriamo i suoi settanta… In Suono estremo, l’antimusica è il silenzio che vive di suoni, cioè una percezione del suono non tradizionale e non scontata. Noi siamo immersi in un paesaggio sonoro quotidianamente, anzi siamo proprio aggrediti dalla musica. Trovo che nella musica contemporanea, invece, ci sia una ricerca sui valori più nascosti del suono e questo implica che anche l’ascoltatore sia protagonista, e non solo spettatore. Questo per esempio avviene nella musica di Sciarrino ed è uno degli argomenti di questo libro.

Si realizza un nuovo rapporto con lo spettatore?
La differenza con la musica di repertorio è questa: lo spettatore non assiste a un evento ma ci si trova dentro. Questa nuova dimensione ha dato vita a una serie di composizioni che hanno rinnovato il panorama musicale. Sciarrino, che sembra il più eretico tra i compositori, mostra un legame profondo con la musica del passato. Il passato è irraggiungibile e noi possiamo solo reinventarcelo oppure costringerlo in un museo, ed avere quindi il reperto da esporre. Quest’ultimo concetto è l’idea da cui parte la filologia musicale, ovvero ricostruire il modo in cui veniva eseguita la musica nel passato.

Hai inaugurato MilanoMusica con gli Studi per l’intonazione del mare e chiuderai il festival con il concerto dell’1 dicembre in Auditorium. Com’è nata la collaborazione con Sciarrino?
È nata quasi trent’anni fa, nel 1989. Inizialmente ero allievo ai suoi corsi a Città di Castello; in seguito, sono diventato interprete della sua musica. Ho fatto anche la tesi di laurea sulla sua opera pianistica. Questo rapporto è continuato nel tempo, anche in ambito discografico. Infatti all’Auditorium presenteremo i due nuovi dischi che ho registrato con l’Orchestra di Padova e del Veneto per Decca: Altri volti e nuovi, volume 1 e 2. Con quest’orchestra – che io dirigo da un paio di anni – Sciarrino intrattiene un rapporto privilegiato: con la compagine ha inaugurato una fortunata serie di Lezioni di Suono per Rai5.

Sciarrino è uno dei compositori più importanti a livello internazionale.
Le sue modalità espressive trovano una risposta in più continenti. Questo è impressionante, se pensiamo alla raffinatezza e alla particolarità del suo linguaggio.

E se pensiamo anche alla poetica che si cela dietro la sua musica.
La sua musica non è strettamente ascrivibile all’avanguardia. Sciarrino ha inventato il suo mondo sonoro, ma trovando degli specchi (inteso come echi e rimandi ndr) nella musica del Novecento, e poi andando a ritroso, fino al tardo Rinascimento – Gesualdo da Venosa e Stradella, per fare due esempi. E questo fa pensare: perché l’artista che ha il linguaggio più estremo, che possiede un linguaggio che sembra non avere antecedenti, invece è legato, quasi in maniera ossessiva, al passato? Ne sono un esempio i dischi in uscita: sono tutte sue rielaborazioni di musiche preesistenti. Ed ecco svelato anche il motivo del titolo Altri volti e nuovi: un pezzo del passato che viene riorchestrato e riletto è un pezzo di musica antica o contemporanea?

È una bella domanda…
Su questo terreno ambiguo si gioca molta dell’arte attuale.

È interessante la risposta che ci fornisce Sciarrino nell’elaborare l’antico che si riaffaccia al nostro tempo…
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sembra esserci stata una frattura sul concetto di bellezza, per la quale sembra necessario il compromesso. Come ci si comporta quindi? Si recuperano dei cliché del passato? Questa è la scommessa dell’arte contemporanea: sopravvivere in un mondo di macerie in cui il passato viene trasfigurato, rivissuto e riscoperto.

Tra le musiche rielaborate in Altri volti e nuovi fanno capolino anche alcune canzoni popular. Viene riletto non solo l’antico, ma anche il passato più vicino a noi.
Negli anni Settanta, quando tutti scrivevano contro la musica antica, Sciarrino dava dei titoli provocatori ai suoi pezzi, come Sonata, Rondò. Le canzoni che lui rielabora sono americane e rappresentano il punto di partenza per la creazione di anamorfosi sonore, guardando un oggetto se ne intravedono altri: ascoltando Cole Porter, ti accorgi che la riorchestrazione rimanda a Ravel o ad altri autori. La caratteristica di Sciarrino non è tanto l’ambiguità, ma l’ibrido, cioè qualcosa che si trasforma senza che te ne accorgi.

Nel concerto di chiusura di Milano Musica verrà eseguito il Libro notturno delle voci.
Il Libro notturno delle voci è un pezzo per flauto e orchestra che viene eseguito per la prima volta in Italia, composto di tre parti, e dedicato al flautista Mario Caroli. Già nel titolo sono presenti tre elementi: libro, notturno, voci. Il libro è una sorta di diario: Sciarrino ha l’abitudine di tenere dei quaderni, talvolta veri e propri serbatoi di magazzini di idee, o appunti che lui registra durante i viaggi in treno o nella sua quotidianità. In qualche modo, i suoi pezzi sono una registrazione sensoriale di quello che lui ascolta. Notturno perché l’ambito della notte contraddistingue la sua musica. Ci sono molti notturni nella sua musica perché è durante la notte che avvengono gli incantesimi, le visioni e le allucinazioni. L’ambiente notturno “aiuta” l’aspetto visionario e animista della sua musica, di fatto sembrano gli strumenti a parlare e ad animarsi e quindi riacquistano senso alcuni elementi, come il soffio e il fruscio.

E le voci?
Questo pezzo ha solo strumenti, ma sembra che questi tentino di parlare. All’inizio, per esempio ci sono due violoncelli che emettono suoni simili alle sillabe del parlato: gli strumenti non possono parlare, però hanno la loro voce che si approssima a quella umana. Questa è un’idea che Sciarrino ha mutuato dall’ultimo Beethoven: nel finale della Nona sinfonia c’è il famoso recitativo dei violoncelli, inizialmente nella partitura erano segnate alcune parole. Nella nostra epoca, dove l’aspetto lirico e quello del canto sono intesi come appartenenti a un passato ormai irraggiungibile, questi due elementi sono trasferiti sugli strumenti, che tentano di cantare.

Si delinea continuità tra l’esperienza della sinfonia ottocentesca e la musica contemporanea.
In qualche modo sì. C’è una grande orchestra e un’orchestrazione che sembra simile alla musica elettronica, ma che in realtà non lo è. Sciarrino utilizza il modo di pensare elettroacustico, ma continua a usare strumenti tradizionali.

 

Tornando alle ultime tue esperienze, recentemente hai diretto un progetto particolare al Teatro Comunale di Bologna, con le due Medee di Benda e Dusapin. Come è stato affrontare queste due composizioni, così diverse, che però hanno al centro un grande personaggio antico?
Questa è una bella domanda per cui ti ringrazio. L’accostamento ha suscitato curiosità, perché abbiamo da una parte Medea, un melologo del tardo Settecento del praghese František Benda, e  Medeamaterial dell’autore contemporaneo Pascal Dusapin, una composizione della fine degli anni Novanta, che utilizza un organico barocco, come se fosse una cantata del Sei-Settecento. Tutto è invertito e quest’aspetto mostra come la differenza tra passato e presente, in funzione del mito di Medea, sia soltanto un’invenzione storicistica. Ho letto in una recensione che si auspicava l’esecuzione del pezzo di Dusapin con gli strumenti antichi di Benda, evidentemente il critico non si era accorto di questo rovesciamento. Noi guardiamo Benda come se fosse musica del presente e attraverso Dusapin, invece, il mito del passato. In  nessuno dei due casi viene utilizzato il testo di Euripide perché Medeamaterial di Dusapin aveva il bellissimo testo di Heiner Müller, mentre Medea di Benda era una traduzione in tedesco. È un gioco di specchi continuo in cui si rimanda a un passato che non esiste.

Al tempo di Benda non c’era coscienza di quale fosse la fonte originale.
Non credo ci fosse il minimo interesse. Per esempio, nella moda del Neoclassicismo del recupero di miti del passato, Benda ha scritto un altro melologo, Arianna, con testi completamente inventati. Al massimo c’era un librettista che poteva sottoporre al compositore un testo.

Proprio con Salvatore Sciarrino ho parlato del ruolo della filologia, che dovrebbe restituire la musica antica…
Sciarrino si è documentato per scrivere l’opera su Stradella e forse ne sa più dei musicologi. Il problema non è la musicologia o la composizione, ma il mancato dialogo tra le due discipline. Il musicologo che fa un’operazione di “restauro conservativo” parla al mondo dei musicologi piuttosto che dei musicisti, e questo non parlarsi comporta che io come interprete attingo alle fonti originali e mi servo di un’edizione critica, ma scelgo poi una direzione, che non è obbligata. Se l’opera restaurata fosse autentica allora esisterebbe un solo modo di eseguire la musica, invece noi abbiamo infinite esecuzioni delle sinfonie di Beethoven e di Brahms.

Quali saranno i tuoi impegni futuri?
Saranno soprattutto in ambito sinfonico. Tornerò a Milano per dirigere l’Ensemble Bernasconi dell’Accademia della Scala, che seguo da diversi anni, poi dirigerò l’Orchestra Toscanini di Parma, I Filarmonici di Torino. E ovviamente continua il lavoro con l’Orchestra di Padova e del Veneto, di cui è stata appena inaugurata la stagione. Quest’anno il compositore in residenza è Giorgio Battistelli, di cui presenteremo tre opere: Teorema da Pier Paolo Pasolini, I Cenci da Antonin Artaud e The Embalmer da Renzo Rosso; questi tre lavori formeranno la nuova serie delle Lezioni di Suono che riprenderanno in primavera.

È molto interessante l’idea delle lezioni sulla musica contemporanea.
Questa è una formula che ho inventato e creato io a Padova – e che andrà in onda anche su Rai5 – prima con Sciarrino, l’anno scorso con Ivan Fedele e quest’anno con Battistelli. Anziché mescolare musica antica e contemporanea, ho preferito invitare un solo compositore di fama internazionale e non solo commissionargli un pezzo nuovo, ma mostrare al pubblico qual è la sua idea di fare musica, sempre in un rapporto di dialogo tra presente e passato. Il compositore diventa un traghettatore che mostra al pubblico sia la componente didattica, formativa, della musica contemporanea, sia quella inventiva: se questa musica viene vista come un genere diventa meno avvicinabile, invece in questo caso, un pubblico misto di studenti, appassionati e abbonati alla Stagione, è chiamato a essere protagonista.

Festival Milano Musica Salvatore Sciarrino Libro notturno delle voci Auditorium LaVerdi (1,3 dicembre)

Immagine di copertina di © Silvia Lelli

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