Il solito ignoto, il genio. 100 anni di Monicelli

In Cinema

Dieci film minori (?), da “Totò e Carolina” a “Panni sporchi”, per capire la straordinaria varietà di un regista sempre a cavallo tra estro e materialità

Probabilmente Mario Monicelli non sarebbe mai stato d’accordo con questa classifica, soggettiva e frutto di una curiosità morbosa, tipica dell’innamorato cronico. Ma, a 100 anni dalla nascita, e con tutti gli articoli che ne celebreranno le opere più famose (e di conseguenza, per lui, più riuscite), è necessario scoprire anche quella parte della sua filmografia capace, nella sterminata varietà, di nascondere delle assolute chicche. Esempi di un cinema scomparso, sempre a cavallo tra estro e materialità, comunque testimoni della grandezza del maestro.

1. Le infedeli (1953)

Il film che sancì l’irrimediabile rottura tra Monicelli e Steno (fin qui sempre co-accreditati alla regia) è un torbido dramma ambientato nei saloni della borghesia più rispettabile. Bugie, estorsioni e tradimenti si susseguono vorticosamente, rendendo unica questa pellicola dalla sceneggiatura solida e asciutta. Il lato oscuro delle famiglie italiane negli anni ’50.

2. Totò e Carolina (1955)

Prostituzione, gravidanze extraconiugali e tentativi di suicidio: tutti argomenti toccati da una delle più coraggiose commedie all’italiana, che fu massacrata dalla censura e divenne famosa come “il film dagli 82 tagli”. Totò pensava fosse uno dei suoi film migliori, precursore di un genere, ma meno smaliziato e troppo dipendente dal lieto fine. Comunque spassoso. L’aiuto regista fu, nientepopodimeno che, Gillo Pontecorvo.

3. Il medico e lo stregone (1957)

Da una sceneggiatura collettiva di Monicelli, De Concini, Emmanuele, Age e Scarpelli, nasce un divertentissimo ritratto della provincia italiana, recitato da due istrioni unici: così sono tutti da ricordare gli scambi tra il medico condotto Marcello Mastroianni e il guaritore Vittorio De Sica, perfetti nell’incarnare la spaccatura tra un paese che avanza e uno che non vuol abbandonare il palcoscenico. Grottesco persino il cammeo di Alberto Sordi.

4. I compagni (1963)

Ingiustamente giudicato non all’altezza di altri capolavori come I soliti ignoti, La grande guerra e L’armata Brancaleone, questo è forse il film più “monicelliano” che esista. Un’opera ideologicamente schierata, da vedere e rivedere nella nostra insipida epoca del politicamente corretto. Monicelli risale al vero socialismo delle fabbriche e lancia un messaggio forte alla sinistra italiana, più attenta ai patti con la DC che agli interessi dei lavoratori. Funziona tutto, dalle musiche di Carlo Rustichelli (con canti popolari originali), alle interpretazioni incredibilmente intense di Mastroianni e Folco Lulli. È impossibile non emozionarsi, soprattutto nel finale.

5. Casanova ’70 (1965)

Marcello Mastroianni, maschio alfa del cinema italiano in ascesa internazionale, viene destrutturato e distrutto da Mario Monicelli. Una commedia divertente soprattutto per la capacità dell’attore di ridersi addosso, alle prese con uno psicanalista (Enrico Maria Salerno) che cerca di capirne i punti deboli. Circondato da bellissime donne, il protagonista le possiede nelle situazioni più particolari. Seppur caratterizzato da una sociologia un po’ spicciola, il film ottenne una nomination all’Oscar come miglior film straniero.

6. Capriccio all’italiana (1968)

Tutta l’acutezza di Monicelli emerge in questo film a episodi, ricordato soprattutto per l’ultima (grandissima) apparizione di Totò sul grande schermo, diretto da Pier Paolo Pasolini. L’unico altro stralcio che gli tiene testa è proprio quello del regista di Viareggio, in cui la bambinaia interpretata da Silvana Mangano vieta Diabolik, per poi spaventare con Perrault. Un piccolo manifesto contro gli ottusi e ciechi metodi d’insegnamento contemporanei.

7. Caro Michele (1976)

Mario Monicelli affronta i rigurgiti sessantottini con un curioso, film tratto dal romanzo di Natalia Ginzburg, il cui protagonista non appare mai. Lo spettatore lo conoscerà solo tramite i destinatari delle sue lettere, parenti o amici che siano. La luce in fondo a un racconto ingenuo è la prova di Mariangela Melato, che come al solito si sgola, combatte e non può che far innamorare (compresa la giuria di Berlino, che assegnò alla pellicola un meritato Orso d’argento).

8. Signore e signori, buonanotte (1976)

Un ipotetico palinsesto di Raitre (quando ancora Raitre non esisteva), è il pretesto per analizzare una nazione in mutamento, ma comunque incollata agli schermi casalinghi. Il tubo catodico permette a Monicelli di fotografare cinicamente una deriva che appare inarrestabile: Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Villaggio e Manfredi sono i nuovi mostri della televisione che augurano buonanotte agli italiani. Straniante.

9. Speriamo che sia femmina (1986)

Da sempre accusato di maschilismo, Monicelli dirige una pellicola (quasi) testamento in cui si augura un futuro in tutto e per tutto rosa. Deluso dagli uomini, il regista afferma qui per la prima volta che le donne sono in grado di combattere assieme per un avvenire migliore e più equilibrato. Nonostante qualche eccesso retorico di troppo, è una commedia piacevole, costellata da interpreti incredibili di ogni nazionalità (Sandrelli, Deneuve e Ullmann su tutte).

10. Panni sporchi (1999)

Nonostante gli 84 anni suonati, Monicelli dimostra di non aver dimenticato come si colpisce al cuore un paese: il richiamo alle grandi famiglie accentratrici non è casuale, anche se forse un po’ confuso a causa dei troppi interpreti. Pietra tombale sulla borghesia, implosa, il progetto è stato fin troppo sottovalutato, nonostante i suoi diversi meriti. Il finale è da ricordare.

Foto: Giandomenico Ricci

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