Måneskin, è vera gloria?

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Il successo della band ha riportato il rock italiano sotto i riflettori. La scommessa adesso si sposta sui palcoscenici live dei grandi festival europei, sarà lì che il pubblico valuterà e giudicherà il gruppo romano e lo stato di salute della nostra musica

Adesso che su di loro la febbre mediatica è calata proviamo ad analizzarne con un po’ di distacco il successo. Parliamo dei Måneskin, vincitori di Sanremo e, soprattutto, di quella baracconata trash dell’Eurofestival, ottimo per serate a ridere, ma lontano anni luce dalla musica vera.

La vittoria dei ragazzi di Roma ha portato improvvisamente i media ad occuparsi della scena rock italiana, per scoprire che il rock non è morto, ma che anzi è pieno di gente che lo ama, lo suona, lo compra e prova pure a sposarne gli eccessi, nei limiti consentiti dalla legge. 

Come spesso capita, il mondo della comunicazione azzanna, mastica e butta tutto senza lasciare nulla, e senza provare ad approfondire i fenomeni. Intanto, la scena musicale in Italia non ha mai cessato di esistere: è una vita che i concerti metal e affini ( ma anche rock in senso stretto) sono sempre sold out con mesi di anticipo, e il 2022 lo dimostrerà, con il ritorno delle superband internazionali, gruppi italiani compresi. Peccato che non ci sia più un buco per esibirsi, e questo era vero anche prima della pandemia: dopo che per suonare due ore live ti pagano a malapena la birra che bevi ti passa l’entusiasmo, anche se credi di essere la reincarnazione di Jimi Hendrix.

 Per chiudere il discorso “rock in Italia” basta un altro piccolo dato: il nostro paese ospita ben due radio nazionali tematiche completamente dedicate al rock, e sono le uniche che negli ultimi anni sono sempre cresciute. Virgin radio c’è da oltre dieci anni e gode di buona salute, Radio Freccia c’è da cinque anni e viaggia molto veloce (lo dico a ragion veduta perché ne faccio parte).

Ma torniamo ai Måneskin, che a mio parere sono una band rock di buon livello con ampi margini di crescita artistica. Suonano insieme da anni e sono moderni, capaci di cogliere le occasioni che offre il mercato per ricevere popolarità, attenzione, successo. Onestamente fanno ridere le polemiche sul fatto che non sarebbero “veri” o che non hanno il suono del rock più potente. Sentite l’ultimo album per intero e troverete tanta roba buona, a cominciare dal singolo I wanna be your slave. Oppure che non farebbero nulla di nuovo. L’ultima vera rivoluzione musicale è datata 1976 con il punk. Da allora il rock si nutre di contaminazioni, citazioni, mash up e rielaborazioni, quello che conta è L’ENERGIA, e i Måneskin ne hanno tanta e decisamente contagiosa.

E poi sono giovani, finalmente! Il più “vecchio” è Damiano, il cantante, che di anni ne ha 22. Ma voi vi ricordate come eravate a 22 anni? Io sì, e ascoltando i loro testi e i loro suoni credo siano semplicemente bravissimi, e che meritino tutto il successo che hanno e che spero avranno, soprattutto in Europa e nel mondo.

La scommessa adesso si sposta sui palcoscenici live dei grandi festival europei. Sarà lì che il pubblico del rock li valuterà e li giudicherà. E personalmente farò il tifo perché una band italiana che suona rock come si deve faccia (era ora) parte dei cast dei festival come il  Rock Am Ring e il Rock Im Park in Germania assieme a Green Day, Muse, Weezer e tanti altri. E che possano presto farsi vedere sui palcoscenici inglesi. Sono tra i primi trenta in classifica in Inghilterra con due singoli,  altro che vincere… l’Eurofestival!

Se si vuole entrare nello specifico musicale, dove possiamo mettere i Måneskin? Come ogni buona band che si rispetti, sfuggono alle categorie strette. Sono rock, ma anche funk, con una buona dose di male di vivere nelle ballad come Coraline. Se devo citare qualche “referenza”, direi Red Hot Chili Peppers, ma anche Led Zeppelin e Paolo Nutini nelle note più blues. Ma diciamo con piacere che stanno cercando (e trovando) uno stile tutto loro, e infatti sono facilmente riconoscibili al primo ascolto. Dote fondamentale per fare strada.

I Måneskin serviranno a dare più spazio alle centinaia di rocker che vorrebbero farsi sentire live in giro per l’Italia? Temo di no. Però il successo della band di Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan mi fa anche pensare che il rock, dopo la pandemia, sia la musica che racconta meglio la sacrosanta incazzatura che abbiamo covato in questo anno e mezzo di stop. Chissà che  anche nella terra dei cachi non venga voglia di ascoltare chi ha qualcosa da dire e urlare, per una volta.

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