Ucraina dal polso di ferro

In Arte

Qual è il periodo più felice dell’opera di Louise Nevelson, tra le icone del movimento artistico femminile del Novecento? Una risposta non da manuale.

Piacerebbe, per affrontare meglio la vita, potersi armare anche solo della metà della sicumera ostentata da Louise Nevelson (Kiev, 1899 – New York, 1988), nata ucraina ma americana d’adozione, che a soli 9 anni poteva rispondere, a chi le avesse chiesto cosa voleva fare da grande: «sarò un’artista», anzi, «voglio fare lo scultore, non voglio che il colore mi aiuti». Louise, consapevole di «essere una persona creativa dal primo minuto che aprii gli occhi», dopo aver studiato tra New York e Monaco, innamorata (da buona giovane post-cubista) dell’arte primitiva, ha lavorato a lungo, fino a ottenere i suoi grandi successi tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Ma è solo dopo che viene la messa a fuoco di un linguaggio personale che introduce un ventennio di creazioni – forse – più felici, oggi visibili tra le secche sale della Galleria Cardi.

Louise Nevelson, Untitled, 1960. Courtesy of the Gallery.
Louise Nevelson, Untitled, 1960. Courtesy of the Gallery.

Così, i materiali umili che dalla metà degli anni Sessanta sondano i recessi dell’arte povera emergente, stanno lì a dimostrare che un legno marcito, consumato, disseccato, una lamiera arrugginita, una lattina schiacciata, possono trattenere un palpito di vitalità, tra i segni stessi del loro vissuto; e che quel vissuto, racchiuso da una cornice di forme geometriche, entra nel tempo assoluto che è il tempo dell’arte.

 Louise Nevelson, Ancient Secrets II, 1964. Courtesy of the Gallery.
Louise Nevelson, Ancient Secrets II, 1964. Courtesy of the Gallery.

Ma se c’è un quid in più nelle opere della Nevelson, è in quella specie di tappeto musicale che resta sotteso alle sue composizioni. Forse nel ricordo della passione giovanile per la danza e la musica, l’artista riesce ad orchestrare sinfonie latenti che attraversano questi assemblaggi di assi e pallets, gambe di tavoli e sedie, sia nelle opere che più banalmente riecheggiano la forma di uno strumento musicale, sia in alcuni grandi marchingegni, in cui lungo ogni castone di legno si sente scivolare un qualche suono, note dolci o stridenti tra linee sinuose che si rincorrono o si spezzano: delle specie di organi, pronti a suonare una scala intera, dal do della forza al si della grazia. I due poli del carattere di questa ucraina dal polso di ferro.

Louise Nevelson 55-70, Cardi Gallery, fino al 20 dicembre 2014.

Foto: Louise Nevelson, Untitled, 1964. Courtesy of the Gallery.

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