L’adorabile clochard e il piccolo Suli, un incontro magico sulle rive della Senna

In Cinema

In “Sotto le stelle di Parigi” del franco-tedesco Claus Drexler la brava Catherine Frot è una senzatetto che accoglie un ragazzino africano (Mahamadou Yaffa) rimasto solo perché la madre, fermata come clandestina, sta per essere espulsa. I due impareranno a volersi bene e ritroveranno in extremis “maman”. Un film civile, che guarda agli ultimi con riguardo, non nascondendo la loro difficile vita

A conti fatti è la presenza dell’ottima protagonista Catherine Frot (40 anni di cinema da Mon oncle d’Amerique di Alain Resnais, 1980, ai due Cesar per Aria di famiglia e Marguerite) la principale atout di Sotto le stelle di Parigi, film di indiscutibile impegno umano e civile e di condivisibili valori, supportato da una tessitura cinematografica accettabile. Lei è la più classica delle clochard parigine, figura clamorosamente presente nel cinema francese e interpretata in oltre un secolo di storia dell’immagine in movimento, in contesti e atmosfere assai diversi, dagli attori più conosciuti, da Michel Simon a Yves Montand, da Jean Gabin a Juliette Binoche, alle sei bravissime protagoniste di Le invisibili. Intenerita dal suo aspetto sofferente e solitario, “ospita” nella sua casa provvisoria, un deposito della nettezza urbana della città sotto i ponti lungo la Senna, un piccolo profugo africano, la cui madre è stata fermata perché priva di documenti validi e dunque è in procinto si essere rimandata nel paese dove si era registrata dopo la fuga via mare, l’assai poco accogliente (per gli emigrati clandestini) Austria.

Il piccolo simpatico Suli (Mahamadou Yaffa) è anche allegro a tratti, nonostante la sua situazione, e riconsegna a Christine (che il ragazzino chiama Ioli perché lei all’inizio sempre gli dice, “io lì, tu lì”, indicando direzioni opposte per liberarsene) un buonumore perso da decenni da quella che si rivelerà poi una brillante ricercatrice universitaria finita a vivere e dormire per strada, non si sa se per scelta o destino. Cacciata dalla magione perché lì viene scoperto il suo piccolo e illegale ospite, che non capisce e ancora meno parla francese, la claudicante , ma sempre meno disperata Ioli, finalmente ha una missione nel garantire al suo piccolo amico una vita quotidiana decente e nell’aiutarlo a rivedere la madre, impresa che all’inizio sembra in effetti quasi impossibile.

I due finiscono così per girare nell’immensa città senza una fissa dimora, imbattendosi in casuali ospiti, più o meno affettuosi, e conoscendosi sempre meglio. Ma soprattutto dando modo al regista franco-tedesco Claus Drexler (Au bord du monde, il suo documentario sui senzatetto a Parigi, è stato proiettato a Cannes nel 2013 e “nominato” per il premio Louis-Delluc al miglior film francese dell’anno) di mostrare, e questo è forse uno degli spunti più interessanti del film, il mondo davvero assai vasto degli emigrati che vivono come loro nelle vie e nelle piazze di Parigi. In piccole o grande tendopoli popolate di solidarietà e topi, o in sistemazioni isolate, avvolti in lacere coperte o in quella carta dorata che ci siamo abituati a vedere addosso ai naufraghi delle imbarcazioni che approdano sulle coste dell’Italia, e che riesce a mantenere quel poco del loro calore fisico.

Il film, consigliato da molti a un pubblico di ragazzi (ma in fondo non è solo per loro)  ha avuto nella sua uscita italiana il patrocinio di nobili organizzazioni umanitarie come la Comunità di Sant’Egidio, l’Opera San Francesco per i Poveri e l’Associazione City Angels, e in effetti il racconto di questo percorso di conoscenza reciproco di due umanità da principio lontanissime, ma che si rivelano sempre più desiderose di procurarsi frammenti di felicità reciproca, dimostra almeno una cosa: che se spesso guardare la realtà direttamente non è facile perché l’impatto è troppo doloroso, avvicinarla invece attraverso l’obiettivo di una cinepresa può essere un accettabile compromesso, che mantiene una distanza di sicurezza per corpo e anima. Ancor più utilizzando un caleidoscopio, fisico (come quello che Christine regala a Suli spendendo i pochi euro che ha) o metaforico, che si frappone tra realtà e spettatore, abbracciando l’universo degli ultimi in una dimensione che somiglia a quella della fiaba.

Sotto le stelle di Parigi di Claus Drexel, con Catherine Frot, Mahamadou Yaffa, Jean-Henri Compére, Richna Luvet, Raphael Thierry, Farida Rahouadi, Dominique Frot, Driss Dramdi, Pierre Perrat, Claus Drexel 

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