La musica che gira intorno/4

In Musica

L’eccelso Randy Newman ma anche il vellutato Raphael Gualazzi, il nuovo Leonard Cohen, Rudolph Buchbinder, un grande del pianismo classico e Clifford Brown, un grande trombettista jazz. Queste e tante altre le musiche intorno a noi questa settimana

Quarta settimana per il mio diario di ascolti. Con molti classici e altrettante novità e, stavolta, con un po’ di curiosità per le sonorità che escono dai libri.

 

Randy Newman – Putin / Rednecks/ Guilty
L’eccelso Randy Newman, da sempre nella top ten dei miei preferiti, ha pubblicato a sorpresa nei giorni scorsi, ha provveduto lui stesso a caricarla su YouTube, Putin (***), canzoncina irriverente tra il sulfureo e il goliardico, con tanto di Putin girls che fanno giochi di parole osceni fra Putin e “put in”, infilare. Vladimir che si infila i pantaloni, mette su il cappello, guida il trattore sulla Transiberiana, arma un reattore nucleare con la parte sinistra del cervello, “e quando si sfila la maglia/ fa impazzire le signore/ quando si sfila la maglia/ mi fa venir voglia di essere una signora”.
Intanto è stato ristampato Good old boys (*****), il suo capolavoro del 1974 dedicato al bigottismo razzista dei bianchi del Sud. Provate ad ascoltare la feroce Rednecks (i “colli rossi”, i bifolchi sudisti) che “siamo rednecks, siamo rednecks/ e non distinguiamo il nostro culo da un buco nel terreno/ siamo rednecks, siamo rednecks/ e mettiamo sotto i negri”, e la dolceamara Guilty (da noi l’ha fatta benissimo Mia Martini) su un dropout meridionale. Infine, è appena uscito The Randy Newman songbook vol. 3 (****), che offre alcune delle sue canzoni più celebri per voce e piano.

 

Eugenio Finardi – Se solo avessi/ Voglio/ Extraterrestre
Da un po’ di tempo si usa festeggiare le canzoni che compiono quarant’anni. Tre anni fa aveva inaugurato il rito Francesco De Gregori, reincidendo Alice assieme a Ligabue. Adesso Eugenio Finardi (****), reduce da un tour estivo per i quarant’anni di Musica ribelle, celebra l’anniversario con un cofanetto che rimette in circolo, rimasterizzati, i suoi primi cinque album (Non gettate alcun oggetto dai finestrini ***1/2, Sugo ****, Diesel ***1/2, Blitz ***, Roccando rollando **1/2). Li aveva pubblicati, fra il 1975 e il 1979, la Cramps del geniale Gianni Sassi (ricordate la rivista Alfabeta? Era un’idea sua), che aveva in catalogo gli Area e Alberto Camerini, Claudio Rocchi e gli Arti e Mestieri, gli Skiantos e Venegoni & co. Musica diretta e frontale, quella del giovane Finardi, con una carica rock insolita per i cantautori di allora (tra i musicisti che collaboravano con lui, e che forse vedremo sul palco al Dal Verme il 4 novembre per Musica ribelle – The reunion), c’erano tre quarti degli Area, Lucio Fabbri poi nella Pfm, Walter Calloni e Hugh Bullen, Camerini e, nel primo album, Battiato alle tastiere celato dallo pseudonimo Frank Jonia). E testi altrettanto diretti, spesso politicizzati, privi di fronzoli e mediazioni, come tanti fogli di diario. Scartando Musica ribelle e Radio libera (che era nata come un jingle per Radio Popolare) per eccesso di notorietà, ho scelto Se solo avessi per l’impatto dei musicisti, Voglio perché riassume in maniera esemplare il Finardi didascalico e “positivo”, ed Extraterrestre come metafora di un periodo: la crisi di molta militanza a sinistra, il cosiddetto “riflusso”, durante gli anni di piombo.

 

The Circle – Shadows
Sono cinque torinesi, 25 anni l’età media, tre frequentano medicina, uno fa il fonico radio e il quinto studia antropologia culturale. Segno particolare: per loro il passaparola fa miracoli. L’album di debutto del 2014, Life in a motion picture soundtrack, scalò a sorpresa la classifica di iTunes arrivando al secondo posto degli indie e risultando fra i cento dischi più venduti dell’anno. E adesso la canzone che apre il secondo lavoro How to control the clouds (***1/2), Shadows, ha superato le 100mila visualizzazioni su YouTube prima ancora che l’album uscisse. Merito del loro post-rock chitarristico arioso e speziato di pop, fatto di riverberi, ritmiche increspate e linee melodiche mai banali. Da ascoltare anche Shooting stars, The endless sky, Fire, Irene e Hwir.

 

Ray Charles – I got a woman/ What’d I say/ The right time
Gli otto anni trascorsi alla Atlantic, dal 1954 al 1961, sono per il giovane Ray Charles Robinson in arte Ray Charles (*****) i migliori di una lunga e fortunata carriera, quelli che lo rivelano. Quando firma il contratto con la più importante etichetta di r&b, Ray ha 24 anni e quattro singoli nel carniere: ha esordito nel 1949 imitando Nat King Cole e certo jazz-pop morbido. Alla Atlantic, The Genius forgerà la sua personalissima miscela di gospel, che trasloca dal sacro al profano, e di rhythm & blues. Sarà decisiva per il soul del decennio successivo, così come il suo stile di canto influenzerà molti rocker, da Stevie Winwood a Joe Cocker a Eric Burdon. Hallelujah! I love her so è il primo hit, che rivela già nel titolo le sue intenzioni. Arriveranno poi I got a woman, Lonely Avenue, This little girl of mine, Drown in my own tears, What’d I say che Rolling Stone americano ha inserito al decimo posto nella sua classifica delle 500 migliori rock songs di tutti i tempi. Questo cofanetto della Rhino (The Atlantic years – In mono) raccoglie in sette cd quasi tutta la sua produzione del periodo: mancano solo i due notevoli live At Newport e In person, e le due prove jazzistiche con Milt Jackson (Soul brothers e Soul meeting) in cui Ray si esibisce al sax. Charles stupisce ancora oggi per la sua poliedricità: esplosivo nel canto, personale come pianista, buon interprete di standard jazz (The Genius after hours) e intenso interprete blues (The Genius sings the blues): si ascolti, una su tutte, (Night time is) The right time, che era un vecchio blues composto nel 1937 dal pianista Roosevelt Sykes.

 

Raphael Gualazzi – Buena fortuna/ Splende il mattino
Figlio d’arte l’urbinate Raphael Gualazzi: suo padre Velio era nell’Anonima Sound di Ivan Graziani. Talentuoso ed eclettico, al punto che sospetti lo Zelig e non sai quale sia la sua vera faccia. Come in questo ultimo album Love life & peace (***), il suo quarto, trainato dal tormentone da ombrellone L’estate di John Wayne, divertente e simil battiatesco in tutto, anche nella voce. A seguire, nell’album c’è l’odore della bossa nova (Buena fortuna, con Malika Ayane, che sarà la sigla del Rischiatutto di Fazio), il velluto del pop-soul (All alone), la suggestione del primo Waits (Splende il mattino), il finto mambo con bozzetto broccolino (Mondello beach), il funky (Disco ball), una spruzzata di rockabilly (Lotta thing), un vero soul da anni ’70 (Right to the dawn). Troppa grazia, o quasi. Ma per fortuna piacevole.

 

Cate Le Bon – Crab day/ Wonderful
Gallese trapiantata a Los Angeles, 33 anni, quattro dischi all’attivo e alcune collaborazioni di spessore (con i Manic Street Preachers, per esempio), Cate Le Bon parla del suo ultimo lavoro Crab day (***1/2, con alcune canzoni da ****) come di “uno sbaglio fatto apposta”. Si riferisce alle melodie sghembe, alle chitarre acide, alla ritmica squadrata e ipnotica, agli inserti di xilofono e sax, a musica e versi fuori sincrono come lei, che ha scoperto di aver festeggiato per quasi trent’anni il compleanno con un giorno di ritardo. “A chaotic cubist cabaret” per dirla con Pitchfork, altri parlano di psich-pop dadaista. Affascinante e weird, il 3 novembre è al Magnolia.

 

Wiener Concert-Verein – Sinfonia KV 385 n. 35 di Mozart
Fondata nel 1987 da orchestrali della Wiener Symphoniker, l’orchestra viennese percorre il doppio binario del repertorio classico (sono acclamati esecutori di Haydn e Mozart) e di una particolare attenzione alla musica contemporanea, soprattutto austriaca (recente è la splendida incisione dei Chamber works di Schönberg, ****, con la chicca finale del Kaiser Valzer di Johann Strauss II arrangiato da Schönberg per ensemble da camera). Il 3 novembre alla Sala Verdi del Conservatorio eseguono, diretti da Ulf Schirmer, musiche di Haydn, Bach, Mozart e, sorpresa, di un nostro compositore contemporaneo, il vastese Raffaele Bellafronte.

 

Janis Joplin/Me and Bobby McGee
Ten Years After/I’d love to change the world
Nel bellissimo Un’educazione milanese di Alberto Rollo, che racconta la storia della sua famiglia operaia e la sua educazione sentimental-politica a Milano tra gli anni ’50 e oggi (lo recensisco su Cultweek lunedì prossimo), c’è anche tanta buona musica. Si parte con La canzone da due soldi ascoltata da bambino, si cresce d’età e di ascolti con As tears go by (Rolling Stones per Marianne Faithfull), Goin’ home e I’d like to change the world dei Ten Years After, “tassa il ricco e nutri il povero finché non ci saranno più ricchi” (***1/2), You’ve got a friend di Carole King, We gotta get out of this place degli Animals, My generation degli Who, le canzoni della mala e Surabaya Johnny, Quella cosa in Lombardia di Fortini e Carpi per Milly e Jannacci, Little red rooster di Howlin’ Wolf, Let’s spend the night together dei Rolling Stones (ma c’è anche la Quinta di Mahler), The promise di Bruce Springsteen. Io scelgo, oltre ai Ten Years After di Alvin Lee, Me and Bobby McGee di Kris Kristofferson cantata dalla grande Janis Joplin (nel frattempo è uscita la colonna sonora del documentario che le hanno dedicato, Janis: little girl blue *****), perché nel libro incornicia la storia di quasi amore fra Marco e Adriana.

 

Lucio Battisti – Perché no/ Eppur mi son scordato di te
Grazia Letizia Veronese, vedova e vestale di Lucio Battisti (*****), da tempo si oppone all’esecuzione pubblica delle canzoni del marito, e dal 2012 il paroliere Mogol (**1/2) è in causa con lei (in luglio ha vinto il primo round al tribunale civile di Milano, ottenendo un risarcimento di 2,6 milioni di euro) che impedisce “qualsiasi mercificazione a scopo di lucro” di Non è Francesca & c. Pura arte da sigillare in una teca o semplice merce pop? Temo che abbia ragione l’astuto Mogol, paroliere non sempre sublime, perché molti dei loro brani sono perfetti spot pubblicitari. Dalla self-evident Anima latina (“Scende rotolando dai tetti di lamiera/ indugiando sulla scritta Bevi Coca-Cola) a Perché no buona per un supermercato (“In un grande magazzino una volta al mese/ spingere un carrello pieno sotto braccio a te/ e parlar di surgelati rincarati”), da Due mondi che sarebbe perfetta per un motel nelle Langhe o nel Chianti (“Voglio te, una vita/ far l’amore nelle vigne”) a Eppur mi son scordato di te che farebbe la gioia di un coiffeur fantasioso (“Non piangere salame dai capelli verderame/ è solo un gioco non un fuoco”).

 

Leonard Cohen – Treaty/ On the level
Avevo anticipato qualche settimana fa la canzone che dà il titolo al quattordicesimo album di Leonard Cohen, You want it darker. Ora, finito l’ascolto, posso dire che l’album è superbo e toccante (****1/2), e che ci si sente un sereno fare i conti e prepararsi al congedo, un sentimento incombente della fine: i ricordi che si fanno sfocati, gli amori che arretrano, le fiamme che si spengono. E così “vorrei che ci fosse un trattato/ tra il tuo amore e il mio” (Treaty), ma anche “stanno dando al mio cuore una medaglia/ per averti lasciato andare” (On the level) e “Sto lasciando il tavolo/ sono fuori dal gioco/ non conosco le persone/ che hai messo in cornice” (Leaving the table). La piccola electro di You want it darker, la canzone, non deve trarre in inganno: scritto con Pat Leonard già produttore di Madonna, e prodotto e rifinito da Adam Cohen figlio di Leonard, il disco ha un seducente impianto acustico, ritornano i violini e persino i cori femminili che hanno aggiunto fascino alle sue canzoni. Una summa della sua arte.

 

Bon Iver – 22 (over S∞∞N)
Justin DeYarmond Edison Vernon di Eau Claire, Wisconsin, pseudonimo Bon Iver (bon hiver, buon inverno, saluto abituale nella vecchia serie tv Un medico tra gli orsi) che è poi anche il nome del collettivo che lo asseconda e lo supporta dal vivo, è un uomo in perenne crisi e un artista in crescita costante. Partito nel 2006 con il folk indie scabro che alonava il suo falsetto in For Emma, forever ago (ferite sentimentali da cicatrizzare), passato all’autotune e agli effetti di studio rubati a Kanye West con Bon Iver, Bon Iver del 2011, è approdato con questo 22, a million (***1/2) a un post-folk spettrale e soffice fatto di echi, distorsioni e riverberi, a un’elettronica friabile e vaporosa, come suoni da un acquario o da una navicella nello spazio. Dentro, desolazione, smarrimento e voglia di salvezza.

 

Devandra Banhart – Jon lends a hand / Middle names
Se i tuoi genitori hanno frequentato a lungo un guru indiano finisce che ti chiami Uma e fai la musa di Tarantino, oppure che ti chiami Devandra (secondo nome Obi perché scalciavi nella pancia della madre mentre i tuoi guardavano una scena di Star wars con Alec Guinness) e fai il cantautore freak-folk, destinato dal karma a intitolare Ape in pink marble (***), scimmia in marmo rosa, il tuo nuovo album. E a concepirlo così: “I brani dovevano essere tutti prodotti come se fosse musica che poteva essere suonata in un hotel immaginario della periferia di Tokyo mentre la luce dorata del tramonto colpisce i muri, dietro il bancone c’è una donna che nonostante gli anni ha ancora charme e in un angolo c’è un manager mezzo ubriaco col vestito stropicciato”. Il risultato, bislacco e divertente – ma i testi hanno a volte insospettate angolosità – lo ascoltate qui sotto.

 

Clifford Brown – Memorial album & altro
Qualche settimana fa ho recensito su Cultweek il bel romanzo di Giorgio Fontana Un solo paradiso, storia d’amore abbandono e distruzione ambientata nella Milano di oggi. E romanzo di molto jazz: il protagonista, Alessio, è anche un trombettista innamorato di Clifford Brown (*****). Nel suo sito, Fontana ha segnalato, tra le varie recensioni, anche una scheda con link, la trovate qui, che ricostruisce la musica del romanzo. Non solo Clifford, ma anche Freddie Hubbard, John Coltrane, Django Reinhardt, Cannoball Adderley, Cedar Walton, Herbie Nichols e molti altri. Musica splendida, da perdercisi. Per sicurezza, visto che nella scheda ci sono rimandi anche a Spotify, aggiungo il link YouTube a Memorial album.

 

Richard Galliano – New jazz musette
Con la sua fisarmonica, una Victoria del 1964 fatta a Castelfidardo, che “pesa tredici chili, mentre un violino pesa trecento grammi, in pratica io suono quarantacinque violini”, Richard Galliano di recente ha interpretato anche Mozart e si appresta ad affrontare Haydn. Ma la sua specialità è la musette (“In Francia furono i fisarmonicisti italiani a introdurre la valse musette e a mischiarla al tango, la suonava anche Django Reinhardt”) da lui modernizzata non diversamente da quanto Astor Piazzolla ha fatto con il tango. Il suo recente New jazz musette (****) ora approda in concerto al Teatro Dal Verme il 6 novembre, nell’ambito di JazzMi, festival dal 4 al 15 novembre con un cartellone ricchissimo: fra gli altri John Scofield, Gregory Porter, Ron Carter, Paolo Fresu, Enrico Rava, Dee Dee Bridgewater. Per il cartellone completo, www.jazzmi.it.

 

Jerry Lee Lewis – Whole lotta shakin goin on
Leonardo DiCaprio è, assieme a Mick Jagger e al giornalista Peter Guralnick, il produttore e l’interprete di un film dedicato a Sam Phillips, il fondatore della Sun Records di Memphis, “l’uomo che inventò il rock ‘n’ roll” scoprendo e lanciando il giovanissimo Elvis Presley. Ci si dimentica spesso che, oltre a Elvis, dalla scuderia di Phillips uscirono cavalli di razza come Jerry Lee Lewis (****), Johnny Cash (*****) e Carl Perkins (***1/2), che ascoltate qui sotto. E andrebbero aggiunti almeno Roy Orbison e Charlie Rich.

 

Boosta – 1993
“In questi anni la conoscenza si è allargata e moltiplicata, ma questo come sappiamo ha creato una serie di problemi, perché la nostra capacità di elaborare informazioni è rimasta molto limitata: il nostro cervello è sempre lo stesso… Per me “La stanza intelligente” è l’angolo più remoto della nostra coscienza, il luogo dove ci si può rivelare a noi stessi, senza paura di restare soli”. Davide “Boosta” Dileo, tastierista dei Subsonica, fa un ottimo esordio solista con un album pop grezzo e onesto, La stanza intelligente (***1/2), contemporaneo nelle sonorità ma assai distante dall’elettronica che pratica con il suo gruppo. Una nutrita pattuglia di cantanti – Malika Ayane, Enrico Ruggeri, Raf, Marco Mengoni, Nek, Cosmo, Briga, Diodato – collabora al progetto. Particolarmente bella Come la neve, con Luca Carboni: “Vivi con discrezione e stoicamente/ lascia il passo a tutti questi figli”.

 

Bertoncelli & Sibilla – Storia leggendaria della musica rock
E bisognerà aggiornarsi, prendersi anche questa nuova edizione deluxe del fortunato Storia leggendaria della musica rock (****), la terza (io ho le prime due edizioni) che stavolta Riccardo Bertoncelli, decano della critica rock in Italia, condivide con Gianni Sibilla, autore di buoni saggi (I linguaggi della musica pop, Bompiani, per citarne uno), allungando la traiettoria dalle origini al nuovo millennio. Perché segnalare il libro in un diario di ascolti? Perché c’è un’estensione audio: due gigantesche playlist per accompagnare la lettura, una con 350 album e 4500 canzoni, in pratica tutto il rock che c’è nel libro, e la seconda con le 300 canzoni più leggendarie del rock. Trovate le playlist qui, rimandano a Spotify.

 

King Crimson – 21st century schizoid man
Oltre quarant’anni di attività e forse quasi altrettanti cambiamenti di formazione, gli alfieri del progressive King Crimson (****) sono una vera leggenda del rock. Il loro leader Robert Fripp non ha mai rinunciato a sperimentare, e oggi la loro musica è più che mai free form. Negli ultimi anni, la formazione è diventata un “mostro a sette teste”, la definizione è dello stesso Fripp, con tre batteristi tre alla frontline, e dietro di loro Tony Levin al basso, Mel Collins al sax e Fripp alle chitarre con Jakko Jakszyk. Milano li ospita al Teatro degli Arcimboldi il 5 e il 6 novembre. Qui sotto, uno dei loro grandi classici degli anni ’70’ e due soundcheck recenti, per capire come suonano oggi.

 

Angel Olsen – Intern
Quella di Angel Olsen, americana di St. Louis trasferita nel North Carolina, 29 anni, ex adolescente skater che cercava di imitare Gwen Stefani, è una delle voci femminili più belle che mi sia accaduto di ascoltare nell’ultimo anno. Già corista di Bonnie Prince Billy, due album all’attivo, con questo terzo My woman (***1/2, molte canzoni da ****) ha fatto il salto entrando nei Top 50 americani. La classificano alt-folk, è puro cantautorato femminile che guarda al pop senza cedere al mainstream.

 

Rudolph Buchbinder – Impromptu op. 90-2 di Schubert
Austriaco nato in quella che un tempo si chiamava Cecoslovacchia, enfant prodige (fu ammesso a cinque anni alla Musikhochschule di Vienna), Rudolph Buchbinder è uno specialista di Beethoven (ha inciso ben due volte l’intero ciclo delle Sonate), Haydn e Brahms (i concerti per pianoforte incisi con Nikolaus Harnoncourt), ma il suo repertorio è più ampio. Persona affabile (per lui l’aspetto fondamentale del concerto è l’incontro con il pubblico, alla fine dell’esibizione), Buchbinder è uomo dai molteplici interessi: profondo conoscitore della letteratura mitteleuropea, appassionato d’arte e pittore egli stesso. Quest’anno lo potete ascoltare, su disco, alle prese con i Concerti per pianoforte K. 466 & 467 di Mozart (****) e con le Partite 825 & 826 e con la Suite inglese 808 di Bach (***).
E, dal vivo, potete immergervi nel suo pianismo nobile, fluido e perlaceo il 9 novembre al Conservatorio. La Suite inglese c’è, assieme a un Impromptu di Schubert (lo ascoltate qui sotto) e agli Studi sinfonici op. 13 di Schumann.

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