La misura del mondo di Marion Baruch

In Arte

La galleria Viasaterna di Milano ospita la prima mostra interamente dedicata al lavoro di Marion Baruch che presenta le opere tessili dell’ultimo decennio della produzione dell’ultranovantenne artista rumena di origine ungherese. Opere poetiche e intense che interrogano l’osservatore sulla sovraproduzione, sulle abitudini di consumo, sullo spreco, rivelando l’esile fascino dei residui, solitamente nascosti e quindi invisibili.

Ancora prima di entrare negli spazi di Viasaterna, guardandoli da fuori attraverso le pareti di vetro, già si vedono due dei lavori di Marion Baruch, esposti nella galleria milanese fino al 22 marzo: “De l’humain connecté”, nero, in alto in un angolo come un’enorme ragnatela; “Oranjegekte, Follia Arancione!” con i suoi divertenti riflessi glossy del poliestere. I lavori dell’artista ultranovantenne nell’ultimo decennio abbondante nascono da, o meglio: sono, scarti tessili. Rimanenze destinate alla discarica che Baruch salva e riforma: sono riciclo, sono ready-made, sono delicatezza, sono tradizione femminile, sono vuoto, sono movimento, sono gesto pittorico. Thomas Carlyle nel suo mirabile “Sartor Resartus” scrisse che “gli Abiti hanno fatto di noi Uomini; essi minacciano di fare di noi degli attaccapanni”: mi sembra che Marion Baruch, con una delicatezza nonché un’invidiabile fiducia nella Vita che a Carlyle probabilmente mancavano, cerchi di salvarci dalla minaccia. Se questa arriva dagli abiti, dobbiamo allearci con quel che di essi rimane, o che li precede, il tessuto, per vincere quantomeno la battaglia, se non la guerra. Penso all’improvviso a “Ninfa moderna. Saggio sul panneggio caduto” di Didi-Huberman, lasciando da parte Carlyle. Lo storico dell’arte francese spiega che “Attraverso le forme miserabili – ma, come possiamo osservare, ammirevoli – l’accessorio in movimento […] conosce il suo destino estremo, la sua quasi-fine” e Baruch pone l’accento su quel quasi, oltre che su ammirevoli.

Installation view Marion Baruch Solo Show at Viasaterna, photo credit Carola Merello


In una sala, la prima dopo “Oranjegekte, Follia Arancione!”, trovo appesi cinque lavori tra loro diversissimi: i rigagnoli rossi-bordeaux di “Una storia che si ripete”, del 2023, catturano subito il mio occhio: è un sangue delicato, che ti fa venir voglia di prenderti cura del ferito, di dedicargli tempo e attenzioni. Sono rigagnoli stesi ad asciugare: nonostante siano i giorni della merla, il Sole entra dalle finestre e, seccando “Una storia che si ripete”, definisce le ombre delle opere sui muri. Girandomi un po’ trovo “Natura e linguaggio. Alga”, in spugna di cotone, di un verde a metà tra il petrolio e il pino: ci sono degli esili spilli a fissare il panneggio alla parete. È un panneggio torto e ritorto, ben più di tanti altri di Baruch: in quello che dal titolo dovrebbe essere il lavoro meno umanizzato, la presenza dell’artista pare più forte che mai.

Marion Baruch, Oranjegekte, Follia Arancione!, 2023, poliestere, cm 207×131 © Marion Baruch, courtesy Viasaterna and Galerie Urs Meile

Cammino nella stanza e, con il mio spostamento, i lembi di tessuto più lunghi e sottili svolazzano, cambiando le forme delle ombre proiettate. Mi fermo un po’ davanti ad “Attraverso lo specchio” e mi turbano le tante, tantissime sfilacciature che sembrano capelli caduti in una vasca da bagno o le zampette di quegli insetti che spesso sfrecciano sui muri della mia camera da letto. Leggo che quel tessuto blu scuro è doppio, cotone e poliestere; forse le cose fanno fatica a stare insieme e, allora, si sfibrano: sarebbe più facile essere una sorta di monade di un solo tessuto. “Infinito” e “Segnali di Vita Urbana” completano la prima sala: i titoli nell’opera di Baruch sono davvero imprescindibili: spaziano tra le lingue, creano collegamenti tra gli idiomi e le immagini, le plasmano. Le coordinate infinite dell’Universo e quelle ristrette della Vita Urbana dialogano, si fondono, sono una Madre e una Figlia nella sala della galleria.

Marion Baruch, Una storia che si ripete, 2023, poliestere, cm 146×157 © Marion Baruch, courtesy Viasaterna and Galerie Urs Meile


Il nero di “Segnali di Vita Urbana” mi accompagna per il resto della mostra. “L’angolo non è una punizione” e “Senza Parole” nell’altra stanza del primo piano mettono alla prova questo colore: il gesto di Baruch, che è pittorico, sfida lo spazio e la parete. Il primo di questi lavori, composto da due lacerti analoghi, ma diversamente orientati, lotta contro i muri perpendicolari per rimanervi aggrappato: l’angolo non è una punizione, ma un’occasione per mostrare la propria delicata forza. Allo stesso modo, in “Senza Parole” le sottilissime rimanenze dello scuro tessuto fanno capolino nel vuoto: sembrano i fanoni di una balena che filtrano l’acqua salata per separarla dal cibo. Quelle strisce di poliestere e viscosa filtrano la parete: la vedo, eppure so che non è di quella che ho davvero bisogno. All’evanescente forza di questi lavori si contrappone l’enfatica “Cleopatra” d’oro del piano terra: è un’enfasi decadente, è davvero il panneggio caduto della Ninfa moderna di Didi-Huberman. Il panneggio vuole vivere in sé, senza un corpo che lo formi: i grossi buchi nel tessuto teatralmente dorato sembrano ali che, però, non capisco se riescano a volare. Penso a questo, alle ali tarpate; poi, mi giro e trovo davvero un “Bird”, in jersey di cotone: il suo colore nero si riallaccia ai lavori visti prima e in questo uccellino appena abbozzato trovo una sincerità che “Cleopatra” non può, e forse non vuole, avere. Il loro stare uno di fronte all’altra, intramezzati da un puntuale “Teatrino” sulla parete adiacente, dice tutto della Vita: finzione e realtà, società e natura, ricchezza e povertà.

Marion Baruch, Meccanismo di Precisione per Sculture, 2023, raso di cotone, cm 60x60x15 © Marion Baruch, courtesy Viasaterna and Galerie Urs Meile


L’ultima stanza, con il suo soffitto voltato e con la grana dei mattoni ancora riconoscibile, sembra un antro dove Baruch – fata, strega, creatura magica di qualche sorta, e lo testimonia la sua stessa vita – ha potuto raccogliersi e mettere a punto un “Meccanismo di precisione per sculture” insieme a “Un termometro in ogni casa”: due strumenti tramite cui l’artista misura e conosce il Mondo attraverso i tessuti. Quelli presentati dall’artista sono strumenti anti-scientifici, deformabili, di scarto e proprio per questo mi sembrano i migliori per indagare il Sé e l’Altro da Sé: fin dai tempi di “Abito-Contenitore” del 1970, arrivando ai brandelli di oggi, il tessuto è stato la misura del mondo di Marion Baruch.

Marion Baruch, Viasaterna, Milano, fino al 22 marzo 2024

In copertina: Marion Baruch, 2023, foto Peter Colombo

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