Il fantasmagorico mondo di Black Snake Moan

In Interviste, Musica

Abbiamo incontrato Black Snake Moan per parlare del suo nuovo album “Phantasmagoria”

Ascoltando Marco Contestabile, in arte Black Snake Moan, sembra di essere davanti a un bluesman nato sulle sponde del Mississippi. Invece Marco infatti ha 27 anni, è nato a Tarquinia, ma la sua anima ha attraversato il tempo e lo spazio rimanendo imbevuta dei distillati musicali provenienti da paesi lontani, non solo dal far west, ma anche dal lontano oriente.

Il 25 ottobre dello scorso anno è uscito Phantasmagoria, suo secondo album che continua il percorso tracciato dal primo, Spiritual Awakening, del 2017. Ma se nel primo l’influenza del blues era predominante sugli altri stili, nel secondo album Black Snake Moan ha indossato una maschera da sciamano azteco che intona mantra orientali; sembra attraversare il tempo accumulando una conoscenza secolare di strumenti e generi musicali, i suoi testi sono evocativi di immagini potenti, dai colori netti, albe e tramonti che altro non sono che i panorami interni dell’autore. Per cercare di approfondire la sua conoscenza, ho deciso di intervistarlo dopo il suo ritorno dall’International Blues Challenge che si svolge a Memphis, negli States.

Il tuo nuovo album sembra guardare di più verso Oriente rispetto al precedente; sbaglio?
Si, il nuovo album ha un passaggio creativo importante, ho valorizzato e sviluppato il mio linguaggio in questi due anni. Spiritual Awakening, il primo album è molto più istintivo e scarno, riconducibile al Blues Psichedelico delle nuove generazioni , mentre Phantasmagoria ha un percorso completamente differente. Ho lavorato più sul suono; la strumentazione che descrive l’ultimo lavoro sono le chitarre dodici corde, i tappeti sonori di Tampura indiana e la chitarra Sitar sono elementi che svolgono un ruolo fondamentale. Phantasmagoria è molto più riconducibile a determinati stili, anche perché ci sono molti più elementi sui quali ci si può focalizzare, dal Garage, Blues e Psichedelia anni 60 e Neo.

Il primo album era una raccolta di immagini, di impressioni, questo invece ha un corpo unico molto più concreto.
Phantasmagoria rappresenta un flusso di coscienza tra oscurità e luce, la costante proiezione di immagini, la descrizione di esperienze che colpiscono i sensi e la fantasia. Oscurità e Luce si avvicendano nel percorso, una eterna ciclicità, linea conduttrice tra realtà e fantasia. La strumentazione attuale, mi ha permesso di accedere a molti più canali sensitivi, creativi e stimolanti per la scrittura, sono indispensabili per evocare determinate sensazioni.

Sì, capisco, ogni suono può dare il via a un pensiero che ti porta poi a scrivere un nuovo album.
Certo, se smettessi di acquistare strumenti, penso smetterei anche di scrivere e registrare.

Nell’album, sia nei titoli che nella musica, ci sono continui rimandi ai Doors o ai Canned Heat, è voluto o sono semplicemente parte fondamentale del tuo bagaglio culturale? O entrambi?
Sono felice che determinati gruppi che fanno parte della mia vita emergano costantemente nelle mie canzoni, sono parte del mio bagaglio personale, è parte di me, specialmente i Doors, motivo per il quale ho cominciato a fare musica.

“Snake is long seven miles, ride the snake to the lake” cantava Jim Morrison mentre cercava The End, e un verso molto simile c’è anche in una tua canzone.
Night of Stone è un omaggio ritualistico a The End dei Doors, è un tributo ad un determinato stato d’animo, una sensazione difficile da spiegare a parole. La musica è infinita ma alcune volte ha anche dei limiti; non potrei mai essere completamente libero dalla musica stessa, sono costantemente influenzato da quello che ascolto, quello che sento dentro me, ciò che reverbera nella mia anima. Sono dell’opinione che determinate canzoni sono nascoste dentro di noi, è solo questione di tempo e tutto emerge.

È giusto affermare che i tuoi testi sono funzionali alla stabilizzazione di un’immagine che già la musica, di per sé, ha evocato? È il concetto del circolo virtuoso.
I miei testi descrivono le immagini che cerco di proiettare, il racconto di una visione.

Come sei riuscito ad accogliere in te tutte queste influenze?Ho cominciato a suonare la chitarra dopo aver ascoltato per la prima volta il Delta Blues. Determinati stili sono strettamente connessi, sento il Blues ovunque, è uno stile così primordiale, psichedelico, mantrico, spirituale, riflessivo, avvolto nel mistero, è la musica del Diavolo.

Dal punto di vista degli strumenti, qual è stato quindi il tuo percorso?
Sono stato sempre affascinato dalle chitarre; in questo ultimo anno mi sono dedicato più alle dodici corde che mi hanno trasmesso una energia creativa diversa, tantissima ispirazione, regalandomi un linguaggio personale. Ho voluto inserire il Sitar su alcune canzoni, perché lo sento così evocativo e strettamente connesso al suono delle chitarre, tappeti sonori armonici molto avvolgenti ed infiniti. Sono contento e soddisfatto di questo album, accolto molto bene dalla critica, ho letto recensioni molto positive e stimolanti, ognuna che esalta un determinato colore o sensazione.

Cosa pensi della scena musicale italiana a confronto con quella europea e con quella americana? Mi rendo conto che sia un mare magnum, ma, se vuoi…
Ci sono delle differenze significative, dovute dalla cultura, attitudine, curiosità e gusto del pubblico. In America è una terra molto legata alla musica popolare; suonare Blues a Memphis è una esperienza straordinaria, e non nascondo che è stato facile; ho ricevuto feedback molto positivi da parte del pubblico, curioso e molto presente. La Leggenda del Blues è vera, concreta, tangibile. Mi riferisco però a un blues molto tradizionale, infatti il nuovo blues è molto più legato alla scena di Nashville (vedi Jack White) piuttosto che a Memphis, città molto più turistica, rispetto alle zone più a Sud (Clarksdale, Bentonia fino a New Orleans). In Europa è un’altra storia ancora, c’è molta più contaminazione, la vedo più focalizzata su un prodotto che muta costantemente nel tempo.

Per chiudere ti pongo una domanda che faccio a tutti. Qual è la tua comfort zone, musicalmente parlando? Ovviamente di qualsiasi genere essa sia.
“Mi piace attaccare con un ritmo blues e vedere dove ti porta..” cit.

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