L’amore è tutto quanto c’è

In Letteratura

“Il cuore è un cane senza nome” di Giuseppe Zucco è una struggente indagine sull’amore.

“Per me scrivere è come camminare in una stanza buia. Io ho solo una torcia in mano, che mi permette di illuminare, una per volta, mattonella per mattonella. Una vera e propria esperienza cognitiva e di scoperta che spero possa essere condivisa dal lettore”. Un’efficace immagine grazie alla quale Giuseppe Zucco descrive il processo creativo che lo ha visto coinvolto nel corso degli ultimi tre anni nella stesura del suo primo romanzo, Il cuore è un cane senza nome, edito da Minimum Fax. Una luce, un’illuminazione che si presenta quando – durante una quotidiana abluzione dei denti – l’inizio e la fine di una storia si profilano alla mente nel più spontaneo e immediato dei modi.

L’infelice epilogo di una storia d’amore, come spesso accade a poeti e artisti, è una fucina capace di fornire innumerevoli opportunità narrative, grazie alle quali Zucco ha dato vita a una singolare parabola esistenziale. In questa il lettore ha la possibilità di immedesimarsi e riscoprirsi alla luce dell’esperienza del protagonista, capace di rivelare la potenza e la primordialità del sentimento amoroso. Un’interminabile serie di guaiti, una metamorfosi inevitabile e una nuova realtà canina si annunciano come l’unica via per dar voce a quei “fantasmi amorosi che col tempo si erano annidati ovunque”. Il protagonista del romanzo è un uomo che, lasciato improvvisamente dalla compagna, subisce la trasformazione in cane – un cane appunto senza nome – e si ritrova costretto a un faccia a faccia con un lato nascosto e intimo del proprio io, un territorio in cui riscoprire se stesso e dare un nuovo volto al rapporto con la donna amata. Nella metamorfosi in cane, il dolore e il vuoto diventano allora protagonisti: le ferite testimoniano il fatto di essere vivi e la nuova esistenza si dimostra possibile solo a seguito del vuoto da lei lasciato. Questa trasformazione dai tratti kafkiani fa precipitare il protagonista – che d’ora in poi verrà indicato semplicemente come il cane – in uno stato di sorpresa e smarrimento, così obbligato e atterrito in un corpo estraneo. Uno stupore “quasi estetico” che lo spinge alla più naturale delle azioni canine: una corsa convulsa, senza meta.

Il cane avvertì di non aver corso a caso, come se qualche entità superiore, in una vita precedente, gli avesse tracciato quella rotta all’interno della calotta cranica, e lui non avesse dovuto fare altro che seguirla”.

Uno stupore destinato a crescere quando, a seguito di uno scontro con un branco di randagi, il nostro cane scopre di essere stato adottato da una famiglia, in particolare da una bambina, l’odore della quale lo pone di fronte alla spiazzante cognizione che dietro a quelle fattezze bambinesche e a quel tono a tratti perentorio si nasconda l’infantile immagine della donna amata. Si distingue così nelle pagine del romanzo un vero e proprio viaggio, un cammino attraverso differenti tappe, contraddistinto da un’unica e fedele costante: l’amore dedito verso lei, una lei bambina, poi ragazza e infine vecchia. Se il protagonista-uomo conosciuto nelle prime pagine è opera di una stilizzazione e di un’essenzialità manifesta, il cane mostra una caratterizzazione più profonda, quasi umana –  forse fin troppo – nel relazionarsi a lei. Se l’uomo dava l’impressione di essere stato scosso solo da una leggera brezza, il cane è stravolto da una vera e propria tempesta emotiva, declinata in comportamenti e azioni al limite tra l’umano e il canino. Si plasma davanti agli occhi del lettore l’immagine del rapporto tra il cane e lei, un rapporto che ha buone possibilità di sfociare nel morboso e in una sproporzione derivante dalla differente natura dei due. A questa direzione volta alla riscoperta di un inatteso legame si contrappone, come un controcanto, l’opera della memoria, artigiana di sterminati ricordi: Zucco fa emergere questo contraltare anche grazie a una contrapposizione stilistica. Le immagini della reminiscenza sono contraddistinte da uno stile piano e semplice, capace di fare luce su elementi fondanti del rapporto tra i due; dall’altra parte le vicende che vedono coinvolto il cane, quasi fosse una pellicola che scorre a poco a poco, vivono di immagini evocative e pregnanti, anche se a tratti rischiano di diventare eccessivamente liriche e ridondanti. Un solo elemento fa da vincolo alle due realtà del protagonista, le labbra di lei, quel “filo di scarlatto” protagonista dell’ossessiva e tormentata attenzione di lui. Sull’evocativa immagine del Cantico dei Cantici viene costruito un ponte teso tra i ricordi – serbatoio di emozioni e rimpianti – e la cornice che si delinea intorno alla donna amata e al suo percorso di crescita, di fronte al quale il cane è un fedele spettatore.

In quell’oscurità, debole pulsava una luce, una luce che non aveva né memoria né consapevolezza di sé e che tuttavia esisteva. Era la fotografia di qualcosa che non c’era più, la stella da cui scaturiva si era intanto spenta o era esplosa, eppure, dopo aver rigato per secoli il buio e il vuoto con quello sciame di scintille, ora stagnava in una pozza spettrale accanto alle mattonelle su cui era seduto il cane. […] Ora quella luce la rievocava, la suscitava, la chiamava a sé, come se entrambe avessero la stessa struttura molecolare e fosse impossibile che l’una e l’altra dimorassero lontane”.

Grazie a questa pioggia di ricordi antropomorfi e alle vicende canine, il lettore può intuire e comprendere i tratti sostanziali delle indoli dei due personaggi. Nelle prime pagine del romanzo, lei appare come una presenza fugace, incapace di lasciare alcuna traccia di sé, di fronte alla resistenza al dolore del protagonista. A partire dal primo e nuovo incontro tra i due, vestiti di panni inattesi, la bambina rivela il “lato dittatoriale e anche un tantino sadico del suo carattere”, temperamento ugualmente restituito dalle immagini della memoria; viene progressivamente tracciato il profilo di una natura scostante, mutevole e prevedibile a un tempo. Ponendo la lente di ingrandimento su questi ultimi aspetti scopriamo una donna insicura, ininterrottamente tesa tra la rivendicazione della propria autonomia e indipendenza e la parallela soggezione al giudizio altrui. Di contro, all’interno dell’intricata rete di ricordi, l’antitetica figura maschile costituisce il polo opposto e allo stesso tempo complementare rispetto alla donna. Alle provocazioni e alle richieste di attenzione di lei, lui mostra la capacità di fornirsi dell’efficace arma dell’ironia, volta a stemperare la tensione della controparte femminile. Un rapporto sancito dalla forza del sarcasmo e lontano da qualsiasi forma di austerità, dove lui risulta pienamente padrone di sé stesso e capace di vivere in piena e assoluta autonomia.

L’esperienza della metamorfosi e la scoperta di un nuovo volto nella relazione tra i due pone luce su una differente concezione dell’altro. Alla capricciosa e possessiva personalità della bambina e della ragazza, si oppone la costante dedizione del cane, che vive una forma di profondo e puro devozionismo, restituendo il tratto più marcato dell’esperienza canina. Questa interdipendenza, incline a sfociare nel morboso, pone i due personaggi come all’interno di una sfera unicamente loro riservata, che tuttavia non risulta immune da turbamenti e nervosismi. Quello che può apparire come un intimo e profondo legame va a immettersi in un flusso di inquietudine che dà voce ad alti e bassi e a una discontinuità impensata. Durante i diversi momenti condivisi si giunge a un inevitabile punto di rottura che porta i due protagonisti a una separazione necessaria. Il lettore si trova di fronte a un saliscendi emozionale e a salti temporali ai quali risulta preparato, nell’attesa di scorgere l’evoluzione del rapporto fra i due. E se, fino all’adolescenza della ragazza, la tensione fa da protagonista, alle note del canto finale “in un attimo il cane si sentì cane, si sentì uomo, riscoprendo quel calore dentro di sé”. Emerge in tutta l’opera in modo definito e preciso la necessità della presenza dell’altro al proprio fianco e la volontà del cane di costituire l’essenza dell’esistenza di lei. A ciò si oppone una cocente frustrazione di non essere abbastanza, scaturita dall’impossibilità di essere il tutto di colei che si ama.

Il cane, per la prima volta, era assalito da una disperazione fredda, oggettiva, che gli impediva di vedere il mondo diverso da com’era. In fondo, pensò il cane, era impossibile redimere il mondo, redimere sé stesso. Doveva solo accettare tutto quanto, non c’era altra soluzione”.

Zucco afferma di non conoscere a pieno i significati più reconditi della sua storia; chiara tuttavia è la volontà di rappresentare il proprio romanzo, l’amore che vi è descritto, come un viaggio, come l’attraversamento del sentimento amoroso in vista della conoscenza del mondo e di sé stessi. La donna amata viene quindi concepita come una forza capace di mettere in moto un percorso di riconoscimento di sé all’interno del caos circostante, secondo un processo conoscitivo in cui la metamorfosi e il conseguente rapporto con lei assumono un significato pregnante.

L’epilogo della vicenda vede coinvolta la fase ultima della vita della donna, stanca e affaticata dagli anni, ma non meno intimamente affezionata all’amico a quattro zampe. Quest’ultimo, a seguito di varie e complesse vicende, riscopre la propria devozione nei confronti dell’anziana figura, quale un’occasione, anzi l’occasione, per essere la sostanza prima della sua vita. Viene a crearsi di conseguenza un idilliaco senso di pace, destinato a estinguersi a breve insieme all’esistenza stessa della vecchia. La fine di una speranza, la fine di una vita – passata e presente – dura fino a quando, in un ennesimo risvolto dai tratti quasi metafisici, la donna, vestita nei panni della reale donna che aveva lasciato quell’uomo solo, lo viene a trovare, quando ormai la vita sembra non avere più senso. La conclusione del romanzo lascia il lettore a tratti disorientato e confuso, colto dalla difficoltà di comprenderne a pieno l’arcano significato. Si percepisce una debole evoluzione di entrambi i personaggi, che non vada unicamente nella direzione del devozionismo e della realizzazione di una relazione simbiotica, come ben esplicato dall’immagine finale che vede la donna e il cane allontanarsi pieni di questo nuovo legame. Questo eccesso di amore si trasforma in magnetismo esercitato dalla figura femminile nei confronti dell’uomo in quanto cane; esso si configura come il perno di tutta la vicenda e di tutta l’esistenza del protagonista, che si tuffa in un percorso alla fine del quale  il lettore avverte che “era stata lei a salvarlo”.