Giordania da scoprire: la guerra di Nawal, timida e indomita, al patriarcato

In Cinema

“Inshallah a Boy” dell’esordiente Amjad Al Rasheed è il primo film approdato al Festival di Cannes da Amman. Racconta la quieta ribellione di una vedova che con forza e tenacia difende la sua vita, la sua bimba e le sue cose dall’arroganza maschile, e da leggi che in quanto donna la vogliono cittadina di serie b. Eccellente la prova della protagonista Mouna Hawa, decisivo l’apporto delle due sceneggiatrici Rula Nasser e Delphine Agut, prezioso il modello stilistico di Asghar Farhadi

Nawal è appena rimasta vedova, ha una bambina piccola, forse è incinta e di certo non nuota nell’oro. Ma questo non la mette al riparo dalle angherie del cognato, che mira solo a entrare in possesso della sua parte di eredità, a costo di buttare lei e la figlia in mezzo a una strada. Nawal è la protagonista di Inshallah a Boy, opera prima di Amjad Al Rasheed e in assoluto primo film giordano a essere presentato al Festival di Cannes. Un ritratto di donna ad Amman che rattrista e inquieta, ma riesce al tempo stesso a mostrare una possibile via d’uscita, attraverso la quieta ribellione di una donna timida che si scopre indomita, perché, dopo tanto silenzio, sguardi bassi e parole appena sussurrate, trova la forza di rivendicare la propria voce, i propri diritti.

La Giordania non è un paese in preda al fanatismo religioso, la condizione femminile è di certo migliore rispetto ad altri paesi musulmani, ma la Shari’a coincide in gran parte con la legge dello Stato. Le donne sono quindi continuamente sottoposte a uno stretto controllo familiare e sociale, mentre i loro diritti – persino i fondamentali, come quello di disporre della propria casa, dove vivere in autonomia e crescere i propri figli – sono messi in discussione sulla base del capriccio di qualunque uomo si arroghi la posizione di capofamiglia. A volte per meri interessi economici, esibiti con la tranquilla tracotanza dei padroni che non devono giustificare le proprie scelte e azioni.

Il volto feroce del patriarcato in un film pregevole per precisione e asciuttezza, tutto costruito intorno alla figura della protagonista, interpretata da un’ottima Mouna Hawa. Inshallah a Boy è soprattutto capace di dare conto della stratificazione complessa di una società come quella giordana, dove la questione non è tanto quella del controllo religioso, quanto quella della suddivisione tra cittadini di serie A, gli uomini, e cittadine di serie B, le donne. E questo vale anche per le istruite e benestanti appartenenti alla famiglia cristiana maronita dove Nawal si occupa, come badante, di un’anziana signora in preda all’Alzheimer: anche loro, che pure sembrano incarnare una libertà di costumi vicina al modello occidentale, a partire dall’assenza dell’obbligo di coprirsi i capelli con l’hijab, si ritrovano intrappolate in una condizione di totale (e violenta) sudditanza alle regole e allo sguardo maschile sul mondo.

Amjad Al Rasheed ha scritto la sceneggiatura insieme a due donne, Rula Nasser e Delphine Agut, e ha di certo avuto ben presente la lezione dell’iraniano Asghar Farhadi, di cui sembra voler riprendere un certo modo di tenere la macchina da presa al tempo stesso vicino e lontano, dando vita a personaggi sfaccettati, raccontati con notevole empatia, evitando la trappola inutile del manicheismo. 

Inshallah a Boy di Amjad Al Rasheed, con Mouna Hawa, Haitham Alomari, Seleena Rababah, Yumna Marwan, Salwa Nakkara

        

           

                

                                                                                         

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