Farah e Ahmed, la poesia araba e un’insolita storia d’amore

In Cinema

“Storia d’amore e di desiderio”, secondo film dell’ottima regista tunisina Leyla Bouzid dopo “Appena apro gli occhi”, racconta l’incontro a Parigi di due ragazzi. Lei tunisina, lui algerino, studiano l’antica letteratura erotica dei loro paesi alla Sorbona, e subito si innamorano. Ma mentre lei, libera e diretta, vuole concedere una chanche alla loro passione, lui, chiuso ragazzo di banlieue, che pure la frequenta con entusiasmo, erige subito una barriera, spaventato da una “minaccia” alla sua vita solitaria


Nel 2015 ha suscitato grande interesse ed emozione Appena apro gli occhi – Canto per la libertà, film d’esordio della allora 30enne regista tunisina Leyla Bouzid, figlia d’arte (il padre Nouri è uno dei maestri del cinema di lingua araba e il più importante autore tunisino, oppositore di Ben Ali e dell’integralismo religioso) e autrice di notevole delicatezza. Dalla Mostra di Venezia a molti altri festival successivi, anche grazie all’eco delle rivolte popolari nelle “primavere arabe”, ancora fresche nonostante le cose già si stessero mettendo male in Libia ed Egitto, e non solo per la condizione delle donne, quel ritratto di ragazza entusiasta, energica, di musicista di talento che reclamava il suo posto e i suoi diritti in una società maschilista e apertamente violenta, anche nelle sue istituzioni (polizia, magistratura) aveva colpito. Come nell’opera d’esordio, anche nel suo secondo film, Storia d’amore e di desiderio, uscito in questi giorni in Italia dopo il successo di pubblico in Francia e il passaggio applaudito alla Semaine de la Critique al Festival di Cannes 2021, la protagonista femminile si chiama Farah ed è tunisina. Ma vive a Parigi, dov’è appena arrivata per studiare letteratura alla Sorbona, lo stesso itinerario della regista, che a 19 anni si trasferì in Francia per frequentare l’università. Ma stavolta, spiega Bouzid il protagonista è soprattutto un ragazzo (lo interpreta il convincente Sami Outalbali) e questa “storia di iniziazione ed emancipazione” è “al maschile”.

Farah e Ahmed si incontrano a un corso di letteratura araba: lei ha una capigliatura di ricci rossi, è libera, diretta, senza tabù, barriere e pregiudizi, e ha una gran voglia di conoscere Parigi. Lui è bruno e ha grandi occhi spalancati sul mondo: figlio di un giornalista algerino sfuggito alla guerra civile in patria, parla francese e non conosce la lingua araba, che invece lei parla: divoratore di libri, riservato, quasi cupo, coltiva il suo mondo interiore e non è mai uscito dalla banlieu dove è nato e cresciuto, così non conosce affatto la metropoli. L’attrazione fisica fra i due è immediata e innegabile, ma mentre Farah non ha problemi a dar seguito al suo desiderio, e con naturalezza lo richiede, Ahmed si rifiuta “di vivere il suo amore in modo carnale”, come scrive uno degli autori che i due ragazzi stanno studiando. Spiega l’autrice: “Volevo esplorare la vita intima di Ahmed, filmare la sua parte di mistero, cercare di comprenderla. La sua resistenza mi sembrava risuonare particolarmente nel territorio periferico in cui il sentimento amoroso è spesso attraversato da non-detti. Là dove domina l’immagine di una virilità esacerbata, ho voluto dare un autentico spazio alla fragilità maschile”.

E aggiunge un tema storico-culturale: “Non c’è un’unica ragione della resistenza di Ahmed, ma un insieme di parametri, dati che talvolta rimontano a cose antiche: il dilemma della cultura araba tra amore puro e godimento (tema onnipresente nelle banlieue, ma in modo deformato), la sublimazione dell’amore, la paura dell’ignoto, l’impossibilità di fare riferimento a qualcuno di vicino con cui confrontarsi. Un insieme di sentimenti contraddittori”. In cui proprio la parola poetica fa da terza protagonista: è attraverso lo studio di testi famosi come Le mille e una notte e anche altri, che i due ragazzi nordafricani scoprono come la loro cultura un tempo accogliesse la sensualità maschile e femminile e non condannasse la ricerca del piacere o dell’ebbrezza. Nella tradizione della poesia araba, il desiderio può assumere le forme di una sublimazione, in cui l’oggetto amoroso evocato dalla parola diviene puro e irraggiungibile come nel nostro amor cortese, ma la stessa fonte letteraria esalta chiaramente l’amore carnale con un’intensità fortissima, grazie alla quale la parola si fa corporea, erotica.

Farah, interpretata con dolcezza decisa da Zbeida Belhajamor (che Leyla Bouzid aveva già notato, giovanissima, durante il casting del suo primo film), fa così da vero contraltare di Ahmed, con il suo modo di muoversi, parlare, guardare le cose, la mentalità aperta di una ragazza tunisina che viene da uno strato sociale e culturale superiore a lui, circondato da coetanei chiusi, conservatori. Non religioso ma comunque tradizionalista, vede nella donna, come nella città occidentale che ha umiliato la sua famiglia, un pericolo da allontanare, attorno a cui costruire una piccola roccaforte. E lo vede prima di tutto nelle ragazze tunisine, di seconda generazione o francesi che siano, integrate e solide, libere o quasi dai timori del maschile. Lo è, come adulta, la professoressa di Letterature Comparate, lo è la sorella che ha un ragazzo con cui addirittura dorme (Ahmed e i suoi amici non lo vedono affatto di buon occhio), ovviamente lo è Farah, massimo soggetto perturbante. Più che una storia d’amore, il film diventa così il racconto della presa di coscienza della propria sessualità da parte di un ragazzo che parte rifiutandola. Per tornare all’idea di emancipazione suggerita da Bouzid, la si vede all’opera in piccoli momenti, attraverso l’evoluzione del sentimento amoroso e grazie all’incontro decisivo con la letteratura erotica araba, la scrittura, la potenza delle parola. E la regia gioca con il rovesciamento dei tradizionali (nel cinema e non solo) ruoli di genere, sottolineando che il rifiuto alla relazione, spesso esclusivo appannaggio femminile, qui è terreno d’azione di un giovane uomo che si nega una soggettività attiva. Il suo sguardo nella macchina da presa nel finale ammette questa oggettivizzazione, rivendicando però poi allo stesso tempo un diritto a riconoscersi primattore della storia: Ahmed è il soggetto che guarda la donna per guardare se stesso.

Tra passeggiate sulla Senna, dormitori che danno sui tetti di Parigi e baci che da incerti si fanno più decisi, la regia gioca le sue carte “fisiche”, anche esplicite ma mai insistite e sempre delicate, fin dalla prima inquadratura, con Ahmed filmato come oggetto del desiderio, mentre una mano femminile traccia segni grafici sul suo corpo nudo. E la percezione della realtà spesso passa attraverso lo sguardo di Ahmed, con frequenti primi piani e fuori fuoco, a sottolineare l’attenzione attribuita dal ragazzo alle sue circostanze, la scelta, anche inconscia a volte, di vedere o di “bloccare” qualcosa alla vista, sua e di conseguenza nostra. I movimenti di macchina sono fluidi, armoniosi, classici, e la musica di Lucas Gaudin, melodica e ripetitiva, crea un ritmo a tratti quasi ipnotico.


Una storia d’amore e di desiderio, di Leyla Bouzid, con Zbeida Belhajamor, Sami Outalbali, Samir El Hakim, Khemissa Zarouel, Ghalia Benali, Diong-Kéba Tacu, Aurélia Petit, Mahia Zrouki, Bellamine Abdelmalek, Mathilde Lamusse, Sofia Lesaffre, Baptiste Carrion-Weiss, Charles Poitevin, Omar Khasb, Zaineb Bouzid e Chakib Daou

(Visited 1 times, 1 visits today)