Il Danubio di Magris in 170 bottiglie

In Letteratura

Si è conclusa il 18 ottobre, a Padova, la mostra “170 racconti in bottiglia” sul romanzo “Danubio” di Claudio Magris

C’è stato un tempo in cui alcuni marinai, per ricordar l’amore o vincere la paura, inserivano in un contenitore di vetro una ciocca di capelli, un crocefisso, un ritratto, un bottone. Cari oggetti preservati dall’acqua e dalla salsedine in bottiglia, da tenere accanto nel buio o da lanciare in mare, in caso di pericolo. C’è stato un tempo in cui altri marinai hanno costruito in bottiglia, per nostalgia o per sfida, piccoli velieri con sottili frammenti di legno, per la prua, rotelle d’orologio, per timone, fili di nylon, per le drizze, triangoli minuti di stoffa, per vele. Ma non c’è mai stato un tempo in cui piccoli lettori prendessero in mano le pagine grandi di un libro e ne scoprissero gli oggetti nascosti nelle pieghe dei significati e le ricreassero con il loro istinto cromatico in bottiglie bordolese, per disporle una dietro l’altra in uno spazio pieno di luce, in un centro culturale.

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In quello spazio straniante, può capitare un visitatore inconsapevole che per la magia del luogo diventi un viaggiatore e scopra, in quelle bottiglie, il Danubio e il suo fluire nei nove stati d’Europa, il suo insinuarsi tra le culture e le etnie diverse, il suo essere testimone delle barbarie naziste, il suo colorarsi di rosso sangue, il suo danzare nel valzer, il suo lambire le case, tra le tante quella di Canetti e Wittgenistein, il sussurrare racconti di Cerkazki e lieder di Marianne Willemer… Può capitare che quel viaggiatore si incuriosisca e cerchi il saggio di Claudio Magris e lo scopra ricco di dettagli e documenti. Veda il passo lieve del flaneur o gli occhi stretti, nella ricerca, del suo autore. Capisca che Danubio è un libro verde che non smette di stupire dopo la sua prima uscita nel 1986, con le visioni preveggenti di là dal muro di Berlino. Lo viva come un libro rosso che brilla per la ricchezza d’informazioni ed emozioni, ragionamenti e divagazioni, ma anche come un libro blu se quel viaggiatore – lettore si lascia trasportare di qua e di là, di giù e di su, tra intersezioni e linee di luna che attraversano le ventotto città in cui il fiume va.

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E può capitare che proprio Claudio Magris, l’autore, sia un viaggiatore e giunga dalla lontana Germania nel centro San Gaetano di Padova, in un giorno di metà ottobre, e si fermi di fronte a quel bizzarro galleggiare nel vuoto di centosettanta bottiglie. E le guardi una per una per godere di quello spettacolo in miniatura che è diventato il suo Danubio. Altro da sé. La sua oggettivazione. E il cuore gli si riempia di gioia. Centosettanta studenti hanno interpretato le sue parole per raccontare il suo viaggio lungo il fiume realizzato in quattro anni e in più tappe, quattro terze del liceo artistico della città, coordinate dal loro prof. di discipline plastiche, Paolo Marcolongo e, nella intersezione con altre discipline, storia, lettere e filosofia, hanno trasformato i pensieri dell’autore in oggetti messi in scena e imbottigliati.

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L’euforia della ri-creazione colpisce il viaggiatore Magris che non ha nessuna remora a dichiararlo nell’incontro con gli studenti. Non c’è solo un altro linguaggio, ma anche qualcosa d’altro e di indipendente che entra nella testa ed esce dal cuore. Un percorso che ha la sua autonomia in cui io mi sono riconosciuto. E lo scrittore viaggiatore invita gli studenti a raccontare il loro viaggio. Il come. Piccoli elfi attorno a un tavolo abbiano cercato di capire la poesia di quelle pagine, indagato certi difficili collegamenti con altri testi, interrogandosi tra di loro. Tu come credi che questo sia? Cosa dici? Può essere che qui si voglia dire questo? E come esponiamo queste bottiglie in mostra? Come le rendiamo agli altri?[1]

Risulta allora chiaro perché tra i diversi progetti di esposizione, schizzati nell’album, sul tavolo in mostra, si sia scelto quello della sospensione in modo da richiamare il movimento dell’acqua del fiume. Puro dondolio di barche bottiglie. E l’altezza degli stendini d’acciaio complementare alla lunghezza dei fili di nylon in modo che fosse visibile a ogni donna, uomo, bimbo, anziano e anche soggetto in carrozzella, ogni bottiglia e ogni collo di bottiglia a cui è legato un cartoncino. Una calligrafia severa ha riportato il titolo, il numero del capitolo e del paragrafo di Danubio su quelle etichette senza tempo per evocare l’appartenenza nel caso in cui vengano lanciate nel fiume e l’acqua non cancelli l’inchiostro.

Così la riflessione sospesa di Claudio Magris dal titolo: I sei angoli del nulla diventa la bottiglia 2/22 che ha in sé l’oggettivarsi del Nulla in bambagia bianca, numeri e intrighi di cespugli che il Nulla potrebbe avere in sé nonostante sia un Nulla. Il punto di partenza è un fiocco di neve caduto sul cappotto di Keplero in una notte d’inverno. Di fronte alla bellezza della sua forma, lo scienziato non può non contare le sei punte della piccola stella e fermarsi sulla sua veloce sparizione. La caducità dell’essere fiocco di neve. Scrive un breve trattato in cui si interroga sul perché e nel capodanno del 1611 lo dona al suo amico e protettore: Johannes Matthaus Wackher von Wackenfels molto sensibile all’ironia e alla indagine scientifica. “Lo so, tu ami il nulla, e non per il suo minimo valore, bensì perché si può giocare con esso in maniera arguta e lieve, come un garrulo passero, e credo dunque che un dono ti giunga tanto più caro e benvenuto tanto più si avvicini al nulla”.[2]

i sei angoli del nulla

La bottiglia numero 2/24 dal titolo che pare bizzarro Le pappagorgie di Vilshofen in relazione alla sua interpretazione oggettuale. Due boccali azzurri da cui emergono piccoli omini bianchi spaventati che agitano le braccia nel tentativo di salvarsi dall’annegamento nella schiuma della birra. E le pappagorgie dove sono? Un’interessante ellissi. Mancano i generali, grassi e tronfi, che si ubriacano per festeggiare le nuove uccisioni del giorno di gente povera e misera, sostituiti da due imponenti boccali. La spersonalizzazione dell’essere uomo nella metafora dell’oggetto identificativo.

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Il giro nella sospensione delle centosettanta bottiglie è un’esperienza estetica ed etica indimenticabile, sia per il visitatore che capita lì per caso e diventa viaggiatore lungo le rive del Danubio, sia per gli studenti che l’hanno realizzata, sia per i loro compagni che provano a capirla e sia per lo stesso autore, Claudio Magris che con la sua scrittura l’ha ispirata. Un gioco di rimandi che rende la poesia sovrapersonale e altro da sé nell’interpretazione sospesa dei lettori artisti.

 

[1] Le parole in corsivo sono citazioni dello scambio di battute tra Claudio Magris e gli alunni del liceo artistico “A.Modigliani” nell’incontro del 16 ottobre 2015 nel centro San Gaetano di Padova.

[2] Claudio Magris, Danubio, Garzanti, pag. 24

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