Shakespeare, una bomba dentro la Fortezza

In Teatro

I detenuti del carcere di Volterra diretti da Armando Punzo continuano la loro straordinaria storia in un gioco meta teatrale che scala il segreto dell’umanità dei personaggi

Da Kantor l’allestimento scenico dalle grandi croci lignee (assolutamente laiche) e la modalità del vissuto con i personaggi. Da Shakespeare le parole, i versi e le figure teatrali. Al centro un Armando Punzo integralmente grotowskiano e insolitamente muto con i suoi magnifici attori della Compagnia della Fortezza. Insieme nella ricerca di quei “perché” che fanno la differenza tra l’essere umano e l’Uomo.

Sotto il sole bruciante che illumina da co-protanigonista quanto avviene nel cortile del carcere di Volterra si vive e si soffre insieme, spettatori e attori, il nuovo capitolo di un importante percorso teatrale ora a una nuova svolta. Proposto oggi in forma di studio ma già ricchissimo di suggestioni e di infiniti sviluppi. Come se il regista/attore volesse scardinare un’estetica costruita nell’ultimo decennio restando però fedele alla propria poetica, il pubblico non è più coinvolto o provocato direttamente nell’azione ma si trova davanti a un insieme costruito a due sole dimensioni, successione di quadri inanellati con un tocco infinitamente leggero e sottilmente seducente.

A partire dalla prima scena in cui Punzo in veste di Amleto-Shakespeare (ma più tardi tornerà a fare Pinocchio come anni fa) tenta invano di vergare qualche foglio allo scrittoio. Intorno a lui in mezzo al bric-a-bràc del trovarobato teatrale di bauli e costumi affastellati agiscono tre donne in abiti di diverse epoche dal’500 ad oggi, da Desdemona a Miranda, con cui continuano i brindisi in calici che come nel banchetto di Macbeth non tolgono la sete e vengono svuotati a terra.

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È solo la prima delle tante immagini fondanti e indimenticabili che vanno a comporre lo spettacolo, Calibano che dichiara il proprio inutile amore a Prospero come nell’Incubo di Fussli piuttosto che Desdemona condannata per l’eternità a perdere e a riprendere in mano il proprio fazzoletto. Con l’apporto fondamentale delle invenzioni dei costumi di Emanuela Dall’Aglio che ha creato abiti stupefacenti ed essenziali come i libri/gorgiera/personaggi a cui Punzo può porre il proprio microfono per trovare possibili risposte ai suoi immani interrogativi senza parole (forse per primo “Perché” e “Cos’è” il Teatro?).

Risposte che arrivano dal Racconto d’inverno, dal Timone d’Atene, dal Re Lear, dal Giulio Cesare, dai Sonetti, dall’intera opera del Bardo deflagrata in una costellazione all’interno della quale si può ipotizzare e di certo si deve ancora trovare uno zenit. Alcune battute più indicative (“In tutto questo tempo mi avete frainteso”, “Chi sarà con te?”) guidano e suggeriscono il percorso e non a caso sono affidate ai detenuti, a chi solitamente non ha voce, a coloro la cui voce non viene presa in considerazione.

Tutto lo spettacolo è pieno di scale che entrano, che escono, che rimandano a una verticalità costantemente tarpata, a una possibile scalata alla luna che una zavorra ancora troppo pesante ci rende proibita. Ma una speranza è ancora possibile.

Il bambino dal sapore “raffaellosaziano” che sulle note di un concerto di arpa d’acqua spia dalla serratura il dramma di Otello e che chiude lo spettacolo portando in scena il palcoscenico del mondo forse saprà trovare una nuova strada verso una autentica umanità.

Mano nella mano con lui un Punzo ancora senza capacità di parola se ne va e mano nella mano con lui torna per gli applausi.

Fotografie di Stefano Vaja

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