Gadda, un teatro con le didascalie

In Teatro

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Lorenzo Loris continua la rilettura dei grandi milanesi del 900 e mette in scena “La cognizione del dolore”, rimozione di un lutto e rifiuto della guerra

Lorenzo Loris da qualche anno svolge ricerche e studi che lo portano a creare degli spettacoli partendo da autori milanesi del Novecento. Partito nel 2010 con Giovanni Testori, passato per Pasolini mette ora in scena, fino al 21 dicembre all’Out Off, un nuovo lavoro, La cognizione del dolore di Gadda.

Un lavoro che in un primo momento rende lo spettatore perplesso, ai dialoghi infatti sono affiancate delle didascalie, anch’esse recitate dai personaggi che mantengono lo stile narrativo dell’opera di Gadda. Questa perplessità però rimane per poco perchè lo spettacolo prende quota velocemente e lo spettatore riesce ad abituarsi senza sforzo a questa continua alternanza. A lungo andare però rischia di risultare un po’ faticoso da seguire.

La “cognizione” non è la semplice “conoscenza”, ma quel tipo che porta alla consapevolezza, cosa che risulta molto chiara nel testo. I due personaggi Gonzalo (Mario Sala) e la madre (Monica Bonomi) sono persi nelle loro cognizioni del dolore, tremendamente soli. La madre distrutta per la perdita di un figlio in guerra, come era successo anche all’autore milanese con il fratello più piccolo e Gonzalo perchè facente parte di quel mondo borghese di cui però non riesce a riconoscersene parte. Madre e figlio vivono così in una villa che in realtà è una prigione nella quale si amano e si odiano allo stesso tempo. In tutto il dramma si assiste ad una condanna senza se e senza ma della guerra, il racconto risulta in questo senso fortemente autobiografico.

La scenografia, perfettamente serva del dramma psicologico che si presenta sulla scena, è semplice, un pezzo di ringhiera di una villa borghese e sacchi di sabbia che riportano la mente a domandarsi quanto pesi la cognizione del dolore stessa. Sistemati come dei muri bassi, rimandano, oltre che ad una guerra spietata, alla prigione fisica e psichica della villa in cui sono costretti a vivere i personaggi. Forte anche l’alienazione che prova lo spettatore che entra in sala, scendendo le scale ha subito la sensazione di entrare in un’ altra realtà in un altro tempo.

La fisicità prorompente del personaggio, nevrotico, nervoso, solo, alienato, distaccato, viene portata sulla scena da Mario Sala in modo molto forte. Uno spettacolo, un esperimento del regista Lorenzo Loris certamente interessante come tutto il lavoro fatto su Milano, è importante mantenere viva nella memoria l’essenza dei luoghi.

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