A Chicago gli alieni fanno volare gli affari

In Cinema

“Captive State” di Rupert Wyatt racconta come un’invasione militare extraterrestre abbia risanato l’economia americana e ridotto al minimo la criminalità. Certo, in cambio non c’è molta libertà, ogni comunicazione telefonica o informatica è strettamente controllata, e ciò provocherà inesorabilmente la nascita di una resistenza attiva alla dittatura. Un film dall’atmosfera invidiabile, ma così carico di temi e spunti, e così confuso nel raccontare i fatti, da diventare a tratti quasi incomprensibile

Non si può certo incolpare per mancanza di ambizione il thriller di fantascienza Captive State di Rupert Wyatt, regista nel 2011 di L’alba del pianeta delle scimmie. Il film, incentrato su un’invasione aliena, è carico di idee a tal punto da non sapere più cosa farne. Visivamente oscuro, privo di chiarezza narrativa e di caratterizzazioni ben definite, è un’esperienza visiva profondamente frustrante e sembra si sforzi per un futuro status di “cult” che non merita. All’inizio del film siamo informati che sono trascorsi nove anni da quando gli alieni, o “legislatori” come preferiscono chiamarsi, hanno preso il controllo del pianeta. La storia è ambientata a Chicago dove questi legislatori, che vivono sottoterra, e hanno fatto parecchi cambiamenti da quando è iniziato il loro dominio forzato. Come proclama il sindaco di Chicago, c’è stata una “rinascita americana” in cui l’economia sta esplodendo e il crimine è ai minimi storici.

Quando c’è un’occupazione straniera, tuttavia, c’è sempre una resistenza. Ne è l’esempio Gabriel (Ashton Sanders, attore già visto in Moonlight), un giovane che lavora in una fabbrica specializzata nella rimozione di dati dai telefoni cellulari e da altri dispositivi elettronici che sono stati vietati. Per lui, la questione è personale: suo fratello Rafe (Jonathan Majors), combattente della resistenza dato per ucciso durante un raid, in realtà è vivo e lo rifornisce di fondi e informazioni per aiutare lui e la sua ragazza (Madeline Brewer) a fuggire dalla città. Alle costole dei combattenti della resistenza c’è il poliziotto Mulligan (John Goodman,) che scopre come i due fratelli stanno comunicando tra loro, attraverso annunci pubblicitari.

Ma mentre Sanders e Majors sono entrambi eccellenti nei ruoli dei fratelli, centrali nella trama del film, la sceneggiatura non è in grado di decidere su chi concentrarsi e per un lungo periodo, inspiegabilmente, il primo semplicemente non appare. Allo stesso modo Goodman è affidabile, ma fornisce più di quanto il film sia disposto a dargli in cambio, ostacolato da una struttura basata su un importante colpo di scena dell’ultimo minuto. Wyatt, e la co-sceneggiatrice/moglie Erica Beeney condiscono la storia di intrighi e deviazioni per prepararci alla grande rivelazione, ma quando arriva fanno troppe domande a cui il film non è in grado di rispondere.

Si potrebbe dire di più sul plot, ma è gestito in modo così confuso che il tentativo di tenere il passo con gli eventi narrati pare quasi impossibile. Sembra esserci molto, trasmesso, però attraverso una successione di scene brevi e saltellanti, che sarebbero ricche di tensione se si avesse un’idea chiara di cosa sta succedendo. Ci sono molti personaggi di supporto, da un giornalista (Alan Ruck) coinvolto nella resistenza a un funzionario governativo (Kevin Dunn), in gran parte in combutta con gli alieni, ma non si conosce mai davvero nulla su di loro. La trama si concentra sui ribelli che progettano di bombardare una massiccia manifestazione a Soldier Field, ma nonostante il ritmo frenetico non si crea alcuna vera suspense.

Captive State ha certamente un’atmosfera invidiabile, grazie al lavoro del direttore della fotografia Alex Disenhof che segue uno stile da distopico film di fantascienza, filmando con una tavolozza monocromatica grigio-bluastra che però fa venir voglia di vedere un cielo limpido dopo aver lasciato la sala. E il meccanismo è costruito in modo imperfetto, anche se va riconosciuto il costante, lodevole tentativo di far qualcosa di diverso dalla banalità di tanti film di fantascienza di ampia diffusione.

Captive state  di Rupert Wyatt, con John Goodman, Ashton Sanders, Jonathan Majors, Vera Farmiga, Kevin Dunn, James Ransone, Alan Ruck, Kevin J. O’Connor, Machine Gun Kelly, Madeline Brewer, Ben Daniels, D.B. Sweeney, KiKi Layne