Bellocchio torna sul luogo del delitto Moro: un film d’azione e di pensiero

In Cinema

“Esterno notte”, film bello, utile e civile, è un kolossal diviso in due parti, la prima esce ora, la seconda il 9 giugno: in tutto quasi sei ore, e in parallelo in ottobre lo si potrà vedere su Rai1 come serie tv. E’ il racconto complementare di “Buongiorno notte” che Bellocchio girò quasi 20 anni fa: lì lo statista dc e i brigatisti rossi erano di fronte, nel covo-prigione romano, qui c’è tutto il “fuori”: la politica italiana, il partito, il Papa, attori prudenti e ambigui, cinici e impotenti. alle prese con la più grave crisi della Repubblica. Cast di livello altissimo: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo e ottimi comprimari

Al di là dei suoi meriti, notevoli, di film bello, utile e civile, che ci fa tornare amici del cinema italiano che aveva una funzione morale, Esterno notte di Marco Bellocchio, di cui esce al cinema la prima parte (la seconda dal 9 giugno e poi tutta la serie in ottobre in 6 puntate su Rai1), credo che nasconda un record: è il secondo film che Bellocchio dedica al caso Moro dopo Buongiorno notte del 2003 (ed anche la seconda volta che parla dei terroristi dopo Il diavolo in corpo) ed è anche la terza volta che Fabrizio Gifuni, attore straordinario nell’arrivare alla verità attraverso la finzione, dà una grande e mai identica interpretazione dell’onorevole democristiano il cui rapimento ha fatto sbandare il senso della Storia del nostro paese. Gifuni infatti è stato Moro in uno spettacolo teatrale molto brechtiano, ancora in tournée (Col vostro irridente silenzio), tratto dalle sue lettere dal carcere, oltre ad aver impersonato nel 2012 lo statista in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana.

Esterno notte è un film corale e Gifuni, bravissimo, lascia spazio agli altri attori della tragedia, alla disumanità folle dei brigatisti naturalmente, che dettano le condizioni nei telefoni a gettone, ma soprattutto ai notabili del partito le cui mosse sono sempre state ambigue e su cui il regista non fa certo sconti morali: non si salva nessuno. E poi c’è il Papa, Paolo VI, un immenso Toni Servillo, anch’egli prigioniero della ragion di stato (vaticana), tanto che il film finisce con il grande allestimento dello spettacolo del funerale di Moro, ma senza la sua bara né la sua salma. Se mai passa in second’ordine nel film la posizione di Craxi e dei socialisti, che combatterono per liberare Moro senza se e senza ma, anche venendo a patti con i rapitori.

E poi c’è il dolore, in primissimo piano, della moglie Eleonora, una grande prova di Margherita Buy, attrice che rovescia tutti i suoi clichè per arrivare all’interiorità sofferente di una donna “ordinaria” che si trova in una situazione straordinaria, ma mantiene la costanza della ragione spirituale. Se nel precedente film (sulla cui mancata vittoria a Venezia ci fu gran polemica con la Rai, quindi non è strano che ora si sia scelta la vetrina di Cannes) Bellocchio aveva soprattutto raccontato la prigionia di Moro (Roberto Herlitzka) e l’identkit dei rapitori andando a scovarli dentro la prigione, qui c’è solo una scena, nella seconda parte, fondamentale, in cui vediamo Moro verso il finale di partita.

Per il resto è una cronaca spietata e lucida di quello che è accaduto, a partire da quella mattina del 16 marzo 1978 in via Mario Fani, con la ricostruzione perfetta dell’agguato e poi continuando con la partita subdola delle ipocrisie e delle responsabilità, il doppio gioco non sempre pulito dei potenti, molti dei quali vedevano Moro come un avversario politico pronto a varare un governo di centro sinistra con l’appoggio esterno dei comunisti. Nell’allestire il teatrino della peggior politica italiana, politica che in seguito ha spesso tentato, riuscendoci, di cadere ancora più in basso, tra sguardi obliqui, telefonate segrete e la partecipazione speciale dei servizi segreti americani, Bellocchio ricostruisce la tragedia moderna con i volti, ovviamente somiglianti, di Zaccagnini e Andreotti, di Leone e Cossiga, tutti attori di teatro bravissimi – citiamo Fausto Russo Alesi, Paolo Pierobon, Gigio Alberti – insomma tutto quel circo del partito che poi sarà spazzato via da Tangentopoli nella capitale morale milanese nel 1992, prima
della resistibile ascesa di milanesi d.o.c. come Berlusconi and friends.

Ma Bellocchio, come nel Traditore sul caso Buscetta e la mafia, qui prende di mira i 55 giorni di prigionia di Moro e la politica, le giravolte e i patti segreti, i diari nascosti, le borse scomparse nel sangue dell’auto, il gioco dello scaricabarile con cui i grandi notabili dello scomparso partito hanno messo l’Italia in un vicolo cieco. Film d’azione e di pensiero, equamente divisi e con una grande attenzione emotiva per la precisione dei fatti, compresi i contatti segreti con Berlinguer, anche se con qualche accensione fantastica molto esplicita (Moro che porta la Croce, Moro che viene liberato) che va a incastrarsi in quel cinico gioco dell’oca in cui nemmeno il Papa, come del resto accade oggi, riesce a far valere le sue ragioni umanitarie, perché di questo aggettivo si erano già perse le tracce. Interessante è notare come
Bellocchio, nato coi Pugni in tasca nel suo film d’esordio del 1965 contro la famiglia, che finisce con l’acuto della Callas, abbia ora deciso, dopo una lunga e frastagliata carriera, di raccontare il paese e non solo le proprie esitazioni e frustrazioni, note a chi ha seguito la sua brillante carriera, spesso riflessa nella psicanalisi.

Ma non è stato un caso se nel 1984 girò Enrico IV e nel 97 Il principe di Homburg, due ineffabili prefazioni al disastro seguente dei diktat del potere: ma è un caso unico che un regista dolorosamente ancora impegnato nel raccontare il Novecento della sua popolosa famiglia, fino al magnifico documento Marx può aspettare, senta ora il bisogno di raccogliere fatti e fattacci non più nel segno del proprio IO spesso in panne esistenziale, e proprio per questo efficace, bensì sul contesto di una tragedia politica e sociale unica nella Storia, che Bellocchio racconta senza accanimento ma solo per bisogno didascalico, per toglierla da una colpevole patina di silenzio. Doveva morire, dice gattopardescamente, perché tutto rimanesse uguale.

Esterno notte, di Marco Bellocchio, con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Rossi Alesi, Gabriel Montesi, Daniela Marra, Vito Facciolla, Paolo Pierobon, Gigio Alberti

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