Aspettando il 2 novembre, la festa dei vivi (che riflettono sulla morte)

In Arte

Sabato 21 ottobre ai Bagni Misteriosi di Milano, nell’ambito del Festival dell’associazione Vidas, si è tenuta “La Festa dei Vivi (che riflettono sulla morte)”, un progetto artistico collettivo di “Lu Cafausu” (Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, Luigi Presicce) che propone di elaborare il pensiero della morte come trasformazione, soglia, necessario orizzonte di senso. La performance in sei atti site specific ha esplorato la consapevolezza della finitudine come effetto della vita stessa, dando spazio a un mistero attraverso l’affermazione e la valorizzazione del reale, proiettando il nostro vivere e morire oltre la sfera del finito e dell’individuale, costruendo un canale sensibile tra i vivi e i morti. Un momento di grandissima suggestione e di straordinaria consapevolezza sul tema più complesso per la nostra effimera condizione umana.

Festa anticipata, quest’anno.
Viveremorire. Esperienze consequenziali, avvinghiate, l’una all’altra.
Nella cornice del Teatro Franco Parenti è questo titolo ad aprire il sipario sul tema esistenziale.
“Incontro”, secondo episodio del Festival Culturale di Vidas tenutosi sabato 21 e domenica 22 ottobre presso il Teatro e i suoi Bagni Misteriosi. In questa sede prende forma in sei atti site specific la performance del collettivo Lu Cafauso, sotto forma di petizione al riconoscimento del 2 Novembre come “La Festa dei Vivi (che riflettono sulla morte)”. Creata nel 2010, nella sua quattordicesima edizione, qui rappresentata in un adattamento appositamente progettato per il luogo e l’occasione.

Le indicazioni delle maschere conducono lungo il perimetro degli edifici delle piscine.
Una luce nell’acqua attrae lo sguardo a destra. Una figura in uno scafandro china osserva con una lente il fondale mentre il fluire degli spettatori conduce all’entrata dell’ultimo edificio, la prima sala.
Si tratta di un sommozzatore alla ricerca di un qualcosa, scimmie di mare, per l’esattezza.
Suoni. Una tenda chiusa, architettura ancestrale, ci accoglie con tessuti e colori. Musica, nascosto sotto la tenda Canedicoda osserva ed introduce alla plasticità. Presicce al trespolo modella l’argilla, imprimendo forme con la pressione delle mani sul blocco. Inscena l’atto creativo, elemento mitico e generativo. Un poco come un Golem, che attende la sua attivazione con il logos, le parole e gli atti delle stanze successive.

Il corridoio si dirama, a destra negli spogliatoi, dove lo scenario è talmente suggestivo da rischiare di rendere retorico qualsiasi intervento, meno intenso. La naturale meravigliata attrazione allo spazio fatica a ricondurre lo sguardo sulla scena, dove si mette a fuoco un guardiano, con un pennello legato alla sommità di un bastone. Precorrendo a passo deciso quel che rimane del corridoio mosaicato degli spogliatoi si ferma, traccia una parola con il pennello intriso d’acqua, esce di scena da una delle due file di porte parallele spalancate sul nulla della stanza, rientra e ricomincia. Una vestale dell’acqua, ricomincia ogni volta tenendo vivo un discorso di tracce effimere, e giunge, e scompare.

Il flusso sfocia verso una stanza con una parete vetrata, affacciandosi su una piccola biblioteca.
Qui, la dimensione narrativa del libro d’artista e il carattere istituzionale della petizione convergono nel performare partecipato del pubblico, che può leggere a sua volta brani dal suddetto libro e se vuole, firmare.

L’invito poi a proseguire. Due voci, una lettura recitata, la stanza chiusa da un sipario rosso. Storie di naufragi, di navi e scrittori e scomparsi per mare muovono gli spettatori verso l’ultima stanza, per l’ultima performance. Un proiettore a pochi metri dal muro riproduce a ritmo di lettura brevi frasi, sensazioni e pensieri di artisti a cui è stato chiesto di riflettere sulla morte, e sulla vita.
La parola diviene immagine, permanente sensazione fisica, disegnando la reazione del pubblico che prende parte al testo leggendolo in rispettoso silenzio, fermo. Svariati silenzi, pensieri e ricordi, sorrisi e nodi alla gola propri della vita di ciascuno perché tutti conoscono il valore di una perdita. Più raramente ricordano quello della vita.

Da fuori, dal vetro, è più semplice vedere il gioco di parti che come in un giro di danze coinvolge i flutti di spettatori. Lo spettacolo ha fatto propria anche la morte, in scenari di epico terrore che la relega ad esperienza lontana dalla rassicurante routine quotidiana. Si tratta semplicemente di un altro modo per ridurre in chiacchiericcio, sdrammatizzare il fantasma. La tendenza in occidente è quella di stornare la paura della fine, così come rinnegare quei caratteri che ricordino all’umano di essere fallibile e finito. L’inaccettabilità del pensiero della morte e il suo essere condizione d’esistenza, la paura della vita, incapacità di coglierne il valore o il suo mancato riconoscimento divide il mondo. In alcuni casi, in alcuni luoghi, o in altri tempi si è stati talmente abituati alla morte da non poter che prender atto del ridotto il valore della vita stessa, in altri le politiche di tutela della salute e della vita dell’individuo sono talmente fondanti da risultare situazioni sociali diametralmente opposte.
I linguaggi ne sono testimoni, dimenticando o utilizzando la dimensione del tempo secondo i ritmi delle nuove tecnologie. Si tratti di pittura, scultura, fotografia, videoarte, performance o happening i ruoli del tempo, della scomparsa e della morte sono radicalmente mutati insieme all’ apparato culturale.
Come nell’annunciazione, come nel caso del Golem, è il verbo a generare la vita. Così come consente di renderla eterna, attivando la materia attraverso il logos, dando voce e forma fisica ad un pensiero, ad un ricordo.Uscendo si torna al buio ed al silenzio della sera, al sommozzatore che cerca vite misteriose nell’acqua, ora placenta, fonte battesimale o acquasantiera, ora brodo primordiale, ora cimitero in mare.

Il gentile, quieto e sonoro invito del collettivo Lu Cafausu (Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, Luigi Presicce) vede il verbo farsi segno e viceversa, articolato in un cosmo di riferimenti alla storia dell’arte, all’attualità, ad un patrimonio collettivo di piccole grandi questioni del privato, di relazioni di famigliarità. Rieccheggiano gli scritti di Carlo Sini in merito al rapporto dell’uomo con il proprio “fantasma”. Nel contesto particolare della seconda edizione del Festival Vidas, associazione nata nel 1982 nell’intento di garantire assistenza sociosanitaria completa e gratuita ad anziani, adulti e bambini affetti da patologie inguaribili, in un momento storico così delicato ed esplosivo, simili riflessioni non risultano semplici. Il rischio di formalizzazioni banali, morbose, o ruffiane è alto. Sono invece risultate di fine eleganza, consapevoli e pervasive.

Tutte le immagini: Lu Cafausu, La Festa dei Vivi (che riflettono sulla morte), Bagni misteriosi, Milano, 21 ottobre 2023

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