Sfilare, scattare, andare: è la moda, bellezza!

In Weekend

Finale della sfilata di Les Copains, Alessandra Lanza ©

Al seguito di un fotografo per scoprire trucchi, nevrosi e backstage della settimana in cui a Milano tutto (o quasi) è fashion…

Filippo arriva a Linate alle undici del mattino, dopo un atterraggio reso difficile dalla pioggia che l’ha seguito dal nord. Il tempo di tornare a casa per mettersi un paio di scarpe più adatte e poi via, a bordo di una moto, dividendo la sella con una cassa che pesa parecchi chili, in cui migliaia di euro di attrezzatura vengono protette con cura: la prima sfilata è quella di Les Copains, all’Arengario. Poche ore di sonno in corpo, Filippo Fior arriva dalle Fashion Week di New York e di Londra, pronto per  quella di Milano. È fotografo freelance e lavora per GoRunway, dal 2010: richiestissimo, preciso, perfezionista e capace di mantenere il controllo nonostante il ritmo delle settimane della moda sia molto più che incalzante. Il cliente principale del gruppo è Vogue Italia, insieme alle altre testate Condé Nast, poi ce ne sono tanti altri.

Per un giorno divento la sua “assistente”, curiosa di scoprire il lavoro di quei fotografi che di moda vivono e sono abituati a muoversi nei backstage brulicanti di modelle, truccatrici e parrucchiere, e a sfidare le passerelle dal proprio podio, scattando a raffica ogni look. Sono pronta a pedinarlo, rendendomi invisibile quando necessario, e a imitare le sue mosse fingendo assoluto professionismo. In realtà ne so poco: ho lavorato al backstage nella moda maschile per un paio di stagioni, ma non ho idea di cosa significhi stare dal lato dei fotografi.

La prima cosa che scopro, con somma delusione, è che la mia attrezzatura è piuttosto scarsa: gli altri girano con strani accrocchi, anche fatti in casa, imponenti come i flash al magnesio del secolo scorso, che permettono di diffondere in modo uniforme la luce del flash sul viso delle modelle, che tra una risata, uno sbuffo e una controllata e l’altra al cellulare, si prestano a tutte le pose e agli scatti richiesti, con una gamma di espressioni che va dall’apatia al sexy, dal sorriso cortese a smorfie improbabili. Controllo se qualcuna di loro abbia o meno sviluppato problemi alla vista: dopo così tante flashate in viso probabilmente sarei già andata incontro al distacco della retina. Ce n’è una, giovanissima e con capelli lisci effetto seta, che pattina sul pavimento del backstage a bordo di quelle ciabattine bianche da estetista con tanto di cotone per separare le dita dei piedi: le hanno appena messo uno smalto color ciliegia sulla cui sorte ho molto da temere. I fotografi si accaniscono sulle top model, riprese mentre sono al trucco, al parrucco, al telefono, al buffet, ma scopro che per convenzione, mentre mangiano, non le si fotografa. Fingo l’assoluto professionismo di cui sopra e mi godo sguardi intensi che sembrano riservati solo a me attraverso il mio obiettivo: mi innamoro un po’ di loro, poi mi faccio spezzare il cuore dal fotografo che le ritrae dopo di me. Al terzo tradimento decido di accettare di non essere l’unica per loro e torno a pedinare il mio mentore.

Il fotografo Filippo Fior al lavoro nel backstage di Les Copains, Alessandra Lanza ©
Il fotografo Filippo Fior al lavoro nel backstage di Les Copains, Alessandra Lanza ©

Filippo è il fotografo della casa e deve seguire backstage, stilista, front row, oltre a realizzare una raffica di fotografie perfette della sfilata per Les Copains e per l’agenzia. Cerco di seguirlo, ma schizza da una parte all’altra e poi è quasi ora che inizi lo show, rigorosamente in ritardo. Ritardo che di sfilata in sfilata si accumula, scombinando la scaletta di orari e suscitando le imprecazioni della maggior parte dei fotografi, decisamente più scazzati di Filippo. Molti di loro, mentre settano le impostazioni nascosti dietro al proprio teleobiettivo, si somigliano, ma osservazioni, saluti ed eventuali bestemmie in lingua e in dialetto mi consentono di riconoscerli. Il podio adesso è un mosaico di macchine fotografiche e telecamere, in mezzo  i professionisti cercano a vicenda di darsi minor fastidio possibile. L’equilibrio è così perfetto e compresso che pare che uno starnuto potrebbe scatenare un devastante effetto domino, col rischio di riversare uno tsunami in passerella. Prima che inizi lo show qualcuno zittisce il pubblico, chiede, in inglese, di non tenere le gambe accavallate. Durante la settimana, secondo il livello di follia accumulato lavorando, è facile sentire dal podio battute, commenti sulla collezione, risate. Poi, subentra la concentrazione e le raffiche di clic coprono gli altri suoni.

Giorni, settimane di organizzazione da parte degli stilisti e delle case di moda; un’accurata preparazione delle macchine fotografiche, dal posizionamento alle impostazioni di scatto, prove, prove, prove… E lo spettacolo si consuma in un attimo. In un attimo altrettanto breve le casse vengono riempite dall’attrezzatura, le preziosissime schede che contengono le immagini vengono consegnate a un runner che le porta in agenzia, oppure scaricate e inviate al momento, e poi si vola in sella al proprio mezzo alla sfilata successiva. Filippo si alterna con un collega, ne fanno una a testa, saltiamo Gucci e andiamo da Fay a bordo del suo scooter insieme alla cassa, che pesa quanto me, e sotto la pioggia battente. Metto da parte il mio terrore irrazionale per le due ruote abbinate al pavé di Milano, alle pozzanghere e alle macchine, e schiacciata tra il mio zaino e la schiena di Filippo, mentre brandisco un monopiede, mi affido al capitano e alla conversazione.

 

Ha appena traslocato con sua moglie in Svizzera, da Milano, ma è nato a Johannesburg, in Sudafrica, da genitori italiani; poi a 10 anni si è trasferito in Toscana ed è cresciuto tra paesaggi meravigliosi, di cui ha conservato l’accento e un’inclinazione, che è diventata amore per la fotografia di paesaggio, anche se le sue stagioni adesso sono scandite dalla moda  in giro per il mondo. Mentre la pioggia arriva fino alle nostre povere ossa gli chiedo delle sfilate nelle altre capitali. Scopro che a New York, prima tappa, ci sono tantissimi stilisti che spariscono dopo una collezione e le cose davvero da seguire sono molte meno rispetto alla Fashion Week di Milano o Parigi. Il problema è sempre coprire le distanze, evitando paradossi all’Achille e la tartaruga. «Non ti immaginare che a New York sia come nei film, in cui alzi una mano e il taxi si ferma subito a caricarti». Lì si cammina a passo svelto da un isolato all’altro, portandosi dietro la solita, inseparabile cassa. La sua è verde militare, con adesivi e scritte che la rendono inconfondibile.

A Londra muoversi è ancora più difficile che nella mela: la metropolitana diventa fondamentale per evitare la congestione dei mezzi di superficie. A Milano, italianissimamente, si va in motorino e bicicletta, per sgusciare tra le macchine, con la sicurezza quasi scientifica che la sfilata, tanto, sarà in ritardo. Parigi è l’ultima tappa, pare la più difficile: i fotografi arrivano stanchi delle fatiche precedenti e dei viaggi e non possono permettersi errori, sono le sfilate più importanti. È da diversi anni che Filippo fa questo lavoro, anche se ha iniziato con un altro tipo di fotografia. Studente d’ingegneria 25enne, capì di voler investire sulla passione da ragazzino: sottopose il suo portfolio all’agenzia Grazia Neri. «Hai cominciato dal basso», gli dico, scherzando. «Volevo sapere se era un sì o era un no», mi ha risposto. Le immagini piacquero e gli affidarono un servizio di prova: un reportage da San Vincenzo, in Toscana. Andò bene anche quello, così il suo primo lavoro sul treno Torino-Siracusa, nel 2003: 22 ore di viaggio e un reportage in bianco e nero. «Ho spezzato il viaggio in tre parti», l’unico modo, forse, per sopravvivergli.

Da Fay troviamo due podi: la passerella ha la struttura di una sorta di H e i fotografi si schierano sull’uno o l’altro braccio. Ci sono già alcune casse piazzate e dei nomi scritti a pennarello: ad avere i posti migliori, centrali, e le priorità sono il fotografo della casa e quelli delle agenzie più importanti, gli altri si posizionano a seguire, secondo una gerarchia silenziosa. Per Filippo ci sono due posti: uno è il suo, uno quello del collega di GoRunway, che fotografa i dettagli: scarpe, gioielli, accessori. Ci sono colleghi stranieri che non vede dall’ultima stagione: si salutano come vecchi amici, con cui spesso si condividono viaggi, stanchezza, scherzi. Con altri ci sono rivalità, che dipendono dai clienti, ma mentre si lavora vigono rispetto reciproco e concentrazione: «Nessuno si permette di dare gomitate a qualcun altro: niente bastoni tra le ruote durante la sfilata». Osservo i due monoliti dai tanti occhi di vetro: pochissime donne, tanti uomini, mi domando come mai, poi si spengono le luci, insieme a questo tipo di pensieri, e tutto procede veloce come al primo “giro”. Sfilare, scattare, impacchettare attrezzatura, dare le schede al runner, pioggia, scooter, traffico, freni bagnati, sopravvissuti, terza tappa: Fausto Puglisi. Sempre fotografo della casa, Filippo è trattato come fosse di famiglia. Le modelle sanno che dovranno sfilare guardando nella sua direzione, e non sarà difficile: in mezzo ai vestiti scuri la sua maglia arancione spicca. Non ho la prontezza di chiedergli se sia una tattica collaudata, o se semplicemente ami i colori sgargianti.

Il fotografo Filippo Fior, shooting da Fausto Puglisi, Alessandra Lanza ©
Il fotografo Filippo Fior, shooting da Fausto Puglisi, © Alessandra Lanza

Il ritardo si è accumulato parecchio e i fotografi, forse meno delle modelle e degli organizzatori, sono preoccupati dalla passerella, questa volta una sorta di ellissi attorno alle sedute degli spettatori, con rischio di tamponamenti tra modelle. Tutti hanno ancora un alto livello di adrenalina in corpo perché sono arrivati appena al quotidiano giro di boa e sanno di dover tenere: io, con le occhiaie lunghe fino al mento e i capelli ancora bagnati appiccicati alla testa, invidio il loro livello di stoicismo e mi chiedo se ci si nasce o ci si diventa. Intanto l’attesa viene colmata da Beautiful Day degli U2, in loop per almeno una decina di volte, tanto che prima imparo le strofe, poi inizio a odiarle. Faccio una rapida incursione al buffet del backstage, dove torte ipercaloriche, salame e altre delizie mi guardano chiedendo di mangiarle. Ora che ci penso non tocco cibo dalle 8 del mattino, eppure non sento la fame: «Non c’è tempo per mangiare durante la moda», mi spiega Filippo, ma è sempre bene perdere almeno un paio di minuti per recuperare degli zuccheri. La sala nel frattempo si riempie di giornalisti – blogger – buyers – personaggi famosi o quasi famosi. Il nervoso è crescente: l’ultima sfilata della giornata, Philipp Plein, è prevista per le 21, ma tutti sanno che gli orari non saranno rispettati che arriveranno a casa molto tardi. Vengo risucchiata dalla folla e perdo di vista Filippo, che nonostante si sia svegliato alle 4 del mattino, è concentratissimo e attivo, o almeno, sa dare quell’impressione.

A Puglisi pare piacciano gli U2, suona una loro canzone anche durante la sfilata, durante la quale, miracolosamente, non avviene nessuno spiacevole incidente. La terza volta non fa eccezione e la fuga è quasi uguale alle precedenti, se non fosse per un piccolo rallentamento causato da Belen Rodriguez, assediata da giornalisti e curiosi. Filippo per questo primo giorno ha finito, le ultime sfilate le faranno i suoi colleghi. Mi domando come possa non avere un’aria distrutta come quella che uno specchio mi ricorda di avere: sarà l’abitudine, sarà che quel ritmo ormai probabilmente ce l’ha nel sangue. Saranno passione e soddisfazione. Forse il segreto di quell’arancione è che tiene un po’ più svegli, tipo cromoterapia.

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