Un Amleto che viene da Scampia

In Teatro

Shakespeare riveduto e corretto da Punta Corsara, si ispira alle burle di Poole e Petito, fra un’invenzione musicale cafona e una raffinata da Wes Anderson

Nato sotto l’egida di Marco Martinelli del Teatro delle Albe, Punta Corsara è un collettivo che si è dimostrato capace di convertire l’attenzione derivante dal proprio, rimarchevole, percorso di formazione in vera e propria considerazione da parte della critica. Coagulatasi nel 2007, esito felice dell’esperienza teatral-laboratoriale di alcuni adolescenti di Scampia, la compagnia ha ottenuto tra il 2010 e il 2012 i più prestigiosi riconoscimenti nazionali che ne hanno amplificato l’aura da enfant prodige. Non sorprende, dunque, se intorno ad Hamlet Travestie si sia creata una certa aspettativa.

Pur rimandando nel titolo all’opera di John Poole, parodia burlesque del testo shakespeariano per eccellenza, lo spettacolo diretto da Emanuele Valenti ricorre in ugual misura a un’altra farsa di inizio ‘800, il Don Fausto di Antonio Petito. In questa fusione la partenopeissima famiglia Barilotto, sui cui grava il debito contratto con l’usuraio del rione, deve fare i conti anche con i tormenti del suo esponente più fragile, Amleto, il quale, dopo la morte del padre, assume atteggiamenti e inquietudini del tutto simili a quelle del noto principe di Danimarca.

Già di per sè forma metanarrativa, il procedimento parodico nelle mani di Punta Corsara si eleva all’ennesima potenza: lo fa attraveso il linguaggio (una comicità impregnata di tradizione napoletana), ma soprattutto nel gioco di rimandi tra i vari livelli narrativi. A quello di Shakespeare, di Poole e di Petito, si aggiunge infatti quello della compagnia stessa: il tentativo di emancipazione di Amleto Barilotto, come nel vissuto degli ex-ragazzi di Scampia, non solo matura attraverso il teatro, ma, in un certo senso, si impone con un doloroso rito di passaggio, quasi una frattura con le regole del proprio milieu d’origine.

Ecco allora che i due temi musicali che si rincorrono a più riprese durante tutta la rappresentazione diventano i poli opposti (insensatamente antitetici come quelli della reiterata gag: polo nord=freddo/polo sud=caldo) di un dissidio tra passato e futuro: da una parte c’è la neomelodica e supercafona Io mi butterò di Luciano Caldore, dall’altra la sofisticata Where Do You Go To (My Lovely)? di Peter Sarstedt. Ed è proprio nel testo di quest’ultima (tornata alla ribalta grazie ad Hotel Chavalier di Wes Anderson), nella malinconia con cui si rimpiange la perduta autenticità di una ragazza napoletana trapiantata a Parigi, che si intuisce la smorfia di sofferenza dietro la maschera carnevalesca.

Elemento strutturale ancora un po’ grezzo nell’edificazione del “complesso Punta Corsara”, Hamlet Travestie, pur palesando ingenuità di realizzazione, esibisce una certa solidità e, cosa più importante, riesce a coniugare, con gran naturalezza, le proprie velleità introspettive con la capacità di intrattenere il pubblico.

Hamlet Travestie, regia di Emanuele Valenti. Fino al 25 gennaio al Teatro Franco Parenti

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