Milano e i suoi architetti: a spasso con Gio Ponti

In Arte

Inaugura oggi la rubrica “Milano e i suoi architetti”: ogni mese, un ritratto dedicato a un grande dell’architettura del Novecento che ha legato la sua vita e la sua opera a Milano. Per iniziare, seguiamo per la città le tracce del grande Gio Ponti.

“Milano è la cosa più italiana d’Italia. Giustificazione: sono milanese.”

Meneghino per nascita, Gio Ponti è stato uno dei più influenti architetti e designer del secolo scorso. L’amore che provava per la sua città è testimoniato da un gran numero di progetti che abbracciano quarant’anni di carriera: dai primi interventi durante il Ventennio, fino alla riflessione sulla forma finita, centrale nei progetti degli anni Cinquanta e Sessanta.

Milano, 1957. Il grattacielo Pirelli è in costruzione e Gio Ponti dà alle stampe Amate l’architettura, un saggio dalle pagine colorate, una collezione di aforismi: piccole verità esposte per punti con prosa vivace e leggera. Gio Ponti definì il suo libro una “piccola architettura da tasca” e aveva ragione: nelle sue parole sono presenti gli stessi caratteri distintivi degli edifici che lo hanno reso celebre. Leggerezza, estrosità, eleganza e frammentazione. La sua generazione riponeva grandi aspettative nella figura dell’architetto: i congressi internazionali ricercavano il linguaggio dell’abitazione del futuro; in Italia, Ernesto Rogers coniava il celebre motto “dal cucchiaio alla città”, a simboleggiare l’ambizione generalista dell’architetto. Il saggio di Gio Ponti si inserisce in questa fase eroica della professione ma presenta molti elementi di originalità. In una lettera aperta ai committenti, Ponti parla degli architetti e scrive: “esigete da loro città felici e civilissime”. Ai suoi occhi, l’architetto non è solo un tecnico, un costruttore, ma porta sulle spalle la gravosa responsabilità di esprimere nel modo più evidente la cultura di un Paese.

Gio Ponti negli anni '50
Gio Ponti negli anni ’50

Un’opera giovanile, la facoltà di Matematica a Roma e l’edificio della maturità, il Pirellone, sono capisaldi del Razionalismo italiano ma la carriera di Gio Ponti non si presta a facili classificazioni. Maggio è il mese ideale per concedersi una passeggiata di piacere per le vie di Milano. Proviamo dunque a percorrere insieme i passi di Gio Ponti, attraverso alcuni edifici significativi che hanno segnato la sua carriera.

Decoratore di ceramiche, designer e architetto, nel 1928 Gio Ponti fonda la rivista Domus, ancora oggi fondamentale punto di incontro per la critica italiana. Negli anni tra le due Guerre sperimenta, con progetti di volta in volta più vicini alla sensibilità neoclassica di Piacentini o all’estetica moderna del Gruppo 7 di Terragni. Di questo periodo sono le Case tipiche, una serie di progetti che costituiscono nel complesso un laboratorio di sperimentazione in cui Ponti cerca il linguaggio della nuova edilizia italiana. Se ne possono ammirare alcune a due passi da via Tortona, sulla via privata Letizia, una piccola strada-giardino. Le case tipiche, dieci progetti in tutta Milano, prendono il nome di “domus” a rivendicare la loro italianità e si presentano a un primo sguardo come ordinarie palazzine Novecentiste. In realtà Ponti tende a una sintesi tra la specificità del palazzo tradizionale e le innovazioni del modernismo mitteleuropeo che esplodeva in quegli anni a nord delle Alpi. Le tecniche di costruzione e i materiali sono tradizionali, ma gli ambienti sono organizzati in modo moderno e funzionale, minimizzando gli spazi di distribuzione e privilegiando la zona giorno.

Spostiamoci ora al Parco Sempione: nel 1933, a pochi passi dal cantiere del palazzo dell’Arte, capolavoro di Giovanni Muzio, veniva alla luce un altro progetto giovanile di Gio Ponti. La torre Littoria fu eretta in occasione della V Triennale e consiste in una struttura in tubolare metallico di 106 metri coronata da un belvedere. Nonostante il carattere ingegneristico del traliccio, si possono notare in embrione alcuni temi che torneranno nell’opera matura di Ponti: le geometrie esagonali e romboidali della struttura entreranno nel repertorio formale dell’architetto fino a diventarne un tratto  distintivo. In effetti, lo stile di Gio Ponti, se paragonato a quello di altri maestri della scuola milanese, può sembrare più orientato da una ricerca estetica che da esigenze funzionali: al contrario, la torre Littoria dimostra la versatilità di un progettista capace di grande sobrietà e rigore. A vederla oggi, si stenta a credere che  sia contemporanea alla Stazione Centrale.

 

Il ristorante sulla sommità della torre Littoria presentava interni sobri e funzionali.
Il ristorante sulla sommità della torre Littoria presentava interni sobri e funzionali.

 

Il complesso di uffici costruiti per la Montecatini si compone di due edifici, eretti in zona porta Nuova a cavallo della Guerra. Si tratta del frutto di un fortunato incontro tra diverse culture progettuali, sintetizzate ancora una volta dal genio di Gio Ponti. Il primo edificio a essere costruito è ben riconoscibile per la facciata leggermente concava rivolta a via Moscova. Il palazzo guarda all’architettura del movimento moderno ed è pensato a partire dallo studio dell’unità di lavoro minima. Nonostante l’approccio funzionalista, però, la facciata in marmo verde presenta un’originalità fuori dall’ordinario. Il rivestimento è frutto di una personalissima ricerca di Gio Ponti che battezzò “marmo tempesta” questo particolare modo di trattare il cipollino. Allo stesso modo, i doppi serramenti in alluminio e l’arredo sono studiati attentamente dal progettista e seguono precise logiche produttive. A coronamento del corpo centrale, una serie di aste in alluminio sono la manifestazione moderna degli obelischi che coronavano le ville di Palladio, uno dei grandi maestri di Ponti. Oggi come allora, queste appendici non hanno funzione pratica ma contribuiscono a dare uno slancio lirico alla composizione.

Non molto distante, in piazza Duca d’Aosta, sorge l’edificio più iconico dell’architetto. Il grattacielo Pirelli fu ultimato nel 1961, pochi anni dopo la torre Velasca (architetti BBPR). Queste due costruzioni rappresentano risposte diverse al problema della forma che l’edificio a torre avrebbe dovuto assumere nel contesto italiano. La valenza simbolica di questi palazzi è forte. La facciata vetrata del Pirelli, appena completato, fu immortalata da Antonioni nei titoli di testa de “La notte”, come simbolo della Milano in cambiamento. La struttura in calcestruzzo, disegnata a due mani con l’ingegnere Pier Luigi Nervi, si ispira a quella della vicina torre Galfa (Melchiorre Bega) ma supera il modello e rappresenta un fortunato esempio di integrazione della volontà architettonica con le necessità strutturali. La pianta poligonale dona slancio all’edificio visto di tre quarti e ne dissimula la larghezza alla visione frontale. I grandi costoloni di calcestruzzo a vista sui lati della torre sono ancora oggi uno spettacolo unico, data la prassi consolidata di costruire grattacieli con struttura in acciaio. L’aspetto elegante della torre rispecchia però esigenze funzionali e distributive molto pragmatiche dell’interno: i corridoi che dal centro servono le ali dell’edificio si rastremano perché servono progressivamente un numero minore di spazi. Da questa semplice considerazione, per esempio, consegue la forma a diamante della pianta.

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Il grattacielo Pirelli nel 1965 – Fondo Paolo Monti

Il tema della pianta poligonale, con i suoi riferimenti al mondo dei cristalli, diventa a questo punto una costante nell’opera di Gio Ponti ed è ancora una volta l’elemento generatore nella chiesa di San Francesco d’Assisi al Fopponino, in via Paolo Giovio 41. Questo edificio fu eretto tra il 1958 e il 1964  ma differisce nell’approccio: il diamante è qui una scelta di carattere sostanzialmente formale. La facciata ceramica della chiesa ricopre il fronte degli edifici adiacenti abbracciando una piccola piazza: si tratta di una personalissima reinvenzione del colonnato di Bernini in Vaticano. Il prospetto presenta anche alcune finestre finte, aperte sul cielo retrostante. Nel complesso, questi elementi donano alla facciata il carattere di una scenografia. La composizione è molto curata e supera ogni tipo di logica funzionale alla ricerca di un carattere gioioso ma non esente da una punta di mistero, interpretando così il momento di avvicinamento allo spazio sacro.

A chiusura della nostra carrellata pontiana, un’altra architettura “cristallina” nei pressi della stazione centrale. Il complesso Montedoria, in via Pergolesi 25, è un’opera tarda ultimata nel 1970 che propone uno sviluppo ulteriore del tema del palazzo di uffici dopo le esperienze del complesso Montecatini e della torre Pirelli. Le finestre a filo con la facciata, il sofisticato rivestimento ceramico e il complesso gioco di volumi riconducono questo progetto al tema della forma finita. La superficie lucida e la volumetria complessa concorrono a dissimulare le dimensioni di un edificio massiccio che mutua le proporzioni dal regolamento comunale allora in vigore in fatto di cortine edilizie.

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1975, fin dall’inizio della carriera Gio Ponti si interessò molto al design degli arredi. – Fondo Paolo Monti

In questo percorso abbiamo incontrato edifici diversissimi per aspetto ma tutti coerenti con la grande parabola professionale dell’architetto. Ma Gio Ponti non fu solo questo: artista, saggista, editore e designer, sfugge a ogni facile categorizzazione e ancora oggi è fonte di ispirazione per i giovani progettisti. Il suo eclettismo e il suo talento lo resero un personaggio pubblico, in grado di parlare anche ai non addetti ai lavori. D’altronde secondo lui gli Italiani hanno il dovere morale di amare la bella architettura perché “l’Italia l’hanno fatta metà Iddio e metà gli Architetti.” Se amate Milano, non potrete non amare Gio Ponti.

 

Gio Ponti, Amate l’architettura, Rizzoli, Milano 2008.

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